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Giuseppe De Giorgi
L'ammiraglio De Giorgi: «Non esistono muri in mare, per chi chiede aiuto»
10 Marzo 2016
2015-EsodoXXI
Intervistato da Elisabetta Rosaspina l'ammiraglio De Giorgi afferma:«Non esistono muri in mare, per chi chiede aiuto», e si comporta di conseguenza, sebbene la consegna sia il respingimento dei profughi verso l'inferno dal quale fuggono. Ma in terra può essere diverso?
Intervistato da Elisabetta Rosaspina l'ammiraglio De Giorgi afferma:«Non esistono muri in mare, per chi chiede aiuto», e si comporta di conseguenza, sebbene la consegna sia il respingimento dei profughi verso l'inferno dal quale fuggono. Ma in terra può essere diverso?

Corriere della sera, 10 marzo 2016

«Non esistono muri in mare, per chi chiede aiuto». L’Europa può decidere di sbriciolarsi, barricarsi, disseminare i suoi confini terrestri di filo spinato, per cercare di fermare i profughi, ma in mare vige un’altra legge. Un imperativo morale: «Io non lascio indietro nessuno, neppure un cane» assicura il capo di stato maggiore della Marina Militare italiana, ammiraglio Giuseppe De Giorgi. Che parla fuori di metafora, perché, quando diresse per 72 ore consecutive, alla fine del 2014, le operazioni di salvataggio dei 400 passeggeri del traghetto Norman Atlantic, in fiamme nel canale di Sicilia, mantenne gli elicotteri in verticale sulla nave, nonostante il fumo e le fiamme, finché non furono evacuati dal ponte anche gli ultimi esseri viventi: tre cani.

E proprio a uno di loro, il più grosso, l’ammiraglio e la coautrice Daniela Morelli hanno dato voce nel loro libro S.O.S Uomo in mare (Giunti Editore) per descrivere quelle notti e quei giorni di paura a bordo del traghetto sempre più rovente, sempre più inclinato, nel mare grosso.

La figura peggiore è quella degli umani che litigano per accaparrarsi i primi giubbotti di salvataggio.

«Quando c’è pericolo, molti perdono i freni inibitori. Per questo ordinai subito di calare a bordo un team di soccorritori che ristabilisse l’ordine. C’erano giubbotti per tutti. Pure per i cani».

Perché il libro, in cui si parla anche dell’operazione Mare Nostrum e del calvario dei profughi, esce in una collana per ragazzi?
«Perché non vorrei che le nuove generazioni crescessero pensando che sia giusto o normale abbandonare al suo destino chi fugge dalla guerra, e che si possano respingere e lasciar affogare masse di disperati».

Intanto però a Bruxelles si discute di confini marittimi e di blocchi.
«Non lo so. Noi blocchiamo soltanto i trafficanti di armi, uomini e droga. Ne abbiamo arrestati seicento con Mare Nostrum, una cinquantina con Mare Sicuro. Non esistono muri in mare per chi sta affogare. Non abbandoniamo neanche i morti. Tra poche settimane, fra la fine di aprile e l’inizio di maggio, la Marina Militare procederà al recupero, da una profondità di 375 metri, dell’intero peschereccio carico di immigrati naufragato nel Canale di Sicilia il 18 aprile dell’anno scorso. Nella pancia di quella nave sono intrappolati ancora almeno 300 o 400 corpi, stando alle testimonianze dei pochi superstiti».

Erano i passeggeri di terza classe?
«Sì, quelli che avevano pagato ai trafficanti 800 dollari a testa per finire rinchiusi nella stiva, fra le esalazioni di Co2, e a contatto con quel miscuglio di acqua e gasolio, sul fondo, che ustiona atrocemente la pelle. Ci volevano 1.000 o 1.500 dollari per un posto migliore, sul barcone. Abbiamo già recuperato 169 salme dal fondo del mare, altre 52 le avevamo ritrovate nell’immediato. Ora ci prepariamo a riportarle in superficie tutte. Per tutte è previsto l’analisi del Dna, a tutte deve essere data la possibilità di essere identificate e restituite alle famiglie».

Dopo più di un anno in mare?
«A 375 metri di profondità, il buio, il freddo, la pressione dell’acqua e la scarsità di fauna contribuiscono alla conservazione dei corpi. Il presidente del Consiglio, Renzi, ci ha dato l’incarico di recuperarli tutti. E lo faremo, a qualunque costo, con robot e sistemi pilotati a distanza».

Da Mare Nostrum a Mare Sicuro, a Eunavfor Med: con i nomi, cambiano gli obiettivi delle missioni?
«I pilastri operativi di Mare Sicuro sono il ripristino dell’uso legittimo del mare, la protezione della sicurezza e degli interessi nazionali, come le piattaforme petrolifere, da possibili attacchi terroristici. Ma anche dei pescherecci italiani e dei mezzi di soccorso: è già accaduto che una nave della Capitaneria di porto fosse attaccata dagli scafisti ai quali aveva sequestrato il barcone. Eunavfor è un’iniziativa europea voluta dall’Italia, ed è servita come bastione per il controllo delle acque internazionali, le ispezioni dei mercantili. Un incremento degli obiettivi può venire dalla decisione dell’Unione Europea di passare a una nuova fase e di operare in acque libiche».

Lei che ne pensa?
«Sono valutazioni politiche in cui non entro. Noi abbiamo in zona la portaerei e nave ospedale Cavour , che ha tutte le capacità di comando e controllo delle operazioni, concepita per interventi di protezione civile. E poi il vecchio portaelicotteri Garibaldi ».

L’anno scorso si era lamentato dell’insufficienza della flotta, delle navi obsolete.
«Ed è servito. Nel 2020 avremo i primi pattugliatori polivalenti d’altura: 136 metri di lunghezza, una piattaforma innovativa che permette di cambiare rapidamente configurazione d’impiego, per antipirateria, sorveglianza, ripristino di comunicazioni, elettricità, acqua potabile, in caso di calamità naturali».

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