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Ida Dominijanni
L'aura perduta degli Usa
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
La fragilità del colosso, dalle Twin Towers a New Orleans. Da il manifesto del 13 settembre 2005

Quattro anni dopo, la sovrapposizione delle immagini di New Orleans a quelle di Manhattan non svela solo la materialità delle questioni di razza e di classe che minano la democrazia americana dall'interno mentre Bush pretende di esportarla con le armi all'estero; modifica altresì la percezione e il ricordo dell'11 settembre. Ci voleva un disastro naturale come Katrina per restituire anche al crollo delle Torri gemelle il suo significato quintessenziale, fin qui coperto dalla retorica dei muscoli e della Nazione di Bush e compagni: la rivelazione della vulnerabilità e della precarietà dell'America come di tutto il resto del pianeta, e degli americani come di tutti gli altri abitanti del pianeta. Significato umano, troppo umano per la logica politica del presidente piccolo piccolo di una grande potenza ferita a morte nella sicurezza di sé; presidente che peraltro non demorde neanche di fronte all'uragano, e ripropone la stessa logica per galvanizzare il popolo e rassicurarlo che sì, la Nazione ce la farà e vincerà ancora una volta contro la mala sorte. Ma si capisce che stavolta il suo appello non si traduce in consenso e non riesce far risalire la china di una leadership ormai compromessa. Non è solo il bilancio fallimentare della guerra all'Iraq, che a tutto è servita fuori che a sconfiggere il terrorismo come ormai la maggioranza degli americani sta realizzando. È che stavolta è impossibile fare con Katrina l'operazione di costruzione del Nemico e di rassicurazione dell'immaginario politico americano che già con Al-Qaeda era visibilmente improbabile, e che tuttavia venne fatta. La ricostruisce, in un lungo saggio sul quarto anniversario dell'11 settembre pubblicato dal New York Times Magazine (e parzialmente tradotto su Repubblica di ieri), Marc Danner, docente a Berkeley e autore di Torture and Truth: America, Abu Ghraib and the War on Terror. Danner ricorda come la struttura di Al-Qaeda, rete senza stato, senza territorio e senza esercito, sia irriducibile a quella di un nemico tradizionale da combattere con una guerra tradizionale, e come tuttavia Bush abbia riesumato l'immagine tradizionale del Nemico per ripristinare l'immaginario della Guerra fredda: «dopo un decennio confuso, il mondo era di nuovo spaccato in due, e per quanto l'attacco dell'11 settembre fosse stato disorientante, la `guerra al terrorismo' si configurava come una riedizione della Guerra fredda». Una retorica, continua Danner, che aveva il duplice pregio di suonare familiare sia al senso comune americano sia a una burocrazia nazionale che era stata costruita per la Guerra fredda e che, dopo l'89, era disorientata e priva di scopi.

Ma ciò che forzatamente è stato fatto con Al-Qaeda non è riproponibile oggi con Katrina. Di fronte alla tragedia di New Orleans e all'impotenza di un potere biopolitico che non ha saputo evitare ai medici il ricorso alle iniezioni di morfina sui malati terminali, non resta che prendere atto della vulnerabilità della Grande Potenza e dello stato in cui versa il suo patto sociale. «Questa tragedia ci impone di mettere sotto esame the soul of America» , l'anima dell'America, scrive sul Time Magazine Wynton Marsalis, direttore artistico del New York City's Jazz del Lincoln Centre, nato e cresciuto in una New Orleans di cui piange ora lo spirito multiculturale e la forma artistica. «La nostra democrazia è stata sfidata fin dall'inizio dalle manette della schiavitù», e la sfida si ripresenta oggi. Più difficile che all'inizio, perché quattro anni fa - torno a Danner - non è stato attaccato il potere americano, ma quel ch'è peggio «la sua aura» di invincibilità. E un potere senz'aura può incattivirsi, ma ineluttabilmente si indebolisce.

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