Come una cena di gala che finisce per essere ricordata dalle posate di plastica, così la ricostruzione dell’Aquila, annunciata come la più eccellente prova italiana di efficienza, piega in questi giorni verso un ritorno all’intramontabile genere nazionale del fai da te.
Con una mossa piuttosto disperata, di fronte al vedo-non vedo della legge che assegna i soldi (che ci sarebbero o forse no) per rifare ogni cosa, la giunta comunale dell’Aquila con delibera 147 del 12 maggio scorso avverte i concittadini che si fossero stancati delle tende e degli alberghi di avanzare autonomamente verso le vicinanze di casa. Chiunque abbia un cortiletto, una piazzola, un bordo strada libero può realizzare - a proprie spese s’intende - un box, o anche una dimora in legno, oppure un container, una baracca. Il "manufatto temporaneo" non deve essere più alto di sei metri e più grande di 95 metri quadrati. Casa o negozio, fai tu! S’arrende sconfortato il municipio dell’Aquila e s’arrangi chi può. «Non potevamo comportarci diversamente, abbiamo necessità di restituire un po’ di vita alla città e di rispondere alle esigenze minime e urgentissime», commenta Antonello Bernardi, medico e consigliere comunale.
Il moto ondoso degli aiuti e della bontà nazionale sta lentamente acquietandosi. E il fuoco d’artificio aquilano, case a molle bellissime come l’Italia mai ha visto e avuto, pronte per l’uso e il consumo entro fine novembre, si spegne di fronte alla marea di lamiere che tra qualche giorno verrà consegnata alla vista del premier e, sfortuna, dei grandi della Terra per via del G8. Lamiere e baracche, proprio quello che Silvio Berlusconi ha cercato con ogni forza di evitare arrivando a sostenere il più rischioso dei progetti di sistemazione provvisoria: solo tende.
«La tenda inebetisce, massacra il morale, riduce l’intelligenza a zero e il corpo vitale di un lavoratore ad oggetto da assistere. Mangiamo bene tre volte al giorno, ci fanno fare la doccia e i bagni sono disinfettati due volte al dì... Le guardie ci controllano, gli infermieri ci aiutano e noi siamo lì reclusi e beati. Gente a cui il destino ha offerto prima della morte una vacanza, magari di merda, per un sacco di tempo», commenta l’architetto Antonio Perrotti, sistemato sotto la tela e promotore nel campo base del più agguerrito comitato popolare.
Il regime di vita, totalmente assistito, prevede in cambio però silenzio e ridotta capacità visiva. La nota della signora N. F., che il timore di rappresaglie induce a negare la propria identità, dimorante al campo base Italtel 1: «Capisco la sicurezza, ma con questa necessità si annienta ogni libertà di espressione. Al mio campo si entra e si esce solo con un badge di identificazione. Una sera iniziai a discutere con amici della necessità di fare qualcosa, muoverci, capire. Si forma un crocchio di una decina di persone e io inizio a interrogarmi ad alta voce. Passa qualche minuto e si fa vivo il muso di una camionetta dei carabinieri. Ci spiegano che ogni assembramento avente natura politica dev’essere autorizzato e che loro, finchè non fosse terminato il nostro conciliabolo, sarebbero rimasti lì ad ascoltare».
Guido Bertolaso, manager della ricostruzione, ha puntato tutto sulle case a molle, le palazzine in legno e cemento precompresso a due o tre piani, che devono servire alla nuova L’Aquila. Ha bisogno però di pace e concordia. Per averla ha chiesto aiuto ai carabinieri e convocato il vescovo. Monsignor Molinari gli ha portato tutti i parroci ai quali Bertolaso ha consigliato di farsi attivisti della Protezione civile: alleviare, attutire, sistemare, e - diamine! - zittire se è il caso.
Il conto per tenere gli aquilani (in silenzio) al mare e concedere ogni possibile servizio di catering a chi non ha lasciato la montagna costa tre milioni di euro al giorno. Ai quaranta gradi e alla scelta temeraria delle tende si fa fronte con i condizionatori appena montati. Il reparto di malattie infettive è stato robustamente integrato da medici, tutti i casi di malanno da tenda (gastroenteriti, bronchiti, polmoniti, asma e tubercolosi) saranno presto trattati nell’ala dell’ospedale restituita alla città (cento posti letto) e nelle attrezzature mediche del centro clinico fabbricato per il G8 (ottanta posti letto).
Dove può, Bertolaso mette un cerotto. Ma quale cerotto può coprire la decisione di trasferire la città in quindici little town, a distanza di sicurezza dal centro storico del capoluogo, il punto g del dolore? «Centosessanta ettari, un consumo di territorio infinito dislocato tra località remote. Alloggio sicuro per 15mila persone, ma inutile per L’Aquila che morrà nell’attesa». L’Aquila, dice l’architetto Perrotti, ha bisogno di una flebo immediata e urgente di vita «e invece vedo che corrono in tutt’altra direzione». La zona rossa ancora non è stata valutata dai tecnici e dunque la parte del corpo più ferito e più vitale della città resta abbandonato da ogni cura. «L’Aquila vive se il centro storico si rialza subito. La decisione di Bertolaso di trascinare via gli aquilani e sigillare il centro ammazza ogni speranza», dice Rossella Graziani, dipendente dell’università.
Pronta la risposta del governo. La legge che finanzia la ricostruzione c’è e ciascuno dove vorrà realizzerà quanto chiede. Al Senato sono giunte le norme e i capitoli di spesa sono stati corretti al rialzo. Ma anche qui affiora il dubbio che L’Aquila abbia prodotto, oltre la morte e la distruzione, una inestricabile questione matematica. Se al municipio del capoluogo sono giunte 100mila richieste di primo indennizzo a fronte di 70mila residenti («c’è un evidente squilibrio, dobbiamo controllare bene», annota il direttore generale del comune) in Parlamento la legge si gonfia di promesse finanziarie senza impegnare un euro in più di quelli già previsti... Sostiene il senatore Legnini, del Partito democratico: «Il governo ha deciso di saldare tutta la fattura per la casa ricostruita dal terremotato mettendo a copertura la identica somma. Vi sembra possibile?». Da decreto a legge abracadabra: ogni comma un mistero giacchè la ricostruzione pare frutto di un effetto ottico. Ma per fortuna ci penserà Bertolaso. L’ha detto al consiglio comunale: «Lasciate stare la politica, ci sono qua io».