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Anna Donati
La strada per cambiare strada
30 Gennaio 2011
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L’articolo pubblicato sul numero speciale del manifesto e di decrescita del 28 gennaio 2011 e il link al testo integrale dello studio da cui l’articolo è una sintesi (30 gennaio 2011)

Il calo della vendita di automobili nel mondo occidentale non è contingente ma la crisi di un sistema maturo, che dopo un grande successo, con 35 milioni di veicoli in circolazione solo in Italia e il 65,5% di cittadini che la usa ogni giorno, mostra i suoi limiti. Limiti della crescita si direbbe, con la necessità di puntare sulla mobilità sostenibile con idee e progetti per la riconversione del sistema produttivo dell’automobile e del sistema di trasporti basato sul tutto strada.

C’è consapevolezza che la riconversione non è semplice né rapida perché i numeri sono impressionanti: il sistema «auto» dalla costruzione alla vendita e manutenzione impiega in Italia circa 1.000.000 persone, nel settore dell’autotrasporto lavorano 330.000 addetti (dati Eurostat) ed il sistema di prelievo fiscale del sistema auto ( veicoli, carburanti, multe) porta nelle casse dello stato ogni anno 81 miliardi, circa il 20% delle entrate totali.

Gli occupati nei servizi di trasporto



Ma altri dati del sistema trasporti italiano indicano comunque opportunità e numeri utili da cui partire in modo realistico: nel settore del trasporto pubblico e privato su strada (inclusi i taxi) lavorano 150.000 addetti, nel trasporto ferroviario nazionale e locale sono impiegate altre 110.000 unità, il sistema portuale nel suo complesso impiega 100.000 addetti e circa 25.000 muovono il sistema di trasporto marittimo, ben 45.000 addetti lavorano nelle agenzie di viaggio e come operatori turistici. In totale sono circa 430.000 gli addetti nei servizi di trasporto «sostenibili» rispetto al complesso dei servizi di trasporto pari a 968.491 addetti in Italia. (dati Eurostat 2006)

Colpisce che confrontando i dati italiani con la Germania, è che su di un totale di 1.317.000 addetti nei servizi di trasporto, lavorano nell’autotrasporto il 23,4% (309.000) e ben il 22, 2% (292.500) sono impiegati nel trasporto pubblico e privato su strada, in pratica il doppio dell’Italia, dove lavorano nel trasporto collettivo solo il 15,4% e nell’autotrasporto il 34%. Già da questo confronto con il paese che è la locomotiva d’Europa, possiamo trarre suggerimenti su cosa dovremmo fare anche in Italia: aumentare i servizi di trasporti ai passeggeri e ridimensionare il trasporto di merci su strada con l’intermodalità della gomma con ferro e mare. Già oggi una stima prudente di esperti del settore indica che il personale direttamente impegnato per la produzione dell’intermodalità terrestre è dell’ordine di 4.000/5.000 persone e sono questi i settori innovativi da far crescere.

Peccato che in questo momento in Italia la strada intrapresa sia esattamente opposta. Il governo ha tagliato le risorse per il trasporto collettivo su ferro (circa 20%) e le Regioni alle prese con i tagli della manovra Tremonti stanno ridimensionando gli autobus. Insomma nessun piano di efficienza serio che riduca i costi, innovi i servizi e rilanci il settore. Allo stesso modo una forte innovazione è richiesta nei servizi di trasporto delle persone a domanda individuale dato che solo una parte di spostamenti può essere risolta a costi accessibili con il trasporto collettivo. Sarebbe preferibile non vendere automobili in proprietà ma offrire servizi di trasporto in auto, come car sharing, autonoleggio «facile», taxi collettivo e noleggio con conducente.

Nel trasporto merci le cose non vanno meglio, con il trasporto ferroviario in caduta libera ed il sistema portuale in frenata . Poche le briciole destinate all’ecobonus per il trasporto combinato, ma ben 400 milioni anche per il 2011 in aiuti all’autotrasporto su strada. Insomma la solita strategia: grande sostegno all’autotrasporto (ben 5 miliardi in dieci anni) e quasi nulla a tutto il resto.

La produzione dei veicoli e gli investimenti per infrastrutture

Per la produzione dei veicoli sono oggi impiegati 130.000 addetti complessivi producono autovetture mentre la produzione degli autobus ne occupa circa 10.000, quello del

ferroviario e tramviario circa 15.000, infine le due ruote ( moto, ciclomotori e bicicletta) occupano circa 13.500 addetti. Se vogliamo parlare di riconversione, da un lato dobbiamo indurre un ridimensionamento del sistema auto, che comunque manterrà sempre una quota significativa di produzione, sia per il mercato sostitutivo e sia per l’innovazione di prodotto e di servizi, con un’auto a basse emissioni, sicura, riciclabile, ad energia rinnovabile. Un veicolo che ancora non c’è e che richiede un progetto di ricerca pubblico/privato credibile, che coinvolga centri di ricerca, università, intelligenze, legato direttamente alla soluzione del problema dei carburanti dopo la fine del petrolio.

L’altra strategia essenziale nel settore industriale è puntare all’aumento della produzione di autobus, di treni, tram, tutti segmenti produttivi che oggi sono in forte sofferenza sia perché mancano investimenti pubblici per l’ammodernamento dei mezzi di trasporto collettivo e sia perché questo alimenta la debolezza delle nostre imprese nella concorrenza globale. Nessun investimento significativo sta arrivando nel settore del trasporto ferroviario metropolitano e regionale, anzi per coprire i buchi del taglio al servizio ferroviario pendolare il governo ha dirottato le scarse risorse (460 milioni) destinate ai treni e quindi ormai del necessario piano per i 1.000 nuovi treni per i pendolari del costo di 6 miliardi (come il Ponte sullo Stretto!) ormai è rimasto ben poco.

Anche il settore autobus vive una crisi molto seria perché si è smesso di investire nell’ammodernamento dei mezzi di trasporto collettivo su strada. Il governo non investe, le aziende non hanno risorse per i nuovi veicoli ed è stata abbondata la strategia di anni passati che aveva abbassato l’età media del parco autobus: adesso siamo a 9,3 anni di media contro i 7 anni della media europea.

Anche la vendita delle due ruote, cicli e motocicli sta vivendo una crisi evidente, con una piccola ripresa della bicicletta a seguito degli incentivi assicurati dal governo nel 2009, nonostante che vi sia molto interesse e disponibilità da parte dei cittadini verso queste modalità sostenibili. L’ Ancma stima che in Italia siano circa 90.000 le persone impiegate nella commercializzazione, riparazione ed accessori di prodotti legati alla bicicletta, moto e scooter: si tratta di numeri significativi.

Infine anche nel campo degli investimenti serve riorientare la spesa dalle grandi opere inutili e dalla costruzione di nuove autostrade programmate verso le reti per la mobilità su ferro urbana e regionale, il vero buco nero del nostro sistema di trasporti. E questo è anche un modo per dare occupazione per opere utili nel settore delle costruzioni. Manca di nuovo il governo, che d’intesa con le regioni e le città metropolitane individui una spesa costante e duratura per queste grandi opere strategiche.

I costi della riconversione



Non sfugge a nessuno che la principale obiezione che verrà alla riconversione del sistema «tutto auto», è la necessità di ingenti risorse pubbliche e private per poter camminare, un problema molto serio.

Una parte della spesa deve essere riconvertita da sussidi perversi che vengono dati adesso a sistemi da disincentivare come l’autotrasporto e le grandi opere inutili per destinarla a trasporto combinato ed infrastrutture ferroviarie urbane. In alcuni settori innovativi legati a nuovi servizi di trasporto dovrà essere incoraggiata e sostenuta l’iniziativa privata. Le aziende di trasporti pubblici su gomma e ferro dovranno fare la loro parte per l’efficienza dei costi perché è impensabile aumentare i servizi aumentando i debiti.

La ricerca scientifica per veicoli innovativi e sui carburanti puliti e rinnovabili dovrebbe far parte di un filone di ricerca pubblica, così come gli investimenti per autobus e treni dovrebbero far parte di un progetto industriale promosso dal governo. Se si innesta un circolo virtuoso anche la spesa delle famiglie che oggi destinano 90 miliardi ogni anno per l’uso dell’automobile potrà essere riconvertita verso servizi di trasporto alternativo, aumentandone la redditività. Insomma sarà dura ma si può e si deve fare.

Colpisce che il piano Marchionne di rilancio di Mirafiori punti a costruire Suv per il mercato americano, con componenti che provengono dagli Usa assemblati a Torino, che tornano per essere rifiniti e pronti per la vendita nel mercato americano. Un sistema insostenibile di globalizzazione dei trasporti che scarica sulla collettività i suoi effetti negativi.

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