«I cittadini non possono essere esclusi. Vogliamo partecipare a un'idea di città, non solo nel centro storico, ma anche nelle periferie. Vogliamo entrare in una casa sicura ed essere d'esempio per tutti. Perché ogni 10 anni in Italia ci sarà un terremoto. E noi non vogliamo più cadere a pezzi. Punto». Un anno dopo, la richiesta è sempre la stessa. Ripetuta con il tono pacato di Giusi Pitari, prorettore delegato dell'università dell'Aquila. O urlata nelle manifestazioni dei comitati di cittadini, anche quelle - composte ma tese - che hanno attraversato la città nel primo triste anniversario del sisma.
Perché un anno dopo la scossa che ha distrutto il capoluogo d'Abruzzo, mentre gli aquilani si abituano a una nuova vita in mezzo a colline e campagne puntellate da Case (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) e Map (Moduli abitativi provvisori), mentre le attività economiche stentano a ripartire e i villeggianti forzati sulla costa invocano un aiuto per ritornare, un primo bilancio dice che la fase dell'emergenza non è ancora finita. A dispetto di proclami e promesse. Perché «la ricostruzione è stata impostata solo in minima parte»: si è pensato ad alloggiare i cittadini, ma non a offrire loro una reale prospettiva di rinascita della città e a coinvolgerli in quest'opera. Lo denuncia l'organizzazione internazionale Action Aid, che si occupa della lotta alla povertà e interviene in occasione delle emergenze per il sostegno alle popolazioni. In una video-inchiesta dal titolo eloquente, L’Aquila a pezzi, l'organizzazione analizza innanzitutto il tanto sbandierato beneficio che lo spostamento del G8 in Abruzzo avrebbe dovuto portare alle popolazioni colpite dal sisma. «Un' occasione storica», la definivano i vertici della Protezione civile. E invece il bilancio è a dir poco deludente. «Sconfortanti» i dati citati da Anna Maria Reggiani, direttrice regionale dei Beni culturali: «Già prima tutto il sistema museale locale arrivava a l00mila visitatori l'anno, che è poco.
Ora siamo scesi a 30 mila». E «inferiori alle aspettative» anche i finanziamenti per la ricostruzione del patrimonio storico (tre miliardi di euro stimati). Chi non ricorda la famosa lista di nozze che Silvio Berlusconi aveva agitato sotto il naso dei potenti della terra? Ebbene, «la richiesta che avevamo fatto per i 45 monumenti inseriti nella lista, ammontava a circa 250 milioni di euro - dice Luciano Marchetti, vicecommissario ai Beni culturali per la Protezione civile - Arriveremo a circa 40 o 50 milioni di euro». Insomma: le tre giornate del G8, esclusi i finanziamenti per la Maddalena, sono costate 185 milioni di euro, mentre ai monumenti della provincia de L'Aquila sono arrivati al mese scorso 34 milioni per la messa in sicurezza, più 15 milioni di impegni precisi da Paesi stranieri (Francia, Germania, Russia, Kazakistan). Quanto fatto finora? «Gocce nel mare», secondo Marchetti. E poi ci sono i cittadini, le loro case, il loro lavoro. Umberto Trasatti, segretario provinciale della Cgil, denuncia una «situazione drammatica»: «Abbiamo ancora oggi 16 mila persone senza lavoro. Delle quali 8mila hanno usufruito di un trattamento di 800 euro mensili per soli tre mesi». Gli ex commercianti del centro storico dell'Aquila, si contendono locali in affitto a cifre improponibili (fino a 3000 euro al mese per 100 metri quadri). E anche le attività che non hanno subito danni diretti dal terremoto, soffrono gli effetti di un'economia ferma. Tanti si sono già spostati in altre città e il rischio è che l'esodo sia sempre più massiccio. Anche se c'è un enorme desiderio di tornare, ad esempio da parte dei 3.500 sfollati che ancora oggi sono alloggiati negli alberghi sulla costa («non proprio una vacanza», sottolinea Action Aid), al costo di circa 580 mila euro al giorno.
Ma qui viene il tasto dolente. Le abitazioni. Il governo ha deciso di saltare la fase degli alloggi provvisori e passare dalle tende direttamente alle durevoli e antisismiche Case. Ebbene, in tanti denunciano essersi trattato di una scelta sbagliata. Non solo perché le Case si sono rivelate molto costose (2.428 euro a metro quadro, contro i 1.210 euro dei Map). Ma anche perché, come sottolinea l'ex presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, le new town pongono un enorme problema di «riorganizzazione sociale», con difficoltà di ambientamento delle persone e necessità di creare una rete di servizi. «Le new town ci hanno isolato, ci hanno diviso, abbiamo perso l'identità», dice la signora Gigina, 66 anni.
E l'urbanista Vezio De Lucia le dà ragione. «Il modello di ricostruzione de l'Aquila rappresenta una pesantissima ipoteca sul futuro della città. Si è provato a fare un salto, direttamente dalla tenda alla casa, che è un errore molto grave, perché obbliga a inventare lì per lì un modello urbano, che nella migliore delle ipotesi non può non essere affidato alla assoluta casualità. La casa - prosegue - è stata contrapposta come valore unico e assoluto a ogni altro: la casa contro la città. E sono del tutto mancate le risorse, le politiche e l'impegno per mettere mano alla ricostruzione del centro storico. Che dal punto di vista urbanistico e della vita civile è fondamentale: se non si recupera il centro storico de l'Aquila, la città è destinata a morire».
Per vedere i video su L’Aquila a pezzi (in particolare, n. 7 con l’intervista a Vezio De Lucia)