Si legge sui giornali che, bontà sua, l’Unione Europea dopo lungo dibattito e considerazione ha deciso di stanziare un miliardo di euro per il sostegno allo sviluppo del continente africano. Si legge anche, più o meno sugli stessi giornali, che sull’asse di via Torino a Settimo Torinese un consorzio formato per ora da Comune, Pirelli Tyre , Edison , Intesa-San Paolo , IPI , Pirelli RE , Loclafit, vuole investire UN MILIARDO E DUECENTO MILIONI di euro in un progetto di trasformazione urbana. Complessivamente la superficie interessata è di circa un milione di metri quadrati: moltissimo, per un comune come Settimo Torinese; pochino, se lo paragoniamo all’Africa, no? E con una concentrazione di risorse del genere si capisce, che qualcuno salti sulla sedia, e che a qualcun altro inizino a brillare gli occhi, come succede nei fumetti a Zio Paperone.
La via Torino è il percorso della Padana Superiore nel primissimo tratto “extraurbano”a est di Torino città, dopo la grande rotonda in cui si conclude l’asse di corso Giulio Cesare alla periferia del capoluogo. Dopo corso Romania e il cavalcavia, questa di via Torino è tutta la striscia che sta prima di convergere con l’altro “ramo” di via Regio Parco e restringersi nell’area pedonalizzata del centro storico di Settimo. Qui soprattutto nella seconda metà del Novecento si è accumulato un po’ di overspill produttivo metropolitano che ha trasformato questa zona di ex campagna fra le sponde dello Stura e il nucleo centrale di Settimo in terra di conquista per capannoni che classicamente proponevano il proprio modello insediativo piuttosto brutale. Isolati enormi, impenetrabilità, e ad anticipare in qualche modo il centro commerciale di oggi un’organizzazione introversa che lasciava ben poco al contesto, salvo gli indispensabili assi della strada di attraversamento e la vicina parallela ferrovia, che fa da margine settentrionale.
Immediatamente dopo l’ultima guerra, questa striscia di futura metropoli si conquista un piccolo quarto d’ora di celebrità. È quando sulle pagine della prestigiosa Metron, diretta da Bruno Zevi, Giovanni Astengo e Mario Bianco pubblicano alcuni estratti del loro pionieristico “ Piano Regionale Piemontese”, elaborato anche come modello possibile da offrire alla Costituente per le future, non ancora formulate nei dettagli, Regioni italiane. Proprio l’asse della via Torino è presentato come schizzo tridimensionale di sistema lineare di espansione metropolitano, nel quadro del più ampio “comprensorio” che in quel piano si stende sin oltre Chivasso.
Naturalmente all’epoca la sola idea della pianificazione regionale faceva venire i sudori freddi agli “interessi consolidati”, e al congresso INU di Venezia del 1952 lo stesso Bruno Zevi doveva spiegare a liberali e democristiani seduti in platea che no, questi piani non erano tanto da prendere sul serio. Infatti in tutte le periferie più o meno metropolitane d’Italia invece di seguire piani regolatori l’edilizia sapeva benissimo “regolarsi” da sola …. Figuriamoci poi quando come nel caso di Settimo Torinese si trattava di impianti produttivi, e strettamente legati al comparto dell’automobile, i pneumatici della Pirelli …
Passano gli anni, le imprese scoprono i mercati del lavoro più convenienti di altri paesi, e in tutte le nostre città iniziano a svuotarsi le fabbriche e riempirsi le sale dei convegni in cui si discetta di aree dismesse. Le stesse imprese, ovvero gli “interessi consolidati”, avevano ovviamente già scoperto da anni il tema della grande dimensione territoriale: la loro avversità ai piani regionali del 1952, si doveva solo al fatto che non volevano alcuna interferenza pubblica nel decidere i grandi assetti spaziali entro cui imperversare. Non a caso, quando ancora negli anni ’60 alcuni politici lungimiranti tentano di inserire un approccio programmatico anche territoriale nei documenti di bilancio, il tutto viene liquidato dalla grande stampa come “libro dei sogni”. Proprio nel momento in cui le medesime grandi formazioni delineate ad esempio dal Progetto ’80 iniziano a prendere forma visibile, primo fra tutti il Triangolo Industriale, soprattutto sull’ipotenusa Milano-Torino.
Ipotenusa che, guarda caso, sul lato occidentale si attacca proprio a quelle poche centinaia di metri di via Torino, fra gli sparpagliati capannoni dismessi della Pirelli. E quando c’è di mezzo l’interesse privato, salta improvvisamente fuori che il “libro dei sogni” dell’area vasta, anche vastissima, non è una cosa da sfottere, ma da prendere maledettamente sul serio. Come nel caso della recente enorme trasformazione urbana dal poetico nome “Laguna Verde”, proposta (e a quanto pare già accettata).
Di seguito alcuni dati desunti dal sito Skyscraper City e più o meno confermate dagli articoli dei giornali:
- superficie interessata 815.000 mq
- 13.300 posti auto
- parco di 320.000 mq
- centro ricerca 60.000 mq
- palazzetto dello sport 15.000 mq
- piscina
- scuola 25.000 mq
- museo 12.000 mq
- edifici privati : 650.000 mq (50% residenziale , 19% attività commerciale , 17% ricerca e produzioni innovative , 7% terziario e direzionale , 7% tempo libero)
- cittadella del sapere 160.000 mq
- il progetto prenderà vita in 6-7 anni
E c’è sempre da tenere ben presente quel 1,2 miliardi di euro, nonché la “sinergia” territoriale entro cui si inserisce l’investimento. Dal punto di vista metropolitano, che già non è affatto poco, il Piano Strategico legato a doppio filo alla TAV recita:
“ Nel territorio metropolitano […] due assi di sviluppo ad alta accessibilità […] La seconda centralità metropolitana investe il settore urbano compreso tra la periferia nordest di Torino e i comuni di Settimo e Borgaro, dove il progetto di trasformazione è declinato prioritariamente in termini di riqualificazione [….] Urbanistica, Laguna verde, nuovi comparti produttivi Pirelli” [1].
C’è anche, forse soprattutto, la dimensione megalopolitana di questi interventi, che forse spiega meglio l’enorme pressione che hanno alle spalle. Se ne sentono varie eco molto più a oriente, nel dibattito sull’Expo milanese, come ha ben raccontato su Lo Straniero Giacomo Borella, di questa vagheggiata regione urbana, che “impropriamente” qualcuno immagina solo come aumento delle densità edilizie e infrastrutturali (e relativa torta da dividere) su quantità spropositate di spazio.
Ma che saranno mai cento chilometri di territorio, per certi nostrani maîtres à flairer da convegno a gettone, paludati in pensosi maglioncini scuri girocollo da cabaret esistenzialista, geniali nella fulminante battuta che fa scattare l’applauso? Uno scioccare di lingua, e il balzo è bell’e fatto! Alla faccia di quei noiosi geografi e pianificatori, sempre lì a occuparsi dei dettagli … Poi via, nelle sterminate pianure, verso il prossimo convegno sui destini dell’ineluttabile ubiquo “sviluppo del territorio” ...
Con questi presupposti, appare poi del tutto conseguente l’atteggiamento della stampa, che con tono omogeneo e appiattito sulle dichiarazioni dei promotori, sembra descrivere un panorama in cui tornano tutti i possibili luoghi comuni: la brillante idea del prestigioso architetto che ci libererà per sempre da ogni traccia di vetusto puzzolente industrialismo, potenzialità strabilianti che dalle casse degli investitori si riverseranno automaticamente (nella migliore vulgata liberista) sulla testa dell’umanità tutta, eccetera eccetera. Una brevissima rassegna ci racconta:
“Una sorta di San Gimignano del terzo millennio che prenderà il posto dell’area industriale. […] Settimo diventerà la porta verso Malpensa, la Fiera di Rho, Milano. Ma anche verso Aosta e Ginevra, nell’ambito di una riorganizzazione complessiva del Nord Ovest, in grado di coinvolgere anche Genova. Anche per questo nel concept è prevista la realizzazione di un’isola nella Laguna per ospitare un hotel” (Augusto Grandi, “A Torino la città sopraelevata”, Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2008).
“Uno dei più grandi progetti di riqualificazione urbana e di eco-city d’Italia […] è ritenuto uno dei più sofisticati ed ecocompatibili del pianeta. […] la sostenibilità non sarà solo naturalistica, ma antropoculturale, socio-gestionale ed economico-finanziaria” (Giovanna Favro, “Le palafitte della città futura”, La Stampa, 12 giugno 2008).
“In mezzo a tanto verde il comune intende costruire anche vari grattacieli e una stazione ferroviaria” (Jan Pellissier, “Laguna Verde, eco-city a Settimo”, Italia Oggi, 18 giugno 2008).
“Il grattacielo […] l’impressione che darà è di un libro sfogliato […] con due bracci puntati direttamente sul centro di Milano e sulla città di Ginevra” (Andrea Gatta, “Ecco Laguna Verde, cittadella del futuro a misura di ambiente”, Cronaca Qui, 12 giugno 2008).
Il tutto sulla base di una serie di classicissimi renderings, che mostrano sostanzialmente un insediamento a organizzazione lineare lungo l’asse attuale, con edifici molto sviluppati in altezza, un percorso denominato broadway a connettere il tutto, e l’idea della “Laguna”, ovvero dell’edificato e di parte del verde a “galleggiare” organizzato in “isole” sopra il livello delle infrastrutture.
E con tutto il rispetto per i promessi uno virgola due miliardi di euro di investimenti: che ci azzeccano in sé e per sé i grattacieli, di un colore o l’altro che siano, con la “ sostenibilità antropoculturale”? Per giustificare la presenza di un albergo c’è bisogno di essere la porta su Malpensa, di stare “ nell’ambito di una riorganizzazione complessiva del Nord Ovest”?
Insomma, senza entrare troppo nei dettagli, che tra l’altro pare non ci siano, l’impressione è che si tratti di un trompel’oeil giornalistico, come già visto in tanti e tanti casi di grandi progetti di trasformazione urbana. L’unica osservazione che si può aggiungere per il momento pare di metodo anziché di merito: è davvero il caso che, come riferiscono gli articoli dei giornali, il Comune approvi “prima” questa serie di suggestivi schizzi e tabelle del concept, e “poi” inizi le procedure di variante ad hoc del Piano Regolatore?
Perché l’intuizione migliore probabilmente l’ha avuta suo malgrado uno di quei lettori entusiasti di Skyscraper City, pronti ad acclamare sempre e comunque i rendering più colorati e ad effetto. Il progetto della cosiddetta “Laguna Verde” a Settimo Torinese gli ricordava molto da vicino quello di Renzo Piano per le aree delle ex acciaierie di Sesto San Giovanni. A Settimo non sono ancora arrivati i premi Nobel al traino, ma lo schema sembra presentarsi identico, coi salvatori della patria che promettono e stragiurano sfracelli.
Ma, “Poi”?
L’unico modo di garantirsi un “poi” è quello di arrivare “prima”: con una strategia condivisa all’interno della quale collocare, con tutte le contrattazioni pubbliche del caso, anche vagonate di renderings, tonnellate di pensosi filosofi e sociomani da convegno, e magari anche le esigenze della città. Che non si calcolano solo in rapporto agli investimenti: “ diventare una città modello per il dialogo, per lo studio, per l’ambiente. Dove sia piacevole vivere e interessante lavorare”, come ha dichiarato il sindaco di Settimo al Sole 24 Ore, passa anche e soprattutto da una strategia. Condivisa con una platea magari un pochino più ampia di quella degli investitori.
Di seguito scaricabile un pdf con questo testo e qualche immagine, dell'area e del progetto "concept" di P.P. Maggiora (f.b.)
[1]Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provincia di Torino, Un territorio sostenibile ad alta relazionalità. Schema di Piano Strategico per il territorio interessato dalla direttrice ferroviaria Torino-Lione, p. 75