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Claudia Fusani
L’Aquila a due facce: l’oro e le mosche
6 Luglio 2009
Terremoto all'Aquila
“In vista del summit, a tre mesi dal terremoto, la città si presenta divisa: a una parte il lusso riservato ai Grandi, dall’altro il disagio degli sfollati”. L’Unità, 6 luglio 2009

Alle due del pomeriggio, caldo afoso e voglia di temporale, il signor Giuseppe, 76 anni, sfrutta un refolo d’aria e prova a dormire nella prima branda della tenda 17 tendopoli dell’Acquasanta, la sua casa dal 6 aprile scorso. Alla stessa ora, cinque chilometri più in là, nella caserma della Finanza a Coppito gli artigiani falegnami finiscono di consegnare le suite per i 39 leader del mondo in arrivo per il G8. Saranno pure spartane e però i letti sembrano comodi ed eleganti, legno e tappezzeria color crema. E il pavimento di granito non compete con il fondo di gomma della tenda 17 dove Giuseppe cerca di prendere sonno. Un’ora prima, alle tredici, Carla prende posto sulla panca della sala mensa della tendopoli di piazza d’Armi, un primo di penne con qualcosa che assomiglia alla panna (con questo caldo) e una pietanza che sembra tacchino. “Da tre mesi così” dice scacciando le mosche. “Visto quante ce ne sono?”. Alla stessa ora, sempre in caserma, i maestri falegnami stanno completando l’allestimento delle sale da pranzo per i vertici della prossima settima, ambiente climatizzato, parquet in terra, tavoli rotondi di legno, pareti di vetro oppure foderate di blu e grigio, cristallerie e porcellane, tovaglie di lino.

Due città nella stessa città. Due mondi lontanissimi negli stessi chilometri quadrati. Due facce di un volto solo e che, pure, non si parlano. C’è l’Aquila delle tendopoli, dei disagi, delle mosche, del caldo e della disperazione muta ma profonda di questa gente che a tre mesi esatti dal terremoto dice che «nulla è cambiato» nelle loro non-vite e che ancora non sanno quando cambierà qualcosa. E c’è l’Aquila del G8, i 48 ettari, i 70 campi di calcio, della caserma Vincenzo Giudice che in tre mesi ha visto tutto e il suo contrario, dalle trecento bare adagiate sul cemento della piazza d’Armi al comfort e al lusso declinati ai massimi livelli.

La città del G8 ha confini precisi, militarizzati da cinque mila uomini in divisa sui mezzi e a cavallo, appostati sulle montagne e dietro le batterie antimissili. Ha anche una precisa casella d’inizio, la rotonda tra via Fermi, la statale 80 e l’inizio di viale delle Fiamme Gialle che è stata allestita con un grande mosaico raffigurante un’aquila nera.

La città delle tendopoli comincia subito dopo la linea della militarizzazione e guarda all’altra con distacco, rabbia e diffidenza. Dice Carla mentre scaccia le mosche alla mensa di piazza d’Armi: «Là – e rivolge il volto verso Coppito – c’è il lusso, qui lo vede anche lei: nulla è cambiato nulla da tre mesi. Noi siamo riconoscenti a chi ci ha aiutato ma poi? Quanti soldi hanno speso per il G8? E quanti ne stanno spendendo sulla costa per dare un tetto a trentamila sfollati? Questi soldi non potevano essere subito impiegati qua?». Per esempio, insiste Carla, «io avevo una copisteria in centro, rilegavo tesi e facevo traduzioni. Da tre mesi chiedo se posso avviare l’attività altrove. Nessuna risposta». Eppure a Coppito la Protezione civile ha mostrato tutta la sua geometrica potenza ed efficienza nell’allestire la cittadella del G8. «Fanno tutto – insiste Carla – ma per loro. E per noi? Speriamo che almeno riescano a far restaurare qualche chiesa che sennò, altro che beffa ’sto G8».

È l’incertezza il male oscuro di chi vive nelle tendopoli, non avere date certe, una casella di ripartenza. Marco e sua moglie hanno quattro figli, la più piccola ha tre anni, il più grande ne ha 15. Da tre mesi condividono le tenda n.17 di Acquasanta con altre quattro persone sconosciute. Da allora cercano di avere una tenda tutta per loro. Non è stato possibile.

Ai loro occhi il G8 è solo «una provocazione»: «Noi vogliamo poter fare i lavori in casa e tornarci. Si dovevano concentrare su questo, altro che G8». Per le donazioni dei paesi stranieri «potevano organizzare una gita da Roma e avevamo risolto il problema». Duemila persone potranno andare a vivere nella caserma, nelle oltre mille stanze appena ristrutturate. «Duemila – scrolla la testa Marco – gli sfollati sono 55 mila e le casette basteranno per quindicimila?». I conti, in effetti, non tornano.

I piani di evacuazione dalla caserma scatteranno se e quando i sismografi misureranno scosse tra il 4 e il 4.5 della scala Richter. Gli psicologi volontari raccontano che in questi ultimi giorni l’augurio più diffuso tra gli sfollati è «una bella scossa sotto i piedi e sulla testa dei leader del mondo, così capiscono di cosa si parla».

A Coppito è tutto pronto, la mostra sul made in Italy e il made in Abruzzo, le mense, le tavole, le sale con i traduttori, tutto wifi e connessioni ultra veloci. Bruno ha compiuto 67 anni due giorni fa, vive nella tenda n.21 di Piazza d’Armi, gli hanno regalato un libro, La Gloria di Giuseppe Berto. Mostra fiero la dedica: «Ci vogliono tanti anni per diventare giovani». È un po’ commosso, l’inchiostro sta andando via, colpa dell’umidità delle tende.

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