La discussione aperta da Asor Rosa sul e - con toni diversi e in altri luoghi - da Bertinotti e da Mussi prima e Occhetto e Ingrao poi mette in fila alcuni punti chiari e alcune ipotesi programmatiche nette. Soprattutto avanza un «metodo» di lavoro originale nel modo di intendere i rapporti a sinistra. I punti chiari di analisi - mi scuso per lo schematismo - sono strettamente connessi con la ridefinizione del quadro politico italiano: alla luce dello sfaldarsi del blocco berlusconiano (uno sfaldamento che non è ancora un «tutti a casa») dovuto anche all'azione dei movimenti e alla luce del progetto politico della Federazione dell'Ulivo. Processi legati tra loro più di quanto si pensi, con una scelta chiara da parti del gruppo dirigente dei Ds e della Margherita di concentrare, versus un fantomatico centro, una proposta politica e programmatica più moderata dell'intera coalizione. Una scelta quest'ultima dal doppio effetto: rendere più complessa una definizione cultuale, identitaria e programmatica della grande alleanza democratica; consegnare ad altri - tutti da venire - il compito di rappresentare quelle istanze più radicali del lavoro, del welfare universalista, della supremazia del pubblico in materia di beni comuni, nonché di una pace come scelta politica definitiva in un contesto unipolare. L'ipotesi di lavoro originale è infine nell'idea che si lavori nel costruire un vasto schieramento politico e culturale, a partire dalle proprie «postazioni», rimanendo ognuno nelle proprie realtà (partitiche, sociali, di movimento) in un modo nuovo di essere ed esprimere soggettività complesse. Un metodo, aperto e partecipativo, che è al contempo prassi ma anche fine (la democrazia).
Da qui l'esigenza di un profondo sforzo per definire idee, progetti, valori condivisi in quella che per definizione è una sinistra ampia, presente in molti partiti, ma soprattutto nella società (sindacato, associazioni, movimenti). Un'esigenza resa ancora più forte a partire dalla «lezione americana» che vede non solo Bush vincere alla grande, ma soprattutto come i ceti più popolari - quando non trovano un'offerta politica attenta ai loro bisogni sociali - divengano preda di una sindrome di «insicurezza» e di abbandono, che trova poi nella destra la risposta più efficace.
Un'esigenza infine che va interpretata nell'immediato in una doppia direzione: da un lato impedire che si porti a compimento un processo che scaverebbe un solco difficilmente colmabile tra i cosiddetti esponenti del Partito Riformista e i radicali, impedendo una più ampia partecipazione ai mille soggetti sociali, della società civile e dei movimenti che si riconoscono esclusivamente nella Grande Alleanza Democratica; dall'altra produrre quell'esplosione di idee, progetti e partecipazione che permetterebbero non solo di sconfiggere Berlusconi, ma di delineare un progetto e una forma della politica alternativa al berlusconismo, a quel mix di provincialismo e autoritarismo che in questi anni, dai luoghi di lavoro, alla scuola, fino alle istanze costituzionali abbiamo visto dispiegarsi con una forza e coerenza impressionante.
Credo che quest'ultimo processo, più complesso di una semplice sommatoria di gruppi dirigenti diffusi e di illustri pensatori, possa non solo dare quella legittimità reale che la ledearship di Prodi necessita, ma soprattutto possa delineare un «campo da gioco» nuovo dove tutti, con le proprie diverse autonomie e diversi ruoli, siano in grado di portare quell'elaborazione e quella pratica democratica che ha caratterizzato gli ultimi anni di mobilitazioni e iniziative.
Superando quella empasse in cui gli stessi movimenti, le organizzazioni sociali, i tanti cittadini e lavoratori si trovano quando sono chiamati a un confronto a più dimensioni, un confronto che - come ben sottolinea Ingrao su Liberazione di sabato - non può eludere la questione del potere e della rappresentanza istituzionale.
Dentro questa cornice la proposta di Asor Rosa non solo è la benvenuta, ma esprime una necessità evidente: quella di offrire in modo nuovo e non gerarchico un processo di discussione collettiva aperta a tutti. Definire parole d'ordine comuni, programmi che siano espressione di un alterità anche valoriale è oggi l'urgenza più sentita da chi in questi anni ha alimentato non solo una forte e popolare opposizione al modello neoliberista internazionale e nazionale (con tutte le peculiarità populiste tipiche del nostro paese), ma anche di chi non si accontenta di battere Berlusconi per «consunzione dell'avversario».
Come sindacalista e uomo di sinistra ovviamente sentirei l'esigenza di immettere in questa discussione l'importanza fondamentale di una ricostruzione di identità a partire dal lavoro, dalla buona e stabile occupazione (strumento di emancipazione sociale e di libertà, prima ancora che semplice strumento economico), della giusta redistribuzione dei saperi e delle tecnologie, della costruzione di una rete più ampia di diritti di cittadinanza oltre l'egemonia di un mercato selettivo. E la grande questione della pace, come precondizione per un progresso amico dei più, dei popoli e dei lavoratori.
Ma se avremo tempo per approfondire questi temi di cui cito soli i titoli, oggi l'urgenza è definire chiaramente il come, il fine e il quando dar vita a questa nuova avventura di idee e speranze. La sinistra sociale non potrà non esserne partecipe e interessata.