Quante facce ha un cubo? Quello progettato a L’Aquila da Renzo Piano come Auditorium del parco, almeno due. C’è la festa inaugurale di domenica scorsa, con uno splendido concerto dei solisti dell’Orchestra Mozart diretti da Claudio Abbado, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e di numerose autorità, dal sindaco Massimo Cialente, a Gianni Letta, Franco Marini, assessori e varia umanità fino a Fabio Roversi Monaco presidente della stessa Mozart nonché gran maestro della massoneria. C’è soprattutto la generosità e la solidarietà: della provincia di Trento, che ha voluto donare questo Auditorium a una città colpita dal terremoto il 6 aprile del 2009; di Piano, che ha regalato il bozzetto del progetto di questa costruzione, che Napolitano ha voluto definire «agile, armoniosa ed elegante».
C’è la festa andata avanti fino alle 3 di notte, e dopo Abbado ha visto protagoniste le istituzioni musicali aquilane. C’è un nuovo luogo che nelle intenzioni sarà dedicato alla cultura.
C’è infine un tenero tocco di comicità paesana con Napolitano e Abbado che non si mettono d’accordo sull’orario di inizio, così il presidente arriva a concerto da poco iniziato, il direttore artistico della Mozart cerca d’interrompere, e con un gesto Abbado lo allontana - così Napolitano
entra all’inizio del secondo brano. Tutto bene dunque? In realtà l’Auditorium del Parco ha destato e desta mugugni e perplessità: a quattro anni dal sisma è stata costruita una struttura ancora incompleta e definita provvisoria, in attesa di quella definitiva che chissà quando arriverà. Le associazioni ambientaliste hanno inizialmente strepitato contro la posizione sul limitare del Castello nel bel mezzo di un parco disegnato un secolo fa da Giulio Tian.
Il costo, quasi 7 milioni euro, danaro pubblico ancorché erogato dalla Provincia di Trento, è cifra non lieve per un prefabbricato di legno colorato, sembra fatto col lego, sedie da regista come poltrone e la scarsità di bagni, cronica nelle opere di Piano. Se il bozzetto è stato regalato
dall’architetto, la sua squadra, il Workshop Piano, avrebbe percepito circa 700mila euro (altra cifra non lieve) per lo sviluppo del progetto, come denunciato dai giornali aquilani.
NELLA CITTÀ FANTASMA
Si è parlato perfino di pianesca carità pelosa, ma la perplessità maggiore è altra: l’Auditorium è stato assegnato alla società concertistica Barattelli, che tra abbonati e affezionati ha un pubblico potenziale di circa 700 persone, ma la struttura conta 238 posti, di cui effettivi pare solo 187.
I dubbi sull’utilità dell’Auditorium del Parco nascono anche perché a l’Aquila nel frattempo, anzi in molto meno tempo, è stato costruito un altro auditorium con la firma del celeberrimo architetto nipponico Shigeru Ban: è quello del Conservatorio, per 218 posti ma dal costo molto inferiore, circa 700 mila euro - quanto il cachet del solo Workshop Piano - e di cui 500 mila donati dal Giappone. Una struttura pronta da gennaio scorso, ma la cui apertura è bloccata da cavillerie burocratiche: è opinione diffusa che ciò avvenga poiché l’Auditorium di Piano doveva avere la precedenza. Per soprammercato è stata bandita e assegnata una gara per il progetto di un ulteriore Auditorium, stavolta da 700 posti.
Tra qualche protesta e mugugno, a l’Aquila vige il motto: «Intanto prendiamoci questo», atteggiamento che confina con la rassegnazione. Un passante di fronte al nuovo manufatto ha esclamato: «Andiamoci a dormire dentro, sembra un Map! », cioè uno di quei prefabbricati anch’essi costosissimi e di legno che il governo Berlusconi ha destinato agli aquilani nel post terremoto. La pensa così anche un gruppo di intellettuali e storici dell’arte che ha lanciato un appello - tra i firmatari Marta Petrusewicz, Vittorio Emiliani, Pier Luigi Cervellati, Maria Pia Guermandi - dove si parla di irruzione «delle famigerate new town» nel centro storico del capoluogo abruzzese.
Tra costi e reale utilità l’operazione dell’Auditorium del Parco, aldilà delle intenzioni, rischia di apparire demagogica, anche perché avviene in una città fantasma, dove le ferite del terremoto sono ancora pressoché tutte aperte, e dove una seria ricostruzione non appare ancora avviata sul campo.
Le due facce del cubo di Piano sembrano specchiarsi nella musica di Johann Sebastian Bach diretta da Abbado, e percorsa da una forte irrequietezza. Malgrado gli strumenti e le tecniche esecutive antiche è un Bach modernissimo, veloce, tirato nei tempi, e che non perde la sua eleganza. Anche grazie a solisti come Isabelle Faust, violino, Jacques Zoom, flauto, Wolfram Christ, viola, Reinhold Friedrich, tromba.
Ad Abbado il grande merito di aver acceso questa musica con un impulso ritmico danzante a tratti travolgente, avvolgendola in una concertazione trasparente dove si staglia il florido rigore della costruzione e della polifonia di Bach. Che in questa occasione ci ricorda quanto siano difficili da raggiungere dall’agire umano.