«Giusi Nicolini lo aveva detto ad aprile: “Il Pd non è con me. Sull’isola ha un altro candidato”. Quando lo storytelling renziano nasconde un'altra verità» Del resto, è difficile sostenere insieme Giusi Nicolini e Marco Minniti. il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2017 (p.d.)
Il popolo democratico ventoteniano accogliente terzomondista e obamiano, come da copione leopoldo, vibrava ancora dall’emozione di Fuocoammare vincitore a Berlino quando è arrivata la doccia fredda. Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa ormai per antonomasia, “salvatrice di vite” per l’Unesco e brand della “poesia dell’accoglienza” per Matteo Renzi, non ce l’ha fatta. Ha perso in casa sua contro la lista “Susemuni” (“Alziamoci”, a significare che con lei gli isolani erano riversi o bocconi), creata non da un leghista xenofobo, ma da un ex sindaco di Lampedusa di centrosinistra dal nome da suonatore di pianobar su una nave da crociera americana: Totò Martello.
Questo Totò Martello, che nel profilo Facebook appare col sole in faccia, la sciarpa al collo e il sigaro in mano, secondo le cronache è “amico dei pescatori”, proprietario di alberghi lampedusiani e gestore di un circolo del Pd, uno dei due sull’isola, dove l’altro fa capo al marito di Nicolini. Per noi che seguiamo il Twitter di @matteorenzi, e da tre anni retwittiamo le foto che lo ritraggono insieme alla sindaca mentre osservano entrambi il tramonto da uno scoglio, è stato un trauma. Per i lampedusani, aizzati da Totò Martello, un po’ meno. Sull’isola, Nicolini, candidata al Nobel per la Pace dal pidino Ermete Realacci, era “una ladra di medaglie”, una che badava più alla sua immagine che al benessere degli isolani, e Totò Martello ha meditato la sua rivincita sguarnito di (per 5 anni ha usato Facebook solo per scrivere “Buongiorno”, “Buonanotte” e “Buona Pasqua a tutti”) ma con l’orecchio a terra. E ha capito quel che Nicolini s’è fatta sfuggire nella rapinosa voluttà antropofagica di Matteo.
Così questa storia che pare un canovaccio camilleriano mostra in controluce la filigrana della narrazione renzista. Tutto quel che Renzi tocca, e tanto più quel che costruisce sopra alle persone per suo comodo, si scioglie al sole come il gelato Grom della gag nel cortile di Palazzo Chigi. Così nel marzo dell’anno scorso Matteo “raccontava” l’isola di Giusi Nicolini, che intanto diventava l’isola di Totò Martello: “Lampedusa, cuore d’Europa. Ho scelto di passare qui questo venerdì speciale, accolto da @giusi_nicolini e da una comunità bellissima”. Un mese prima non si faceva scappare gli allori italici: “Berlino premia Gianfranco Rosi, il suo talento e la poesia dell’accoglienza #Fuocoammare #orgoglio”. E poco dopo ribadiva: “Spero che #Fuocoammare vinca l’Oscar. Grazie #Lampedusa” (per chi avesse dubbi, Fuocoammare non vinse). Seguirono i giorni dell’epica: ben “quattro donne ‘simbolo dell'eccellenza italiana’ accompagneranno il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla Casa Bianca per la cena ufficiale con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama” (così Ansa l’ottobre scorso, con toni da agenzia Stefani). Come nelle corti del ‘500, quando i sovrani si facevano visita portandosi dietro musici, teatranti, ritrattisti, eruditi, cuochi e danzatori, Renzi con sé – a ornamento della sua gloria – portava due premi Oscar, uno stilista, un campione dell’Anticorruzione e, appunto, un poker di donne (come nell’Urss delle astronaute): l’atleta, la scienziata, l’architetta e la sindaca. Giusi Nicolini fu un colpaccio, spendibile negli Usa anti-Trump al pari del parmesan, simbolo degli italiani brava gente che vincono i premi ripescando la gente in mare (e chissà se Renzi se l’è rivenduta pure alla cena con Obama a Borgo Finocchietto, menù di Luca Bottura: cinque stagionature di parmigiano e dessert a base di fiori).
Erano i giorni della Speranza contro la Paura, dell’Amore che vince sull’Odio. Si favoleggiava di #Italiariparte e si copiava quel che faceva Papa Francesco, che a Lampedusa andò nel 2013 e, con gesto appena un po’retorico, bevve da un calice ricavato dal legno dei barconi. Si mandava Franceschini sull’isola a inaugurare il “Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo”; così come una settimana fa si mandava il ministro dello Sport Luca Lotti a “sostenere una grande donna e una brava sindaca” con la scusa di inaugurare un campo di calcio. Ebbene, Nicolini ha perso, con 908 voti contro i quasi 1600 di Totò Martello, avendo contro mezzo Pd locale e pure Pietro Bartolo, medico eroe di Fuocoammare e quindi ovviamente star dell’ultima Leopolda, dove Matteo lo abbracciò mostrandosi commosso. Renzi – che s’è guardato bene dal promuovere le primarie sull’isola – l’ha liquidata su Fb: “Ieri Giusi ha perso a Lampedusa, succede… Ma la qualità dei rapporti umani (come si sa, il suo forte, ndr) non viene mai meno. Grazie Giusi... Lavoreremo ancora nel Pd, avanti, insieme”. Noi le diremmo di scappare, indietro e da sola, perché per quanto ci piaccia Totò Martello, con quel nome da parrucchiere del New Jersey, la nostra solidarietà va lei, che ad aprile,benché tardi,aveva capito tutto: “Il Pd non è con me. Sull’isola ha un altro candidato”.