"Beni comuni 2.0" a cura di Michele Spanò e Alessandra Quarta per Mimesis. Il libro è una rassegna delle analisi dei beni comuni in Europa, America Latina, Africa e sui temi come il costituzionalismo, la sharing economy o il reddito di base. Il manifesto, 5 maggio 2016 (c.m.c.)
Non è sbagliato presentare Beni comuni 2.0 come un «libro generazionale» come fa Ugo Mattei nella postfazione a un denso volume collettaneo, curato da Michele Spanò e Alessandra Quarta per Mimesis (pp.220, euro 20). Il libro contiene quindici saggi della generazione «under 35» di giuristi e costituzionalisti che conosce la precarietà lavorativa, non solo quella accademica. Cosmopoliti e nomadi, giovani donne e uomini hanno coniugato un attivismo politico-culturale con la pratica di un diritto non statuale all’insegna della teoria dei beni comuni.
Una teoria che, dalla omonima commissione parlamentare diretta da Stefano Rodotà nel 2007 a oggi, ha esteso un dibattito giuridico internazionale già fiorente sui commons alle esperienze politiche significative come il referendum sull’acqua pubblica del 13 giugno 2011 o l’occupazione del teatro Valle a Roma, avvenuta il giorno dopo. La splendida fotografia di Valeria Tomasulo messa in copertina del volume rappresenta uno dei momenti più intensi sia per la generazione degli autori che per i movimenti italiani, degli ultimi anni.
«Com’è triste la prudenza» recitava lo striscione simbolo di un’occupazione oggi rimossa. Dannazione della memoria e atto di vendetta contro un esperimento politico e giuridico che ha provato a coniugare l’auto-governo della Comune di Parigi con il comunismo dei consigli operai e l’idea di nuove istituzioni aperte alla partecipazione dei cittadini e al «costituzionalismo civico» o «dal basso».
Il libro è una rassegna delle analisi dei beni comuni in Europa, America Latina, Africa e sui temi come il costituzionalismo, la sharing economy o il reddito di base. La centralità dei «beni comuni» è abbastanza nota nel dibattito giornalistico e accademico, meno nota in quello politico che sconta un impressionante concentrato di arretratezza culturale e di vera e propria malafede ai danni degli esclusi e dei lavoratori poveri, giovani e anziani. Il progetto di revisione costituzionale voluto da Renzi e dal Pd, così come le loro politiche sulla povertà, escludono programmaticamente ciò che invece costituisce la tensione comune degli autori del volume.
Ciò dimostra che, sia pure da una prospettiva oggi minoritaria, queste analisi sono politicamente situate e prodotto di un conflitto. In questa chiave va valutato il concetto proposto dai curatori del volume di «contro-egemonia». Citazione gramsciana, la «contro-egemonia è l’operazione attraverso la quale una forma di vita usa, piegandola, la forma per fare diversa la vita – nel mezzo delle cose, col mezzo giuridico. Il medio di questa impresa mondanissima è il diritto e con esso i suoi istituti: piegati, sabotati, rifunzionalizzati».
La sfida è quella dell’immanenza: a destra e a sinistra considerata come l’effetto del postmoderno. Per gli autori, che conoscono bene la filosofia, è invece una chance materialistica, un conflitto dentro il diritto e per il suo uso «contro-egemonico». I beni comuni ne hanno offerto più di un esempio. Il libro non va dunque letto solo come «generazionale», ma come un esempio di cosa può fare, oggi, un’intelligenza segnata da una stagione di cui oggi conosciamo i limiti.
Da un’analisi più ravvicinata emerge che la politica non può essere limitata al diritto, né il diritto riassume la pluralità irrappresentabile dell’azione sociale. Il diritto è conservatore, mette in ordine la vita, raramente la potenzia. Un suo uso contro-egemonico può avere valore esemplare, ma non cancella questa differenza, anzi la complica ancora di più. Se la prudenza nella politica è triste, come suggerisce la copertina del libro, non è prudente ignorarne le sconfitte. Anche queste sono utili per la prossima occasione.