6 Novembre: sono passati sette mesi dal terremoto e la periferia della città va lentamente ripopolandosi anche se ancora più di ventimila persone sono ospitate negli alberghi della costa. Le scuole hanno riaperto negli edifici ristrutturati o nei cosiddetti MUSP (strutture provvisorie) e gli studenti frequentano regolarmente le lezioni, nonostante debbano percorrere ogni giorno molti chilometri in mezzo ad un traffico incontrollabile. La costruzione delle famose “case di Berlusconi” procede con qualche ritardo ma circa 1000 famiglie le abitano già e le altre dovrebbero avere l’assegnazione entro Gennaio.
Tutto bene dunque: è questa l’immagine veicolata dal Governo e ripresa dalla gran parte dei mezzi di informazione che parlano di compimento della prima fase di ricostruzione. In realtà a L’Aquila non è iniziata nessuna ricostruzione ma solo la costruzione di nuovi quartieri e villaggi, che sono peraltro privi di ogni struttura di servizio o di socialità. Tutta la città dentro le mura, il cosi detto centro storico che era abitato da 17.000 persone, è tuttora inaccessibile, se si escludono alcune arterie riaperte per motivi di viabilità, e nessuno può entrare nella propria abitazione senza la presenza dei vigili del fuoco. Le macerie non sono state rimosse e proprio ieri il Prefetto richiamava l’urgenza di questo problema segnalando che di questo passo la ricostruzione durerà 50 anni!
Il presidente Berlusconi, in visita ieri all’Aquila per la 24ma volta, lo ha rassicurato con una brillante idea: trasformare le macerie in collinette ricoperte di verde per abbellire il paesaggio. Nessuno ha ancora aperto una discussione pubblica su come e quando ricostruire il centro storico coinvolgendo i cittadini che pure stanno dando prova di uno straordinario attaccamento alla città. Nel frattempo le lungaggini burocratiche hanno impedito l’inizio dei lavori per la riparazione delle case della cintura periferica che sono meno compromesse. L’arrivo dell’inverno fa prevedere che tutto sarà rinviato alla prossima primavera.
Le cose non vanno meglio se guardiamo alla ricostruzione sociale. Il problema del lavoro rimane il più serio. Gli artigiani, i commercianti stanno faticosamente cercando di riprendere le loro attività, ma mancano gli spazi perché all’interno dei nuovi caseggiati non ci sono luoghi da utilizzare a questo fine e gli spazi riservati ai servizi attendono ancora progetti e risorse. Le fabbriche, già sofferenti per la crisi economica, tardano a riprendere la loro attività e anche l’edilizia locale e regionale non ha avuto ancora possibilità di incrementare la propria occupazione perché le imprese interessate alla costruzione dei nuovi insediamenti abitativi sono prevalentemente del Nord. Gli stessi lavoratori pubblici corrono il rischio di veder ridimensionati gli organici per la riduzione della popolazione.
L’Università, che, oltre ad essere un importante polo culturale e scientifico, costituiva una grande risorsa economica per la città, rischia un grave ridimensionamento degli iscritti, e conseguentemente dei docenti e degli impiegati, perché non ci sono risposte adeguate alla richiesta di alloggi per gli studenti fuorisede che pure avevano rinnovato la loro iscrizione. In questo contesto la Regione Lombardia ha costruito uno studentato di 120 posti letto che Formigoni ha inaugurato ieri alla presenza di tutte le autorità cittadine e dell’immancabile Bertolaso, affidandone la gestione non all’azienda per il diritto allo studio, come sarebbe stato logico trattandosi di soldi pubblici, ma alla Curia che ha già dichiarato che, per l’assegnazione dei posti, non si atterrà alle graduatorie formulate dagli uffici universitari.
Come si vede il terremoto ha distrutto molte certezze ma non l’intreccio tra potere pubblico e gerarchie ecclesiastiche.
A sette mesi dal terremoto, inoltre, gli aquilani non possono ancora contare su un Ospedale efficiente. Molti servizi sono ancora nelle tende, il laboratorio è costretto a mandare a Teramo gli esami batteriologici, le sale operatorie lavorano a ritmi ridotti, i posti letto disponibili sono meno di un terzo del necessario, i servizi di riabilitazione hanno dovuto ridurre drasticamente le prestazioni ai disabili. Eppure molte parti dell’Ospedale sono riparabili e riutilizzabili; la domanda che viene spontanea è perché, se è stato possibile costruire in 20 giorni un aeroporto per il G8, non sia stato invece possibile rendere agibile l’Ospedale in 7 mesi.
Potrei continuare ancora a lungo a citare problemi irrisolti che nessuno nomina ma penso che le cose dette fino a qui siano sufficienti a riconfermare che un terremoto è un evento catastrofico che lascia dietro di sé distruzioni materiali e sociali di grande rilevanza, tanto più se distrugge una città capoluogo di Regione ricca di storia e di monumenti. Pensare che si possa rispondere a questa situazione con un ottimismo di facciata, piuttosto che affrontando la realtà e chiamando all’impegno tutte le risorse dei cittadini, è una colpevole superficialità che rischia di condannare L’Aquila ad un futuro di mediocre cittadina di provincia e gli aquilani ad un vissuto di memorie senza prospettive.