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Eugenio Scalfari
L’America che vive con l’Africa in casa
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
“La verità è che gli imperi non sono compatibili con la democrazia”. Da la Repubblica del 4 settembre 2005

SAREBBE un grave errore e un’insopportabile manifestazione di faziosità prendere occasione dal disastro della Louisiana per dare sfogo a sentimenti antiamericani o anche a critiche settarie all’imprevidenza e alla disorganizzazione dell’amministrazione di George W. Bush.

I devoti dell’infallibilità del presidente, più rumorosi in Italia che in qualunque altro paese d’Europa, tuonano da sei giorni contro quest’inesistente fiammata antiamericana della quale non v’è traccia alcuna.

Tuonano contro un bersaglio che non c’è, ma quel cannoneggiamento ha tuttavia un senso: serve ad impedire una riflessione pacata su alcuni problemi di fondo che interessano non solo l’America, ma anche l’Europa e tutto il grande universo mentale che chiamiamo Occidente, cultura e politica liberal-democratica, solidarietà, eguaglianza degli individui e delle comunità di fronte alla legge, di fronte al mercato, di fronte al potere ovunque collocato e gestito.

Serve anche, quel cannoneggiamento preventivo apparentemente privo di bersaglio, a "tentar di" evitare una domanda-chiave che domina dal 1989 il panorama internazionale e cioè la compatibilità di un Impero con il mondo del XXI secolo, con lo stato di diritto, con la globalità della tecnologia, con la convivenza sempre più difficile tra la ricchezza e la povertà.

Eppure quella domanda si è posta e si ripropone con una forza pari all’uragano Katrina che ha seminato morte e rovine su tutta la costa americana che si affaccia sul golfo del Messico.

Questa catastrofe naturale, oltre a scoperchiare migliaia di case, ha messo sotto gli occhi dell’America e del mondo intero una realtà sociale di disuguaglianza estrema, di degrado estremo, di rabbia e frustrazione diffuse tra le moltitudini di colore degli Stati americani del sud e dei ghetti urbani del nord e dell’ovest. Ha messo in evidenza la fragilità profonda del paese-guida dell’Occidente e dei valori che vuole esportare e dei quali si ritiene depositario ma che risultano vistosamente traditi e assenti in casa propria ad un secolo e mezzo di distanza dalla guerra di secessione.

Gli Stati Uniti d’America sono un grande e generoso paese verso il quale l’Europa ha debiti inestinguibili come altrettanto inestinguibili sono i debiti dell’America verso di noi. Sono, al tempo stesso, la più grande potenza economica, tecnologica e militare del mondo, almeno per ora e sicuramente per i prossimi cinquant’anni. L’impero americano, la "pax" americana, sono una comprensibile tentazione. Comprensibile quanto rovinosa.

Almeno metà del popolo americano ne è perfettamente consapevole, ma il terrorismo internazionale con la sua criminale strategia l’ha resa impotente.

Il terrorismo internazionale ha temuto che George W. Bush perdesse il potere, non ottenesse il suo secondo mandato. Il terrorismo internazionale vuole che l’America sia sedotta dal fantasma dell’Impero, dedichi ad esso tutta la sua attenzione, la sua strategia, le sue risorse, contrapponga il dio cristiano al dio dell’Islam, arruoli un esercito di colore contro promesse di cittadinanza e di benefici giudiziari. Questo vuole il terrorismo internazionale, per poter diffondere l’antiamericanismo in tutto il mondo povero, per sollevare le periferie povere del mondo contro il privilegio della ricchezza e del potere.

L’uragano Katrina non è certo colpa di Bush, ma mette a nudo una realtà che conoscevamo sui libri e nei film ma non avevamo ancora mai visto in queste dimensioni con gli occhi impietosi della televisione.

L’America salvò Berlino dal blocco sovietico attraverso il più gigantesco ponte aereo che in quarantott’ore e poi per alcuni mesi tenne in vita centinaia di migliaia di persone altrimenti isolate dal resto del mondo.

L’America ha trasportato in poche settimane un’armata di centinaia di migliaia di soldati in Arabia per la prima guerra del Golfo. Altrettanto ha fatto undici anni dopo per l’invasione dell’Iraq. L’America nel 1969 portò la sua bandiera sulla luna.

Ma sei giorni dopo la catastrofe di Katrina non è ancora riuscita a seppellire i morti di New Orleans, a domare i saccheggi, a sgombrare decine di migliaia di persone abbandonate in un’immensa palude, a far arrivare viveri e medicinali. Ancora ieri il sindaco della città imprecava, piangeva, implorava e bestemmiava di fronte alle telecamere denunciando il caos e l’abbandono. Metà della polizia urbana scomparsa, dileguata, liquefatta, niente autobus, niente soccorsi. «Requisite gli autobus, mandatemi la Guardia Nazionale, se non l’avete mandatemi i caschi blu della fottuta Onu, mobilitate tutti gli elicotteri. Siamo sott’acqua da sei giorni, quanto ancora dobbiamo aspettare?».

È un’invenzione dei giornali antiamericani? Delle tv antiamericane? Del New York Times, del Los Angeles Time, del Washington Post, di tutta la stampa americana convertita improvvisamente al partito antiamericano? Oppure il dio degli eserciti assiste solo i combattenti ma non i volontari della Protezione civile?

* * *

La verità è che gli imperi non sono compatibili con la democrazia.

Deformano la democrazia. Ne concedono il simulacro soltanto a chi faccia atto di sottomissione all’impero e debbono mantenere quel simulacro ponendovi a guardia eserciti permanenti e necessariamente mercenari.

Considerando barbari i popoli che vivono fuori dai confini dell’impero e quelli che, dentro quei confini, non accettano i mores e non pagano il tributo dovuto al centro dell’impero. La storia è piena di esempi e non se ne conoscono eccezioni, da Cesare a Napoleone, passando per Filippo di Spagna, per la Compagnia delle Indie, per le colonie inglesi, olandesi, portoghesi, francesi, belghe, tedesche. Per l’impero ottomano. Per la dominazione russa sulle terre del Caucaso e dell’Asia centrale. Per l’impero asburgico.

Roma non fa eccezione: dalla dinastia Giulio-Claudia fino agli Antonini la guerra ai confini e la repressione dentro i confini fu una costante che accompagnò l’espansione. Poi cominciò il declino. Erano tollerantissimi con gli altri culti, ma non con chi rifiutava il culto alla divinità dell’imperatore. La democrazia negli imperi, quelli antichi ma anche quelli moderni, è stata un lusso riservato ai cittadini di serie A. La libertà privata è stata ampia dentro i confini, ma quella politica è stata di fatto azzerata. Azzerato l’autogoverno. Imbrigliata l’opposizione.

Bisogna dunque maneggiare con estrema cautela il concetto e la pratica dell’impero. Bisogna esser consapevoli che la disparità delle ricchezze inocula virus terribili, tra i quali predomina quello del fanatismo. Dal fanatismo al terrorismo il passo è brevissimo. Il nazionalismo militarista è sempre servito a esportare fuori dai confini i problemi che all’interno non si sapevano o non si volevano risolvere. Il nazionalismo militarista applicato su scala imperiale moltiplica all’ennesima potenza la gravità e l’insolubilità di quei problemi.

Tutto ciò detto, oggi bisognerebbe che il mondo benestante desse una mano alla benestante America per aiutarla a ricostruire New Orleans. Perfino Fidel Castro si è quotato malgrado l’embargo che pesa su Cuba. Siamo tutti louisiani, non è vero?

Ma risolvere il problema delle terribili diseguaglianze della società americana e soprattutto afro-americana non può essere certo compito dell’Europa. Gli amici dell’America possono soltanto segnalarne la gravità.

L’America vive in tutti i sensi con l’Africa in casa. Ma non sembra che questa situazione rappresenti una priorità per la classe dirigente americana.

Questa trascuranza, essa sì, preoccupa fortemente i veri amici dell’America.

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