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Konstantin Richter
L'aria frizzante di Berlino
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
L'atmosfera crepuscolare della capitale tedesca in crisi economica. Dal Wall Street Journal, 30 maggio 2005 (f.b.)

Titolo originale: Berliner Hot Luft – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

BERLINO – Klaus Wowereit ama dire che “Berlino è povera, ma sexy”. La battuta del sindaco ha un fondamento. Berlino ha un alto tasso di disoccupazione, debiti enormi, e un mercato immobiliare oscillante da anni. Le case a buon mercato attirano artisti, studenti, e altri generi bohemian. Spaziosi lofts progettati per agenzie di pubblicità e studi di consulenza, sono stati convertiti in studi fotografici o sale di prova per gruppi musicali. Si sviluppano bozze di romanzi, si preparano tele per quadri. La voce si è diffusa: amici persi di vista vengono in visita da posti che non sono né poveri né sexy, e si fermano qualche giorno. Qualcuno per settimane, o mesi. Ma quando mi si sono ri-trasferito, in questa mia città natale, ho scoperto che – nonostante tutta questa tendenza – manca qualcosa.

Che sia la squadra di calcio? (Hertha Berlin ha seguito il Monaco per anni). Oppure il fatto che manca un grande quotidiano? (quello di riferimento viene da Francoforte). Sulla metropolitana semivuota al mattino, mi manca anche l’ora di punta (solo la linea U3 è stipata: di studenti della Free University diretti alla lezione delle 10). Per via della crisi economica, qui innumerevoli attività – dalle grosse manifatture ai piccoli negozi – hanno chiuso. Ora quasi tutte le vetrine, più o meno, si aprono su spazi per uffici in condivisione dove scrittori free-lance o architetti vestiti in stile fissano schermi di computer, aspettando che magari suoni un telefono. Berlino può anche fare tendenza, Mr. Wowereit, ma qui non succede niente.

Naturalmente, la città è sempre stata un po’ in secondo piano. Non c’è un vero porto, né una grossa borsa, o uno skyline degno di nota. Forse è per questo che i nazisti volevano costruire la Grande Cupola, alta 250 metri e sette volte più larga di San Pietro. Invece, Berlino ha avuto il Funkturm, un clone della Torre Eiffel grande la metà.

Roma e Parigi hanno dominato il mondo per secoli; l’era d’oro di Berlino è durata un paio d’anni. Negli anni ’20, gente diversa come Nabokov, Schonberg, Einstein o Wilder hanno vissuto e socializzato qui. Gli storici stanno ancora tentando di capire come mai tanti personaggi interessanti abbiano prosperato qui. Coincidenza, dice qualcuno. Altri danno il merito alla Berliner Luft, l’aria di Berlino, che si dice chiarisca la mente e curi i postumi di sbronza.

La cosa più probabile, tuttavia, è che sia stata la crescita economica. Dopo la prima guerra mondiale, la Germania sopravvisse a qualche anno di iper-inflazione per riemergere con un notevole boom: e Berlino ne stava al centro. Le fabbriche lavoravano a pieno ritmo; e così i bar e i bordelli. Anche il grande romanzo berlinese fu scritto allora: Berlin Alexanderplatz di Alfred Doblin tratteggia una spietata e dinamica città capitalistica.

Anche se alcuni fans di Berlino vorrebbero rivivere la Repubblica di Weimar, ad altri – gente di sinistra, liberali, o anche i miei genitori – manca la Berlino Ovest degli anni ’70 e ‘80. Allora, la maggio parte delle imprese se n’era andata. Invece di Siemens, Allianz o AEG, la città divisa dal muro ospitava attivisti, faccendieri, e David Bowie. Economicamente morta e politicamente arroventata, Berlino attirava le persone annoiate dalla Germania Occidentale. L’umore era alternativamente ribelle o apocalittico, i vestiti d’ordinanza neri, e il gruppo musicale più noto finì per chiamarsi Einsturzende Neubauten, ovvero “Nuovi edifici cadenti”. Ma alla fine, non fu Berlino Ovest a cadere: cadde il Muro. Migliaia di tedeschi dell’est e dell’Ovest si abbracciarono per le strade, celebrando la riunificazione di una città divisa. I leaders mondiali calavano a Berlino come turisti in gita organizzata; li seguirono dappresso urbanisti, investitori, e anche i parlamentari votarono di spostarsi. Era tale la promessa della nuova Berlino (da non confondersi con New Berlin, Wisconsin, che era sul mercato da un po’) che gli intellettuali sentirono il bisogno di mettere in guardia. Non avrebbe potuto alla fine, la capitale di una Germania riunificata, diventare tanto potente da far rivivere il sogno fascista di un impero mondiale? Potevano risparmiarselo. Quando l’entusiasmo si calmò, la gente capì che non era successo gran che.

Perché no? prima di tutto, i burocrati di Bonn non si sentivano molto di spstarsi nella grande città. Berlino ebbe una bella cupola di vetro sull’edificio del parlamento, nuove ambasciate e ogni genere di sussidi federali. Ma interi ministeri e settori rimasero sul Reno. Ecco perché qualche volta sembra che la Germania abbia due capitali: a Bonn si sbrigano le pratiche, e a Berlino si tengono i ricevimenti. È una divisione del lavoro che va benissimo a certe persone. “In nessuna altra capitale del G8 è tanto facile essere invitati da un capo di stato come a Berlino” scrive il giornalista Alexander von Schonburg nel suo bestseller, L’Arte di essere poveri con stile. Basta mandare una lettera gentile, inventandosi il nome di un’impresa di dimensioni medie che, naturalmente, vuole stringere rapporti economici con il paese in questione. Ed assicurarsi che non sia la regina, o Putin in arrivo: il presidente dell’Uzbekistan andrà benissimo”. Quello che è peggio, i grandi affari non sono mai tornati a Berlino. Le compagnie liriche qui superano di tre volte il numero degli uffici centrali di multinazionali. La Bertelsmann, la Bayer e tutti gli altri hanno aperto uffici di rappresentanza (la TUI ha anche aperto un grazioso piccolo cocktail bar). Ma per la maggior parte lavorano, fanno soldi e pagano le tasse altrove. Il malessere appare evidente nella ricostruzione della Potsdamer Platz. Architetti di grido come Helmut Jahn miravano ad un aspetto in stile New York City, e hanno creato un effetto da villaggio Potëmkin. Enormi cartelli “affittasi” ornano le ambiziose torri. C’è qualcosa di surreale nella Potsdamer Platz, ed è quello che fa dire all’ospite dei talk-show Harald Schmidt, che è come se “la famiglia Ceausescu avesse fatto un ultimo investimento prima dell’esecuzione”. Anche altrove Berlino è il posto dove comprare. Immobili di prima qualità sono disponibili per gli scopi più vari. Come il Palast der Republik, campione di architettura socialista che ospitava un tempo il parlamento della Germania dell’Est. I legislatori hanno da tempo deciso che l’edificio debba essere demolito. Ma la demolizione è stata più volte posticipata per le incertezze nei finanziamenti. Nel frattempo, il Palast ha ospitato innumerevoli feste techno, spettacoli musicali per cori, gare di pattinaggio. L’ultima volta che ci ho fatto caso, un gruppo di geniali organizzatori di eventi aveva fatto allagare l’intero pianterreno con 300.000 litri d’acqua, e invitava i turisti a visite guidate su battelli gonfiabili.

Sembra tutto molto divertente, vero? Ma qui sta il problema: l’assenza di una solida base economica è palpabile ovunque si vada; e non si tratta solo dei quartieri delle classi lavoratrici come Wedding ma anche nell’elegante Friedrichshain. Anche se ci vivono alcuni dei più capaci pittori e scultori del mondo, i loro mercati più importanti stanno a New York City. A Berlino ci sono 10.000 giornalisti in cerca di lavoro, ma hanno molta più probabilità di trovarlo a Amburgo. Quando Renzo Piano, Philip Johnson e Sir Norman Foster riprogettarono Berlino negli anni ‘90, vennero qui schiere di giovani entusiasti a studiare architettura. Adesso che le star se ne sono andate, i laureati di Berlino possono ritenersi fortunati se riescono a ristrutturare un liceo in Baviera.

C’è qualcosa al tempo stesso notevole e miserabile in una città che non riesce a sostenere i talenti che attira. La Germania, con la sua economia stagnante, ha allevato una generazione di giovani professionisti, e in nessun posto sono tanto smarriti come qui, nella capitale. Il saggista Wolf-Jobst Siedler paragona l’atmosfera prevalente compares a quella dell’Aspettando Godot di Beckett: sembra che tutti stiano aspettando qualcosa, ma nessuno sa che cosa. I bar di Prenzlauer Berg e Mitte, di Kreuzberg e Charlottenburg, sono stipati di gente interessante. Ma se ascoltate con attenzione le loro chiacchiere, capirete che la musica si suona da un’altra parte.

Nota: il testo originale al sito del Wall Street Journal online (f.b.)

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