Incultura, speculazione, malgoverno dei più preziosi beni culturali collaborano per tagliare a fettine e divorare storia e bellezza. Il Fatto quotidiano online, 18 febbraio 2013
“La morte dell’Appia Antica è lenta e graduale. Come quella di un verme che un bambino crudele taglia a fette, cominciando dalla coda”. Così scriveva Antonio Cederna, archeologo, urbanista, ambientalista e giornalista. Che fece della tutela dell’Appia antica, che gli valsero l’appellativo di “appiomane”, uno dei suoi cavalli di battaglia. Una battaglia a lungo se non solitaria, certamente non pienamente condivisa con la schiera di tutti gli amministratori dei territori attraversati dal passaggio della strada.
Una battaglia che sembrerebbe avere, almeno parzialmente, fine con esiti positivi, dopo l’accordo tra l’Assessorato all’Urbanistica del Comune di Roma, la Soprintendenza speciale ai beni archeologici di Roma e quella ai beni architettonici e paesaggistici. Almeno per quanto riguarda il settore compreso nel comune di Roma. A partire da ora ogni richiesta di condono dopo essere giunta all’ufficio abusivismo edilizio, sarà inviata in doppia copia ai due uffici del Mibac. I quali avranno 60 giorni per valutare ed esprimere un parere. Vincolante. Così le 438 richieste di condono in attesa di essere evase dovranno passare per questi controlli. Insomma si dà avvio ad un’iniziativa, istituzionale, che dovrebbe assicurare una vita nuova alla strada romana. Un’iniziativa felice. Ma che tardivamente affronta una questione antica. Che sana solo in esigua parte i guasti recenti. Non intervenendo sul pregresso.
Uscendo da Roma il disastro si evidenzia. La vista di quel che è accaduto ai diversi tratti il miglior modo per rendersi conto dell’irragionevole disinteresse. Prolungato, per decenni. L’Appia antica ha subito infinite manomissioni, di diversa entità. Inimmaginabili per un monumento della sua importanza. Il simbolo di una ricchissima casistica di infrastrutture che hanno consentito di collegare città e territori. Dell’Italia e del mondo antico. L’Appia antica costituisce (o dovrebbe costituire) per il Lazio e la Campania quel che la Tour Eiffel significa per Parigi (e la Francia). Oppure la Porta di Brandeburgo per Berlino. Ancora, il Partenone per Atene. In quali di questi casi ci si è così tenacemente disinteressati alla tutela e valorizzazione di quelle strutture? In quali di questi casi si è provveduto a derubricare a questioni sostanzialmente marginali quei simboli?
Mai, altrove, è accaduto quel che in Italia ha travolto la via Appia antica. Tratti obliterati da capannoni e abitazioni private. Ancora più che disconnessi dalle lavorazioni agricole. Nella campagna romana. Nei dintorni di Lanuvio. Come in quelli di Genzano e di Velletri. Ponti di attraversamento di corsi d’acqua che sono in gran parte sommersi da terra e immondizie. Come accade a quelli sul Fosso di Mele e a quelli sui Fossi di Civitana e delle Mole, a Velletri. Una via di penetrazione che avrebbe potuto (e potrebbe) essere trasformata in un asse per raggiungere e visitare i resti antichi che ancora si conservano. La via Appia, la bisettrice di un grande parco diffuso. L’occasione per coniugare sport e turismo culturale. Evidentemente un’occasione mancata.
Come dimostrano i tratti superstiti. Pochi e, spesso, abbastanza maltenuti. Come quello immediatamente a sud dell’abitato di Genzano, che dall’altezza della via Appia Nuova raggiunge il ponte della Ferrovia. Accessibile. Oppure quello nella campagna di Lanuvio, all’altezza del Ponte di Fosso Oscuro. Di più difficile accesso, perché all’interno di una proprietà privata. Ancora, quello ormai in territorio di Velletri, a Colle Ottone. Coincidente con la strada moderna. Come lasciano immaginare i tratti nei quali rimangono le opere di sostruzione alla strada. Alla discesa di via della Stella ad Ariccia o a San Gennaro, tra Lanuvio e Genzano. In entrambi i casi coincidenti con la via moderna. Senza contare il grande viadotto aricino sul quale transitano ancora i mezzi di ogni tipo. Casi differenti uniti da un’unica sorte. Quella di rimanere, di esserci, quasi loro malgrado. Quasi sempre privi di qualsiasi indicazione. Senza alcuna manutenzione. Spesso d’intralcio a quanti non interessati alle antichità, preferirebbero magari dei manti asfaltati ai basoli in stradali. Nella campagna di Lanuvio si è arrivati a costruire un edificio sul basolato. Nel territorio di Velletri a stupirsi di ritrovare parti della via e dei suoi annessi, procedendo ai lavori per l’allargamento di una scuola nella località Sole Luna.
Altri pezzi, tagliati, asportati. Proprio come scriveva Cederna. Gli abusi edilizi troveranno una loro soluzione. Forse. Ma intanto la strada rimane lì. Senza in fondo prospettive. Senza più ambizioni. Ridotta ad una strada chiusa. Che non porta più da nessuna parte. Insomma, un altro simbolo dismesso.