«Ex Caserma Masini. Oltre 10mila in piazza dopo gli sgomberi del Làbas e di Crash, l’8 agosto. Il sindaco Merola corre ai ripari e promette un’altra sede». Ha compreso che il potere urbanistico non è della CDP. il manifesto, 10 settembre 2017
Almeno diecimila persone in corteo a Bologna per «riaprire Làbas» ieri hanno cambiato il segno dell’estate dei manganelli e degli sgomberi. Tra i portici e i viali ha sfilato una densa rappresentanza plurale, e non riconciliata, della sinistra politica, dei movimenti e dei sindacati che hanno risposto all’appello degli attivisti dell’ex Caserma Masini sgomberata l’8 agosto scorso insieme al laboratorio Crash. Altrove diviso, spesso invisibile, stretto dalla repressione, questo schieramento è stato il risultato di una campagna efficace e l’effetto della percezione di un pericolo estremo: il deserto politico chiamato «legalità» e «decoro».
Gli sgomberi di Crash e Làbas sono stati considerati la goccia che ha fatto traboccare il vaso tanto a Bologna, quanto nel resto del paese. L’apice di una stagione di eventi drammatici, come quello dei rifugiati eritrei da piazza Indipendenza a Roma, mentre la politica è ostaggio dai poteri di polizia e della magistratura. In questo vuoto democratico, dove prevalgono le istanze di una legalità astratta e un razzismo diffuso, ieri è stata data una risposta di segno opposto. «Ogni città prende forma dal deserto a cui si oppone» sostengono gli attivisti di Làbas.
Non è mancata l’ironia sui paradossi della situazione. «Il popolo di Bologna sa tenersi cari i suoi poeti e anche i suoi ribelli – ha detto all’inizio del corteo Lodo Guenzi, il cantante de «Lo Stato Sociale», citando beffardamente una prolusione del sindaco Merola su Freak Antoni degli Skiantos – Una persona che piange al suo funerale faccia in modo che i ribelli di oggi diano nuova vita alla loro città».
La manifestazione è stata preceduta da un risultato importante. In una lettera il sindaco di Bologna Virginio Merola ha assicurato che entro due mesi sarà data a Làbas una soluzione «ponte». L’opzione più accreditata è quella di vicolo Bolognetti, già sede del quartiere San Vitale dove per cinque anni ha operato l’occupazione. Le attività di Làbas dovrebbero trasferirsi in seguito nell’ex caserma Staveco, dove sono previsti anche i nuovi uffici giudiziari. «Pensate che bello, gli uffici della legalità accanto alla vita della società. Comune è quello che fate voi, questo è il comune» ha ironizzato Alessandro Bergonzoni a una piazza XX settembre gremita.
A metà agosto su questa assegnazione è scoppiato un conflitto tra il sindaco e i magistrati bolognesi, contrari a questa soluzione. Per gli attivisti di Làbas, invece, si tratta di «una straordinaria conquista per la città» perché «ci permette di dare continuità e non disperdere le attività» che hanno riscosso il consenso degli abitanti di San Vitale. Il senso di questa «conquista» è considerato anche rispetto alle altre realtà sgomberate (Crash, che terrà un concerto-protesta in piazza Verdi giovedì 14) o sotto sgombero (XM24).
Il ritorno alla politica potrebbe arrestare la catena di sgomberi e rimettere in discussione il «Piano Operativo Comunale» (Poc) con il quale la giunta Merola (Pd) intende ridisegnare il futuro urbanistico di Bologna. Làbas chiede un cambio del Poc e un uso socialmente utile degli spazi e delle case vuote. Il criterio è quello della rigenerazione urbana realizzata attraverso processi di partecipazione e auto-governo, necessari per affrontare l’emergenza abitativa e la richiesta diffusa di culture e relazioni. Su queste pratiche a Bologna si può avviare un «processo di convergenza» tra «migliaia di persone» sostiene Detjon Begaj, consigliere di Coalizione civica nel quartiere di Santo Stefano.
Questo processo dovrebbe essere «sostenuto da attività organizzate dal basso che mirano a costruire qualcosa con le persone e non per gli utenti» sostiene un documento che ha raccolto l’adesione dell’XM24, Consultoria, Usb Asia e altre realtà. Una dialettica «non riducibile alla forma associativa o al patto collaborativo» precisano. Si tratta di una critica alla sussidiarietà del welfare che trasforma l’auto-organizzazione in un erogatore di un servizio che lo Stato non intende più fornire, e non in un «laboratorio di sperimentazione politica dal basso». In questa tensione, tipica di una democrazia conflittuale, si è collocato il corteo a cui hanno partecipato anche Maurizio Acerbo (Rifondazione), Giorgio Cremaschi (Eurostop) e i sindacati di base (Adl Cobas, Usb).
«L’amministrazione deve cogliere la ricchezza del corpo più profondo – sostiene Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) – questi progetti non possono essere derubricati a semplice ordine pubblico». «La politica deve adattare gli strumenti amministrativi per rappresentare questa aspirazione e queste pratiche. Senza queste esperienze le città diventano più povere» commenta Federico Martelloni, già candidato sindaco e consigliere comunale per Coalizione Civica. «Il corteo ha avuto il grande merito di porre questione vere sul futuro di Bologna che vive la rivoluzione 4.0 nelle fabbriche e la trasformazione urbana – sostiene Michele Bulgarelli, segretario Fiom di Bologna – Si è creata una larga coalizione da Libera all’Anpi, all’associazionismo, realtà autogestite, partiti e sindacati a sostegno di un nuovo progetto».