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Enrico Franceschini
La svolta di Tony Blair sull’Iraq “Io e Bush abbiamo sbagliato”
27 Ottobre 2015
2015-EsodoXXI
«L’ex premier britannico, intervistato dalla Cnn, ammette una serie di errori. Dai dossier sulle armi di distruzione di massa al diffondersi del terrorismo islamico». Ma per i governanti non è vero che "chi rompe paga".
«L’ex premier britannico, intervistato dalla Cnn, ammette una serie di errori. Dai dossier sulle armi di distruzione di massa al diffondersi del terrorismo islamico». Ma per i governanti non è vero che "chi rompe paga".

La Repubblica, 26 ottobre 2015 (m.p.r.)

Londra. Dodici anni dopo la controversa invasione che è costata centinaia di migliaia o forse milioni di vite umane, e il posto di primo ministro a lui, Tony Blair dice: «I am sorry». L’ex leader laburista chiede scusa, anzi tre volte scusa: per gli errori dello spionaggio britannico che avevano attribuito a Saddam Hussein il possesso di armi di distruzione di massa (la ragione ufficiale per l’intervento militare del Regno Unito accanto agli Stati Uniti), per errori nella pianificazione della guerra e per la mancata comprensione di quelle che sarebbero state le conseguenze del conflitto, ovvero per l’instabilità che ha sconvolto l’Iraq e le regioni circostanti.

Di fatto Blair ammette la propria responsabilità anche per l’ascesa del fanatismo islamico, incluso il sorgere dell’Is, il sedicente Califfato dei jihadisti che oggi controlla parte dell’Iraq e della Siria. Ma l’ex premier continua a rifiutare di scusarsi per avere abbattuto Saddam. Un mea culpa parziale ma pur sempre clamoroso, fatto in una lunga intervista alla , la rete televisiva Usa di sole news, con una serie di dichiarazioni rimbalzate al di qua dell’Atlantico che ieri occupavano la prima pagina del Mail on Sunday, del Sunday Times e di altri giornali inglesi. Un rilievo comprensibile, considerato che è la prima volta che Blair chiede formalmente scusa e ammette sbagli nella organizzazione e gestione della guerra in Iraq, oltre che del dopoguerra.
Parole che fanno tanto più notizia dopo che, qualche giorno fa, proprio un quotidiano di Londra ha rivelato un memorandum segreto della Casa Bianca in cui Blair, un anno prima dell’entrata in guerra, si era di fatto impegnato con l’allora presidente americano George W. Bush a partecipare al conflitto come alleato degli Stati Uniti in qualunque caso e circostanza. Cioè indipendentemente dalle motivazioni ufficiali - il possesso di armi chimiche o biologiche - in seguito usate da Downing street per convincere il parlamento britannico e l’opinione pubblica del proprio paese ad approvare la guerra.
Tenuto conto che è poi emerso che Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa, gli ha chiesto la , ritiene che la guerra in Iraq sia stata un errore? «Mi scuso per il fatto che l’intelligence da noi ricevuta al riguardo fosse sbagliata. E mi scuso per alcuni degli errori che abbiamo fatto nella pianificazione e, certamente, per il nostro errore nel non comprendere cosa sarebbe accaduto in Iraq una volta che Saddam fosse stato rimosso dal potere. Ma faccio fatica a scusarmi per avere rimosso Saddam».
E a una domanda successiva, sulla responsabilità della guerra in Iraq sul diffondersi dell’estremismo islamico anti-occidentale e in particolare all’ascesa dell’Isis, Blair risponde: «Penso ci siano elementi di verità in una simile visione. Non si può dire, naturalmente, che quelli di noi che hanno rimosso Saddam non hanno responsabilità per la situazione che si è creata (nella regione, ndr) nel 2015».
L’ex premier non accetta di essere chiamato un «criminale di guerra » per i morti e i danni materiali causati dal conflitto e rivendica il fatto di avere vinto un’elezione (la sua terza consecutiva) dopo la guerra; ma riconosce che l’Iraq è stato «un enorme problema politico» per lui.
In effetti è stato il problema che gli ha fatto perdere il posto, perché senza le polemiche sulla guerra difficilmente il suo vice Gordon Brown sarebbe riuscito a costringerlo a dimettersi nel 2007 per sostituirlo a Downing street: è verosimile che Blair sarebbe rimasto ancora al potere e avrebbe cercato di vincere una quarta elezione, contro il conservatore David Cameron, nel 2010. Come che sia, oltre a pesare sul giudizio della storia, il “mea culpa” di Blair potrebbe pesare sull’inchiesta ancora in corso sulla guerra in Iraq, affidata a una commissione indipendente britannica. Due precedenti inchieste governative avevano assolto Blair da ogni responsabilità e particolarmente dal sospetto di avere tramato insieme ai capi dei servizi segreti per gonfiare il dossier sui presunti armamenti di distruzione di massa in mano a Saddam. Ma 12 anni dopo l’Iraq continua a essere lo spettro che tormenta il laburista di maggiore successo elettorale della storia.
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