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Renzo Guolo
La strategia del panico
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Capire le bombe, per non essere gattini ciechi Da la Repubblica del 22 luglio 2005

Londra ancora sotto attacco. La stessa scena del 7 luglio: tre bombe nei vagoni della Tube, un quarto ordigno su un autobus, esattamente come due settimane fa. Lo stesso esplosivo. Probabilmente la stessa «rete» locale jihadista. Il significato simbolico è evidente: siamo noi, siamo molti, possiamo colpirvi ancora. E possiamo farlo nello stesso modo. Una sfida che solo l´imperizia dei nuovi stragisti non ha trasformato in una nuova terribile tragedia.

L´intento è evidente: seminare il panico. Colpire in uno dei suoi gangli vitali, il sistema dei trasporti, una metropoli occidentale: riuscire a paralizzare con il terrore chi aveva fatto della frase "Non abbiamo paura", una parola d´ordine sentita e condivisa da tutti.

È il terrore a lungo annunciato da Osama bin Laden nei suoi proclami, quando sosteneva che gli occidentali non sapevano che cosa volesse dire, contrariamente ai popoli musulmani, vivere nella paura. Ora, sembrano dire gli jihadisti di Londra, lo sapete. Il luglio londinese sembra, dunque, il segnale che l´attacco massiccio all´Europa è iniziato.

Piccoli gruppi locali possono causare, con i loro attacchi diffusi, enormi danni e vittime. Un esempio che, purtroppo, può essere seguito da altre cellule. Nel resto d´Europa e in Italia. Il rischio è che questo terrorismo a «bassa intensità simbolica», diventi endemico. La strategia di contrasto è quella più volte indicata dallo stesso Blair: prevenzione, intelligence, integrazione delle comunità musulmane in Europa. Ma il ciclo politico dello jihadismo europeo potrebbe essere solo all´inizio. La sua struttura cellulare ne favorisce la riproduzione. Il XXI secolo si apre con un problema enorme: estirpare le radici dell´odio verso l´Occidente di quanti hanno scelto la strada del radicalismo islamico. La natura della sfida è chiara: solo se si riuscirà a debellare il terrorismo jihadista si riuscirà a evitare che le sirene xenofobe intonino il canto della criminalizzazione dell´intera comunità islamica europea.

In caso contrario il rispettivo richiamo identitario inasprirà il conflitto. Anche questo è l´obiettivo degli jihadisti londinesi: fare dell´Europa il terreno dello scontro tra civiltà all´interno di un medesimo spazio sociale. Una prospettiva terrificante, che va scongiurata con ogni mezzo.

Al terrorismo di Al Qaeda rischia di non mancare la manodopera: c´è una gioventù islamica che si sente umiliata da un senso di inadeguatezza della propria appartenenza religiosa e culturale, che teme ossessivamente la contaminazione con il sistema di valori occidentale. Sensazione che coinvolge anche parte dei musulmani in Occidente, incapaci di vivere una non facile identità plurima. E che di fronte a un integrazione che può apparire, talvolta. soddisfacente sul piano economico e sociale ma non su quello culturale, fanno ricorso, saccheggiandone il repertorio simbolico, alla loro identità originaria. Un´identità di riserva, talvolta inabissata, ma come in un fiume carsico, pronta a riemergere impetuosamente nel momento in cui vi è bisogno di marcare una differenza antagonista. Identità rivisitata non secondo i canoni tradizionali ma attraverso quelli islamisti radicali, capaci di parlare a individui che vivono nella modernità, anche spuria, e di fornire risposte che semplificano la complessità di un ambiente sempre più permeato dal "politeismo dei valori". Quando quei giovani, occidentali o meno, si arruolano nelle file qaediste e decidono di "sacrificarsi" il loro obiettivo non è tanto la nascita o la liberazione di una nazione ma la ricostituzione della comunità. O meglio di una neo-comunità. Una neo-umma continuamente agognata ma impossibile da ricostituire, minata com´è in partenza dal suo essere comunque contaminata dalla quotidianità e dal contatto con l´Occidente divenuto globale. Il "martirio" diventa così, anche, l´inconscio tentativo di sfuggire alla morte della comunità impossibile; di spargere lutto per evitare di elaborare, nuovamente, il lutto. Quando questa "infelicità con desiderio" incontra la filiera organizzativa che la mette in forma, come nel caso londinese, il risultato è devastante. È il terrore.

Anche per questa sua funerea natura, per il suo "essere per la morte", il "martirio" neo-ummista è un alto fattore di rischio. La sua volontà autodistruttiva diventa collettivamente distruttiva. Il solo contrasto poliziesco o di intelligence non è sufficiente a impedire il proliferare e l´attivazione delle bombe umane. La battaglia delle idee, quella per l´interpretazione della tradizione religiosa, la ricostituzione di un senso della vita tra i giovani fedeli di Allah nel mondo islamico e in Occidente, diventa così parte integrante delle esigenze di sicurezza di ciascuno di noi.

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