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Robert Bruegmann
Le automobili senza autista e lo sprawl
22 Febbraio 2012
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Lo storico dell’architettura esegeta dell’insediamento disperso come pratica di libera scelta le prova proprio tutte per convincerci. Ma non ci riesce. Bloomberg, 21 febbraio 2012, postilla. (f.b.)

Titolo originale: Driverless Car Could Defy Sprawl Rules – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Da molte notizie pare proprio che l’auto che non ha bisogno di guidatore, un tempo relegata nei libri di fantascienza, si affacci alla realtà del trasporto. Settimana scorsa il Nevada per primo ha approvato regole statali riguardanti i veicoli senza pilota, che a parere di un responsabile sarebbero “certamente il futuro dell’automobile”. Ci sono state parecchie ipotesi sugli effetti di questa tecnologia sul nostro modo di usare l’auto, sulla sicurezza, sulla responsabilità. Ma invece: come cambierà la città americana? Ad esempio, magari così gli automobilisti potrebbero mettersi a fare più strada, comodamente, e accelerare la dispersione urbana.

È questa la prima conclusione logica a cui si potrebbe arrivare. Negli ultimi cent’anni e oltre, qualunque salto tecnico nel campo dei trasporti, che siano le ferrovie, i tram a cavallo, l’automobile o l’aeroplano, ha accresciuto la mobilità, e parallelamente prodotto sistemi insediativi più dispersi in ogni regione urbana del mondo. Non si tratta però di un fatto inevitabile. Riflettendo sui trasporti spesso ci si basa su convinzioni superate. Una è l’idea del determinismo tecnologico: introducendo una innovazione ci sono una serie di conseguenze sulla società. Quando in realtà ciascuna delle innovazioni, qualunque avanzamento umano, produce risultati straordinariamente diversi.

Il caso delle ferrovie

Ad esempio la ferrovia del XIX secolo è stato il fattore determinante dell’accumularsi di popolazione e attività nelle grandi città industriali, mentre si consentiva in contemporanea a una notevole percentuale di popolazione urbana di risiedere nel suburbio un po’ più esterno. E anche se la crescita delle automobili è avvenuta in un periodo di marcato decentramento urbano e calo delle densità,non si tratta per nulla di un risultato inevitabile. Le regioni urbane di Phoenix o Los Angeles dipendono in gran parte dal trasporto automobilistico, ma negli ultimi decenni hanno incrementato notevolmente la propria densità. Altro ostacolo a una riflessione obiettiva sui trasporti, è l’orientamento a credere che esista qualche profonda differenza fra mobilità pubblica e privati – ad esempio automobile contro autobus – e che si tratti di modelli diversi in concorrenza uno contro l’altro. È articolo di fede, fra coloro che auspicano scelte contro l’automobile e a favore dei trasporti pubblici per combattere la congestione, i consumi petroliferi e le emissioni di gas serra.

Ma viste le innovazioni tecniche più recenti non è affatto detto che i treni, e soprattutto gli autobus, siano ancora più efficienti per unità di distanza percorsa, rispetto all’automobile. Per la stragrande maggioranza degli spostamenti sono molto più lenti. Nei casi migliori, anche le più avanzate scelte per spingere all’uso dei mezzi pubblici a spese dell’auto comportano dei sacrifici. E oggi l’auto senza pilota potrebbe alterare gli equilibri fra pubblico e privato, individuale e collettivo. Le scelte sui trasporti non sono mai state così nette come parrebbero suggerire certe polemiche. Ad esempio il taxi possiede le caratteristiche di entrambi gli aspetti. Negli ultimi anni poi la divisione fra mobilità pubblica e private si è ulteriormente ridotta coi progetti Zipcar o Super Shuttle, o altri tipi di veicoli a noleggio individuale pronto per l’uso come Personal Rapid Transit, automatizzato e che corre su una linea propria. C’è un ottimo esempio pionieristico di questi PRT realizzato negli anni ’70 e ancora in funzione a Morgantown, in West Virginia.

Sistemi flessibili

Ciò in cui l’auto senza autista potrebbe riuscire, è assottigliare ancora queste differenze. Pensiamo al chiamare uno dei veicoli a richiesta – ad esempio uno piccolo come quelli che si usano oggi sui campi da golf per commissioni in città, oppure una cosa più spaziosa per un gruppo di persone che si sposta verso un’altra città – e che quel veicolo possa effettivamente andare dal punto di partenza alla destinazione finale. La grande flessibilità di sistema offerta ridurrebbe di molto la spinta a possedere un’automobile, che deve appunto poter svolgere molti compiti diversi, è costosa all’acquisto e nella manutenzione, e di solito sta per gran parte della propria vita in un parcheggio o in un garage. Se l’auto senza pilota può ridurre la congestione massimizzando l’uso delle reti stradali esistenti, spostando passeggeri in tutta comodità, si potrebbe certo arrivare a un sistema insediativo ancora più disperso. Oppure no: l’effetto potrebbe essere opposto.

Vista la gran quantità di spazio oggi riservato a strade e parcheggi dalle città americane, anche un piccolo incremento nell’uso collettivo dei veicoli potrebbe far diminuire la necessità di nuove superfici asfaltate, e far crescere le densità residenziali e commerciali. Confermando così una tendenza già rilevabile oggi, quando i nuovi insediamenti che si realizzano ai margini estremi delle regioni metropolitane sono molto più densi che in passato, e quando dentro le città e nei sobborghi di prima fascia si lavora a incrementare le densità esistenti. Certo di sicuro anche l’auto senza autista porterà moltissimi problemi nuovi, come avviene sempre con le innovazioni tecnologiche, ma potrebbe anche contribuire alla soluzione di quelli attuali provocati dall’automobile, prima di tutto gli incidenti e la congestione. E un primo passo importante per aumentare gli effetti positivi e ridurre quelli negative sarebbe smetterla di pensare automaticamente come oggi fanno certi esperti di pianificazione e trasporti.

Si potrebbe partire dalla diffusa quanto discutibile convinzione secondo cui le città dovrebbero essere pensate secondo un certo sistema di mobilità. A sostegno di autobus e treni c’è molta gente che vorrebbe far tornare indietro le lancette dell’orologio, riproponendo il tipo di tessuto urbano denso che era forse indispensabile per la città industriale del XIX secolo. Nulla di sbagliato in questo modello abitativo, se fosse liberamente scelto da chi ci abita. Ma dopo l’avvento dell’automobile i cittadini si sono potuti permettere più mobilità e flessibilità nella scelta di dove risiedere, spesso con risultati radicali, e certo unire alcune caratteristiche dell’auto con quelle dei trasporti collettivi, consentirà una maggiore scelta nei modelli abitativi, che siano quello compatto ad alta densità, o disperso a bassa densità (chiamatelo pure sprawl, se vi piace). Più probabilmente, entrambi.

postilla

Dice il saggio: tutto è bene ciò che finisce bene, e l’ultimo chiuda la porta. Peccato che il sedicente saggio professor Bruegmann, pur maneggiando molto meglio di altri (del resto è il suo riconosciuto mestiere di accademico) gli strumenti della tesi antitesi sintesi riesca a convincere solo della solita cosa: le argomentazioni delle campagne anti-sprawl devono piantarla con certe semplificazioni. Se proviamo a rileggere l’articolo infatti cercheremmo inutilmente qualunque riferimento ai temi energetici, sociali, o alle vere motivazioni complesse che hanno condotto alcune generazioni a lanciarsi nell’avventura contraddittoria dello sprawl novecentesco. C’è solo una superficiale presa d’atto (e presa a prestito ad esempio da alcuni passaggi descrittivi di Fishman) di quanto avvenuto dalle “profezie” di Henry Ford in poi. Come del resto nelle descrizioni di altri benintenzionati ambientalisti compaiono solo gli orrori suburbani, figuriamoci oggi col degrado di interi quartieri pignorati e semi-abbandonati. E tutto per far cosa? Per avvisarci che non dobbiamo, noi idioti passatisti, secondo Bruegmann, fare gli scongiuri e metterci di traverso davanti a qualunque innovazione tecnologica. Ok professore, ci hai convinti: da domani tutti sull’automobilina automatica, ma cosa c’entri col risparmio energetico, le città sostenibili, una migliore qualità sociale, dovremo scoprircelo da soli. In definitiva, come succede ormai da qualche anno, le dissertazioni dell’accademico di successo servono soprattutto in negativo, a far riflettere sulla debolezza delle argomentazioni opposte. Grazie molte, alla prossima (f.b.)

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