Pare che la crisi ecologica del Golfo prodotta dalla piattaforma petrolifera BP abbia innescato uno sgradevole ma diffuso sentimento anti-britannico. Niente a che spartire con le doverose rimostranze del presidente Obama al premier David Cameron, per affrontare contemporaneamente l’emergenza ambientale e quella finanziaria sull’altra sponda dell’Atlantico. I sentimenti che prevalgono sono in fondo quelli di sempre nei paesi che si sentono “sfruttati”: l’invasione dall’esterno, la convinzione che con quella gente è meglio non averci proprio a che fare ecc. Qualcuno evoca addirittura antichi rancori da colonia ribelle contro la corona imperiale.
Pro o contro questo diffuso sentimento naturalmente intervengono sulla stampa i commentatori, e un articolo su un quotidiano sembra particolarmente progressista nel suo sottolineare come globalizzazione debba essere soprattutto cooperazione, non scontro fra universi chiusi. Del resto, ricorda l’autore, per molti anni si è strologato di una vera e propria megalopoli virtuale transatlantica, la cosiddetta “NyLon” (contrazione di New York-London), unificata non solo dai flussi finanziari sui cavi telematici, ma da un vero e proprio pendolarismo di persone, e conseguenti strettissimi scambi di abitudini, interazioni spaziali, insomma come una specie di villaggio, a modo suo, salvo quel passaggio iper-spaziale sul jet, che però poi in fondo non è tanto diverso da un vagone della metropolitana, no? Si legge un giallo, si sbirciano i calzini orrendi del vicino, e dopo un po’ si scende in un altro posto …
Insomma un inno alla pace universale, alla fratellanza fra i popoli … macché: solo una santa alleanza di paladini del libero mercato contro i porci comunisti.
Avete letto bene: porci e comunisti. Per essere esatti i nemici sono di due tipi distinti, per quanto politicamente e culturalmente fusi: PIGS e socialist. PIGS è un eloquente acronimo, che sciolto suona semplicemente Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, ovvero gli inaffidabili lazzaroni mediterranei che hanno combinato tutto il guaio finanziario e adesso da par loro piangono miseria e pretendono elemosine. Pfui! I socialisti sono quegli strascichi di vetusto collettivismo idiota all’europea, tipo Sarkozy o peggio ancora quella carampana della Merkel, sul punto di chiedere qualche tipo di regolamentazione degli scambi finanziari. Ecco, insomma a cosa servirebbe, l’intesa transatlantica: a spezzare le reni a questi residuati della storia. Ma non è tutto, anzi a parere del sottoscritto è solo una specie di scusa. Lo si capisce dal nome dell’autore dell’articolo: Joel Kotkin.
Già, il tuttologo Kotkin, che spazia dalla demografia, alla sociologia, all’economia, alla geografia, ma soprattutto difende sempre la “libertà”, peregrinando da vero cavaliere errante attraverso le varie fondazioni e centri studi conservatori, fellow di qui, visiting professor di là, general consultant da un’altra parte. Statunitense, negli ultimi tempi lavora però a Londra, e qui si spiega in parte questa grande sensibilità ad organici rapporti transatlantici. Ma cosa fa, esattamente, a Londra? Ma fa il suo solito mestiere: predisporre studi e rapporti, come l’ultimo sponsorizzato dal conservatore Legatum Institute, dove si sostiene una granitica tesi: le politiche ambientaliste stroncano la mobilità sociale! Ovvero, scendendo un attimo dai grandi slogan e leggendo il rapporto: le politiche urbanistiche del Labour, per quanto elastiche in termini di tutela della greenbelt e urbanizzazione su aree davvero di recupero, fanno salire il prezzo delle case, impedendo ad esempio alle giovani coppie di iniziare a “salire i gradini” della vita. Il titolo è esattamente La Scala Spezzata. Dov’è finita la democrazia? Si chiede il desolato Kotkin.
Una domanda che l’autore, da diversi anni, si pone quasi sempre alla fine di riflessioni a ben vedere ruotanti attorno a un unico punto: la villetta nella prateria, simbolo e concrezione di tutto ciò che di buono e bello esiste al mondo. E che naturalmente è accerchiata dall’assedio delle forze del male. Il male, lo sappiamo, si nasconde ovunque, e cela le sue corna aguzze magari dietro le matite colorate del new urbanism quando chiede maggiori densità, solo un pochino meno dispersive dello sprawl speculativo peggiore; il male si nasconde anche dietro quei grossi papaveri di Washington, che invece di finanziare doverosamente a miliardi le autostrade, magari pensano di sperimentare quei carrozzoni clientelari che sono le ferrovie, le metropolitane, o altri inutili ninnoli effeminati, come pedonalizzazioni o piste ciclabili: doppio pfui! Sono decine, i rapporti, libri, studi (gli articoli sui giornali probabilmente migliaia) che Kotkin ha fatto orbitare nell’universo di dati, cifre, conclusioni, per poi farli atterrare nel porto sicuro del suo grande lotto con villetta e giardino, naturalmente attrezzato di svincolo, centro commerciale e posto di lavoro ad almeno venti chilometri che se no disturbano i giochi dei bambini.
E così si capisce anche questo ultimo viaggio nello spazio globale democratico (globale perché fra i buoni ci sono Cina, Russia, Singapore …) di libero mercato di Kotkin, anche se nello specifico stavolta l’articolo rinvia l’atterraggio dell’Enterprise sul prato della villetta ad una prossima puntata. Da dove era partito tutto? Non dalla perfida Albione, ma dalla BP, che tanto per chiarire ancora gli acronimi è molto, ma molto, più Petroleum che British. E come sa chiunque si sia occupato di insediamento disperso per più di un pomeriggio, il settore petrolifero e l’industria automobilistica sono i principali sponsor, almeno da tre generazioni a questa parte, di quello che si chiama sprawl, e che NON È un destino cinico e baro, o un prodotto di qualche architetto perverso, o ancora un segno di vitalità economica e insieme radicamento familiare. È un sistema socioeconomico all’interno del quale tutto si tiene, perché i consumi individuali e collettivi indotti, e gli investimenti pubblici indispensabili a questo modello, mantengono al centro i lucrosi profitti proprio del settore automobilistico e petrolifero, oltre ad altri (che dire ad esempio dei soli impianti di riscaldamento individuali?).
Proprio per evitare di perdere l’orientamento, e farsi trascinare nelle orbite galattiche della tuttologia a gettone che imperversa ovunque, ad esempio con certe sparate sul nucleare che si leggono in questi giorni in Italia, forse è meglio ricordare sempre che i grandi principi li abbiamo inventati noi. Nel senso che qualche nostro antenato vicino o lontano un bel giorno guardava la mela sull’albero, o la schiuma nel mastello, e ha cominciato a macinare qualche estrapolazione. Forse dopo l’invenzione della frutta in scatola e della lavatrice è il caso di rinfrescare, o quantomeno verificare, i grandi principi: compreso ad esempio il modo in cui guardiamo alla città dispersa. Energivora, antisociale, malsana, insomma culla di tutti i mali. Ma perché?
Chiederselo, continuare a chiederselo guardandosi intorno intendo, forse è l’antidoto migliore contro le parabole degli sviluppisti a tariffa variabile, o dei profeti di austerità altrui, che sotto sotto lavorano per in nemico … (eccetera).
Nota: il citato concetto di megalopoli virtuale Ny-Lon è stato oggetto di un fascinoso articolo di John Gapper sul Financial Times, 24 ottobre 2007, disponibile anche in italiano su Mall; l’opera sostanzialmente pro-sprawl, petrolio, automobili ecc. di Joel Kotkin è ampiamente documentata sia su http://eddyburg.it che su http://mall.lampnet.org ; e naturalmente anche quella di più rudimentali spaccamontagne nostrani, ma questa è un’altra storia. O no? (f.b.)