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Guido Viale
L’ambiente inquinato degli stati d’Europa
30 Ottobre 2015
Invertire la rotta
«Cambiamento possibile. L’immigrazione e il cambiamento climatico saranno i temi centrali del confronto politico per i prossimi decenni. Le prospettive puramente nazionali o istituzionali sono del tutto insufficienti ad intaccare questi problemi».
«Cambiamento possibile. L’immigrazione e il cambiamento climatico saranno i temi centrali del confronto politico per i prossimi decenni. Le prospettive puramente nazionali o istituzionali sono del tutto insufficienti ad intaccare questi problemi». Il manifesto, 30 ottobre 2015


Due temi oggi cen­trali, appa­ren­te­mente distinti, andreb­bero invece con­nessi in modo diretto.

Primo, la COP 21 di Parigi, forse ultima occa­sione per un’inversione di rotta sul riscal­da­mento glo­bale che rischia di ren­dere irre­ver­si­bili i cam­bia­menti cli­ma­tici già in corso. A que­sta minac­cia abbiamo da tempo con­trap­po­sto il pro­gramma di una con­ver­sione eco­lo­gica, sulle tracce di Alex Lan­ger e, ora, anche dell’enciclica Lau­dato si’ e del libro Una rivo­lu­zione ci sal­verà dove Naomi Klein spiega che abban­do­nare i com­bu­sti­bili fos­sili richiede un sov­ver­ti­mento radi­cale degli assetti pro­dut­tivi e sociali; per que­sto le destre con­ser­va­trici, e non solo loro, sono fero­ce­mente nega­zio­ni­ste. L’aggressione alle risorse della terra si lega alla povertà e alle dise­gua­glianze del pia­neta: sia nei rap­porti tra Glo­bal North e Glo­bal South, sia all’interno di ogni sin­golo paese: ciò che uni­sce in un unico obiet­tivo giu­sti­zia sociale e giu­sti­zia ambientale.

Secondo, i pro­fu­ghi. La distin­zione tra pro­fu­ghi di guerra e migranti eco­no­mici, su cui i governi dell’Ue stanno costruendo le loro poli­ti­che di difesa da que­sta pre­sunta inva­sione di nuovi «bar­bari», non ha alcun fon­da­mento: entrambi sono in realtà «pro­fu­ghi ambien­tali», per­ché all’origine delle con­di­zioni che li hanno costretti a fug­gire dai loro paesi, cosa che nes­suno fa mai volen­tieri, c’è una inso­ste­ni­bi­lità pro­vo­cata dai cam­bia­menti cli­ma­tici, dal sac­cheg­gio delle risorse locali, dalla penu­ria di acqua, dall’inquinamento dei suoli, tutti feno­meni in larga parte pro­dotti dall’economia del Glo­bal North. Il pro­blema occu­perà tutto lo spa­zio del discorso poli­tico e del con­flitto nei pros­simi anni. E, nel ten­ta­tivo di sca­ri­car­sene a vicenda l’onere, sta divi­dendo tra loro i governi dell’Unione euro­pea che ave­vano invece tro­vato l’unanimità nel far pagare alla Gre­cia la sua ribel­lione con­tro l’austerità. L’Ue, non come isti­tu­zione, e nean­che nei suoi con­fini, bensì come ambito di un pro­cesso sociale, cul­tu­rale e poli­tico che abbrac­cia insieme all’Europa tutto lo spa­zio geo­gra­fico e poli­tico coin­volto da que­sti flussi, deve restare un punto di rife­ri­mento irri­nun­cia­bile per una pro­spet­tiva poli­tica che, rin­chiusa a livello nazio­nale, non ha alcuna pos­si­bi­lità di affermarsi.

Coloro che si sono riu­niti per affer­mare un loro posi­zio­na­mento rias­sunto nelle for­mule «No all’euro, No all’UE, No alla Nato» (decli­nate in ter­mini di sovra­nità nazio­nale, anche con lo slo­gan «Fuori l’Italia dalla Nato», che lascia da parte l’Europa) si sono dimen­ti­cati dei pro­fu­ghi. Nella loro pro­spet­tiva a fron­teg­giare i flussi pre­senti e futuri, sia con i respin­gi­menti che con l’accoglienza, reste­reb­bero solo gli unici due punti di approdo di que­sto esodo: Ita­lia e Gre­cia. Ma men­tre l’Europa nel suo com­plesso avrebbe le risorse per farvi fronte, l’Italia, con una recu­pe­rata sovra­nità — posto che la cosa abbia senso e sia rea­liz­za­bile – ne rimar­rebbe schiac­ciata: il che forse rien­tra tra le opzioni della gover­nance euro­pea, non tra le nostre.

Quei flussi migra­tori stanno però creando una frat­tura sociale, cul­tu­rale e poli­tica anche all’interno di ogni paese: tra una com­po­nente mag­gio­ri­ta­ria, ma non ancora vin­cente, di raz­zi­sti, che vor­reb­bero sba­raz­zarsi del pro­blema con le spicce, e una com­po­nente soli­dale, oggi mino­ri­ta­ria, ma tutt’altro che insi­gni­fi­cante (come lo è invece la mag­gior parte della sini­stra europea).

Tra loro i governi dell’Europa si bar­ca­me­nano: dopo aver aiz­zato il loro elet­to­rato, per fide­liz­zarlo, con­tro i popoli fan­nul­loni e paras­siti che sareb­bero all’origine della crisi eco­no­mica, si ren­dono ora conto che quel tema gli sta sfug­gendo di mano e viene ripreso, in fun­zione anti-migranti, da forze ben più capaci di loro di met­terlo a frutto.

Se per fer­mare quei flussi bastasse adot­tare misure molto dure, come bar­riere, respin­gi­menti, ester­na­liz­za­zione dei campi, esclu­sione sociale e car­ce­ra­zione, pro­ba­bil­mente avreb­bero già vinto i nostri anta­go­ni­sti. Ma le cose non stanno così.

Innan­zi­tutto quei pro­fu­ghi e migranti sono già, per molti versi, cit­ta­dini euro­pei, per­ché si sen­tono tali: vedono nell’Europa la zona forte di un’area molto più vasta, quella dove si mani­fe­stano gli effetti dei pro­cessi – guerre, dit­ta­ture, deva­sta­zioni, cam­bia­menti cli­ma­tici – che li hanno costretti a fuggire.
Pen­sano all’Europa come a un loro diritto: un sen­tire che li pone in aperto con­flitto con i governi dell’Unione, che di quel diritto non ne vogliono sapere. Per que­sto sono una com­po­nente fon­da­men­tale del pro­le­ta­riato euro­peo che esige un cam­bia­mento di rotta fuori e den­tro i con­fini dell’Unione.

Poi, sigil­lare la «for­tezza Europa» non è sem­plice: signi­fica addos­sarsi la respon­sa­bi­lità di una strage con­ti­nua e cre­scente che scon­fina con una poli­tica di ster­mi­nio pia­ni­fi­cata e orga­niz­zata: un pro­cesso già in corso da tempo e taciuto nel suo svol­gi­mento quo­ti­diano. Ma quanti sanno che i morti nei deserti, durante la tra­ver­sata verso i porti di imbarco, sono più nume­rosi degli anne­gati nel Mediterraneo?

Terzo: la chiu­sura delle fron­tiere non può che tra­dursi in feroce irri­gi­di­mento degli assetti poli­tici interni: repres­sione, auto­ri­ta­ri­smo, disci­pli­na­mento e limi­ta­zione delle libertà; a com­ple­mento delle poli­ti­che di austerità.

Infine, in una pro­spet­tiva di mili­ta­riz­za­zione sociale non c’è spa­zio per la con­ver­sione eco­lo­gica e la lotta con­tro i cam­bia­menti cli­ma­tici. Ma il dete­rio­ra­mento di clima e ambiente pro­ce­derà comun­que, tro­vando la for­tezza Europa sem­pre più impre­pa­rata sia in ter­mini di miti­ga­zione che di adattamento.

Per que­sto acco­glienza, inclu­sione e inse­ri­mento sociale e lavo­ra­tivo dei pro­fu­ghi si inne­stano sui pro­grammi di con­ver­sione eco­lo­gica: attra­verso diversi passaggi:
  1. occorre pren­dere atto che i con­fini dell’Europa non coin­ci­dono né con quelli dell’euro, né con quelli dell’Unione o della Nato, ma abbrac­ciano tutti i paesi da cui pro­ven­gono i flussi mag­giori di migranti: Medio Oriente, Magh­reb, Africa subsahariana.
  2. occorre saper vedere nei pro­fu­ghi che rag­giun­gono l’Europa, o che sono già inse­diati in essa, ma anche in quelli mala­mente accam­pati ai suoi con­fini, i refe­renti – gra­zie anche ai rap­porti che con­ti­nuano a intrat­te­nere con le loro comu­nità di ori­gine – di un’alternativa sociale alle forze oggi impe­gnate nelle guerre, nel soste­gno alle dit­ta­ture e nelle deva­sta­zioni dei ter­ri­tori che li hanno costretti a fug­gire. Non c’è par­ti­giano della pace migliore di chi fugge dalla guerra; né soste­ni­tore della rina­scita del pro­prio paese più con­vinto di chi ha subito le con­se­guenze del suo degrado.
  3. Dob­biamo vedere nell’inserimento lavo­ra­tivo dei pro­fu­ghi una com­po­nente irri­nun­cia­bile della loro inclu­sione sociale e poli­tica. Per que­sto occor­rono milioni di nuovi posti di lavoro, un’abitazione decente e un’assistenza ade­guata sia per loro che per i cit­ta­dini euro­pei che ne sono privi. Non biso­gna ali­men­tare l’idea che ai pro­fu­ghi siano desti­nate più risorse di quelle dedi­cate ai cit­ta­dini euro­pei in difficoltà.
La con­ver­sione eco­lo­gica e, ovvia­mente, la fine delle poli­ti­che di auste­rità pos­sono ren­dere effet­tivo que­sto obiet­tivo. I set­tori in cui è essen­ziale inter­ve­nire sono noti: fonti rin­no­va­bili, effi­cienza ener­ge­tica, agri­col­tura e indu­stria di pic­cola taglia, eco­lo­gi­che e di pros­si­mità, gestione dei rifiuti, mobi­lità soste­ni­bile, edi­li­zia e sal­va­guar­dia del ter­ri­to­rio. Oltre agli ambiti tra­sver­sali: cul­tura, istru­zione, salute, ricerca.

L’establishment euro­peo non ha né la cul­tura, né l’esperienza, né gli stru­menti per affron­tare un com­pito del genere; ha anzi dimo­strato di non volere acco­gliere né inclu­dere nean­che milioni di cit­ta­dini euro­pei a cui con­ti­nua a sot­trarre lavoro, red­dito, casa, istru­zione, assi­stenza sani­ta­ria, pensioni.
Meno che mai si può affi­dare quel com­pito alle forze «spon­ta­nee» del mer­cato. Solo il terzo set­tore, l’economia sociale e soli­dale, nono­stante tutte le aber­ra­zioni di cui ha dato prova in tempi recenti — soprat­tutto in Ita­lia, e soprat­tutto nei con­fronti dei migranti — ha matu­rato un’esperienza pra­tica, una cul­tura e un baga­glio di pro­getti in que­sto campo.

Per que­sto è della mas­sima impor­tanza impe­gnarsi nella pro­mo­zione di que­sti obiet­tivi, anche uti­liz­zando la sca­denza del Forum euro­peo dell’Economia sociale e soli­dale a Bru­xel­les il pros­simo 28 gennaio.
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