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Noam Chomsky
L’architettura innata del linguaggio
17 Gennaio 2017
de homine
«Un’anticipazione dal volume
«Un’anticipazione dal volume

Tre lezioni sull’uomo (Ponte alle Grazie). Da David Hume a Galileo, un volume che raccoglie le ultime riflessioni del linguista statunitense. La facile acquisizione dei neonati umani della "rigogliosa e ronzante confusione!" delle parole». il manifesto, 17 gennaio 2017
Esistono ragioni ancor più essenziali per cercare di determinare con chiarezza che cos’è il linguaggio, ragioni direttamente collegate alla questione di che genere di creature siamo. Charles Darwin non fu il primo a pervenire alla conclusione che «gli animali inferiori differiscono dall’uomo solo per il potere infinitamente maggiore che l’uomo ha di associare i suoni alle idee più diverse»; «infinitamente» è un’espressione tradizionale che oggi va interpretata alla lettera. Tuttavia Darwin fu il primo a esprimere questo concetto tradizionale nel quadro di un incipiente racconto dell’evoluzione umana.

Ian Tattersall, uno dei maggiori specialisti dell’evoluzione umana, ne ha fornito una versione contemporanea. In una recente rassegna delle prove scientifiche di cui disponiamo attualmente, Tattersall osserva che un tempo si credeva che l’evoluzione avesse prodotto «i primi precursori del nostro io successivo. La realtà però è un’altra: l’acquisizione della singolare sensibilità moderna è avvenuta all’improvviso e molto di recente. L’espressione di questa nuova sensibilità è stata quasi certamente favorita dalla cruciale invenzione di quella che è la caratteristica più notevole del nostro io moderno: il linguaggio».

Se le cose stanno così, allora una risposta all’interrogativo «che cos’è il linguaggio?» è importantissima per chiunque sia interessato alla comprensione del nostro io moderno.

Tattersall colloca quell’evento brusco e repentino in un ristrettissimo arco temporale probabilmente compreso tra 50.000 e 100.000 anni fa. Le date esatte non sono chiare, e non sono rilevanti per quello che ci interessa in questa sede, tuttavia lo è la repentinità della comparsa.

Se l’ipotesi di Tattersall è sostanzialmente precisa, come indicano le prove empiriche assai limitate di cui disponiamo, in quel breve arco di tempo comparve la capacità infinita di «associare i suoni alle idee più diverse», secondo le parole di Darwin.

Questa capacità infinita risiede evidentemente in un cervello finito. La nozione di sistemi finiti dotati di capacità infinita è stata intesa appieno a metà del Novecento, il che ha reso possibile formulare con chiarezza quella che secondo me dovrebbe essere riconosciuta come la proprietà più fondamentale del linguaggio, che chiamerò semplicemente «Proprietà fondamentale»: ogni lingua offre una serie illimitata di espressioni strutturate in maniera gerarchica le cui interpretazioni danno luogo a due interfacce, sensomotoria per l’espressione e concettuale-intenzionale per i processi mentali. Ciò consente una concreta formulazione dell’infinita capacità di Darwin o, risalendo molto più indietro, della classica affermazione di Aristotele secondo cui il linguaggio è suono dotato di senso, anche se le ricerche recenti mostrano che «suono» è troppo limitato.

Allorché, sessant’anni fa, si fecero i primissimi tentativi di costruzione di esplicite grammatiche generative, si scoprirono molti fenomeni sconcertanti che non erano stati osservati finché non si era formulata e affrontata in maniera chiara la «Proprietà fondamentale» e la sintassi era ancora considerata l’«uso delle parole» determinato dalla convenzione e dall’analogia. (…)

Uno degli enigmi relativi al linguaggio che venne alla luce sessant’anni fa e resta vivo ancora oggi, secondo me assai significativo nella sua portata, ha a che fare con un dato semplice ma curioso. Prendiamo la frase «istintivamente le aquile che volano nuotano». L’avverbio «istintivamente» è associato a un verbo, che è però nuotano, non volano. L’idea che le aquile che istintivamente volano nuotino non pone alcun problema, tuttavia non si può esprimere in questo modo. Analogamente la domanda «possono nuotare le aquile che volano?» riguarda la capacità di nuotare, non quella di volare.

La cosa sconcertante è che l’associazione degli elementi iniziali della proposizione, «istintivamente » o «possono», al verbo avviene a distanza ed è basata su proprietà strutturali; non avviene dunque per prossimità né è basata su proprietà lineari, operazione computazionale molto più semplice che sarebbe ottimale nell’elaborazione del linguaggio. Quest’ultimo fa uso di una proprietà di minima distanza strutturale, non adoperando mai la ben più semplice operazione della minima distanza lineare; in questo e in numerosi altri casi, nell’architettura del linguaggio si ignora la facilità di elaborazione.

In termini tecnici, le regole sono invariabilmente dipendenti dalla struttura e ignorano l’ordine lineare. L’enigma sta nel perché deve essere così, non solo in inglese ma in ogni lingua, e non soltanto per le costruzioni come quelle del nostro esempio ma anche per tutte le altre, in una vasta gamma.

Esiste una spiegazione tanto semplice quanto plausibile riguardo al fatto che in casi come questo il bambino conosce automaticamente la risposta giusta, anche se le prove sono scarse o inesistenti; l’ordine lineare semplicemente non esiste per chi apprende una lingua ed è messo di fronte a esempi del genere: questi è guidato da un principio fondamentale che ne restringe la ricerca alla minima distanza strutturale e gli impedisce la ben più semplice operazione della minima distanza lineare. Non conosco altre spiegazioni. E naturalmente questa ipotesi esige ulteriori spiegazioni: perché è così? Cos’ha di speciale il carattere geneticamente determinato del linguaggio che impone questa particolare condizione?

Il principio della distanza minima è largamente impiegato nell’architettura del linguaggio e si può supporre che si inscriva in un principio più generale, che chiameremo «Computazione minima», il quale a sua volta è presumibilmente un esempio di una ben più generale proprietà del mondo organico, o persino del mondo nella sua totalità. Deve comunque esistere una proprietà speciale dell’architettura del linguaggio che limita la «Computazione minima» alla distanza strutturale, invece che a quella lineare, malgrado la maggiore semplicità di quest’ultima nella computazione e nell’elaborazione.

Secondo una tesi più generale, in quelle zone essenziali del linguaggio in cui si applicano la sintassi e la semantica, l’ordine lineare non è mai tenuto in conto dalla computazione. Pertanto l’ordine lineare è una dimensione periferica del linguaggio, un riflesso delle proprietà del sistema sensomotorio, che lo richiede: non siamo in grado di parlare in parallelo o di produrre strutture, ma soltanto sequenze di parole. Nei suoi aspetti fondamentali, il sistema sensomotorio non è specificamente adattato al linguaggio: sembra che le componenti essenziali per l’espressione e la percezione fossero presenti già molto prima della comparsa del linguaggio.

È provato che il sistema uditivo degli scimpanzé potrebbe essere discretamente adatto al linguaggio umano, malgrado le scimmie non possano compiere nemmeno il primo passo verso l’acquisizione del linguaggio, estraendo dati relativi al linguaggio dalla «rigogliosa e ronzante confusione» che le circonda, mentre i neonati umani lo fanno di colpo, automaticamente, impresa tutt’altro che da poco. E anche se pare che la capacità di controllare il tratto vocale per parlare sia specifica degli esseri umani, non si può dare troppo peso a questa circostanza, dal momento che la produzione del linguaggio umano è indipendente dalle modalità in cui avviene, come hanno stabilito le recenti ricerche sulla lingua dei segni, e sono pochi i motivi per dubitare che le scimmie dispongano di adeguate capacità gestuali. È dunque evidente che nell’acquisizione e nell’architettura del linguaggio entrano in gioco proprietà cognitive assai più profonde.

Benchè la questione non sia risolta non sia risolta, prove considerevoli indicano che la tesi più generale è di fatto corretta: l’architettura fondamentale del linguaggio ignora l’ordine e altre disposizioni esterne. In particolare, nei casi essenziali l’interpretazione semantica dipende dalla gerarchia, non dall’ordine che si rinviene nelle forme espresse. Se le cose stanno così, la «Proprietà fondamentale» non è esattamente come l’ho formulata prima, né come è formulata nella produzione scientifica recente, compresi i miei articoli. Piuttosto, la «Proprietà fondamentale» è la generazione di una serie illimitata di espressioni gerarchicamente strutturate che corrispondono all’interfaccia concettuale-intenzionale, che costituiscono una sorta di «linguaggio del pensiero», molto probabilmente unico nel suo genere.

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