Ce l'ha con i fabbricanti e con i mercanti della paura, il premier. Quelli che fanno previsioni buie, per il futuro. Analisti, specialisti, banchieri, giornalisti. I fabbricanti della paura fanno profezie che si autoavverano.
Alimentano la recessione perché generano comportamenti recessivi. Inducono i consumatori a non consumare, gli imprenditori a non intraprendere e a non rischiare. Per questo Berlusconi ripete, come un mantra, che "l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la nostra paura". Echeggia una frase famosa, pronunciata da Roosevelt in un momento emblematico. La grande crisi del 1929. Per questo, insiste il premier, chi fa del catastrofismo, oggi, prepara la catastrofe. I partiti di opposizione, gli economisti e le autorità del sistema bancario, gli organismi internazionali. Mentre prevedono la crisi in effetti la creano. Per questo gli imprenditori devono scoraggiare i mercanti della paura. E soprattutto i giornali, quei giornali, quel giornale, quella Repubblica della paura. Va punita. Le va negata la pubblicità. Perché non è lecito fare e dare pubblicità alla paura.
Come uno psicoterapeuta di massa, il premier è impegnato in una sistematica e martellante campagna contro l'angoscia. Un progetto difficile. Perché è da tempo che questo paese convive con l'angoscia. Un paio di occhiali che tutti indossano. Berlusconi, d'altronde, non è il solo ad aver polemizzato contro la "cultura della crisi". Senza incitare gli imprenditori a negare la pubblicità ai giornali, anche il predecessore, Romano Prodi, sosteneva che la sfiducia era alimentata dai media. In modo largamente ingiustificato. D'altronde, due o tre anni fa l'andamento dell'economia globale e nazionale era sicuramente migliore di adesso. Tuttavia, non ricordiamo che Berlusconi, a quel tempo capo dell'opposizione, abbia pronunciato le stesse dure parole. Contro la paura e chi la alimenta. Ci pare invece che anch'egli lamentasse la crisi incombente. Allora, evidentemente, la sfiducia dei cittadini - rivolta contro un governo di sinistra - gli appariva fondata.
Berlusconi. Non si ribellò quando, nell'inverno 2007, la stampa internazionale - New York Times e Newsweek in testa - dedicava inchieste spietate all'Italia, la "Penisola della paura" (titolo di una nostra mappa). A quell'epoca, evidentemente, la stampa internazionale non congiurava contro di noi. Il nostro Psicoterapeuta, allora, non si preoccupava troppo di questo popolo angosciato. Ma, anzi, ne traeva beneficio. Perché la paura, la sfiducia, l'angoscia, quando si attaccano alle radici della società, minano anzitutto l'albero dove sta appollaiato chi governa.
Per questo, il messaggio sulla Paura pronunciato da Berlusconi oggi suona, per così dire, un po' artificiale. Visto che la maggioranza di governo ha costruito il proprio consenso e il proprio successo degli ultimi anni sulla paura. Paura del "declino" economico - un altro mantra recitato a fasi alterne, da chi sta all'opposizione. D'altronde, di fronte mille proteste delle mille categorie e corporazioni, indisponibili a rinunciare ai mille privilegi di cui erano e sono titolari, Berlusconi, nell'autunno del 2006, non si tirò indietro. Non esortò alla fiducia. Ad aver paura della paura. Ma organizzò una serie di manifestazioni contro le politiche del governo. Per fare (legittimamente) opposizione: alimentò sfiducia e paura. La paura, d'altronde, è la risorsa infinita - la principale - a cui ha attinto il centrodestra quand'era all'opposizione. Ma anche oggi che è al governo. La Lega, soprattutto.
Oggi l'Italia è paese fra i più angosciati d'Europa. Non c'è un altro luogo dove lo squilibrio fra paura e criminalità, fra paura e immigrazione (visto che l'equazione immigrazione=criminalità è data per scontata) sia tanto forte. Spostato verso la paura. Basta consultare le statistiche di Eurostat e di Eurobarometro. E se gli indici dei reati, in Italia, hanno subito un significativo declino - negli ultimi anni - non importa. La paura ha continuato a crescere. Complici i media. Come ha rilevato l'Osservatorio di Pavia nel II Rapporto sul sentimento di sicurezza in Italia, curato da Demos per Unipolis (novembre 2008).
La concentrazione di notizie ansiogene sui tg di prima serata è cresciuta costantemente dal 2005 alla primavera del 2008. Trascinata soprattutto dal Tg5 e da Studio Aperto, con il Tg1 a ruota. Le tivù e i media di proprietà del premier: non si sono risparmiati nella "costruzione della paura". Salvo rallentare la spinta l'anno seguente. Finita la campagna elettorale.
Tuttavia, la "Paura degli altri" sposta consensi a destra. Sempre. La sfiducia economica e nel lavoro, invece, solo quando governa la sinistra. Per questo oggi il premier si è trasformato nell'Authority della Paura. Che stabilisce quando sia legittimo oppure no: avere Paura. Sentimento incoraggiato quando ne sono bersaglio gli immigrati. Che è lecito contrastare e respingere con durezza. Mobilitando l'esercito e le ronde. Mentre nel caso dell'economia e del lavoro: la paura fa paura. I fatti e le opinioni. Ormai è difficile fare distinzioni troppo nette, visto l'impatto dei media sulle nostre emozioni. Per cui oggi si piegano i fatti alle opinioni e si assecondano le paure, quando riguardano gli "altri": immigrati, zingari e barboni. Ma quando i problemi coinvolgono l'economia e il lavoro, le ragioni dei fatti passano dalla parte del torto. Meglio silenziarle in via precauzionale e preventiva. Per non accreditare l'idea della crisi, meglio non parlarne.
Negli ultimi 7 mesi la quota di famiglie in cui qualcuno ha perduto il lavoro è salita dal 13 al 19% (indagine dell'Osservatorio di Demos-Coop, di prossima pubblicazione). E dal 12,5 al 21% quella della famiglie in cui c'è un cassintegrato. Persone che si sentono precarie. E si dicono - comprensibilmente - pessimiste e sfiduciate. Sbagliano. La disoccupazione e la cassa integrazione. Non fatti, ma opinioni. Costruite ad arte. Dagli economisti, dai giornalisti e dai sondaggi. Per citare un filosofo degli anni settanta: "Tu chiamale - se vuoi - percezioni".