Sono stato fortemente contrario al Partito democratico, e lo sono ancora, ma adesso, arrivati allo scioglimento dei Ds, dico: bene. Bene perché ci siamo liberati di un equivoco, cioè di una formazione che continuava a dirsi di sinistra, mentre era solo di centro e di un centro pencolante a destra.
Ha perfettamente ragione Fabio Mussi quando dice: "Con il Partito democratico, l'asse del centro sinistra, e dunque della politica italiana, sarà inesorabilmente più spostato al centro". E un centro che ritiene di avere la sua base di forza nel governo piuttosto che nella società. Non dimentichiamo che il Partito democratico è un prodotto dell'attuale governo, ove questo governo cadesse il nuovo Partito democratico perderebbe il suo fondamento più forte.
Il Partito democratico è la fine di un equivoco e così, di fronte alla verità, molte sono le forze che prendono le distanze da questo nuovo prodotto della politica politicamente. Innanzitutto importanti sindacati della Cgil (metalmeccanici, agroalimentare, funzione pubblica e altri ancora). Il discorso di Epifani a Firenze conferma questa presa di distanza. Poi c'è il correntone di Mussi (che non è poca cosa) e poi, ancora ci sono le formazioni della cosiddetta sinistra radicale (Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e altro ancora).
A questo punto (e già i primi segnali arrivano) c'è la corsa a dire uniamo tutti i resistenti e diamo vita a una nuova e reale forza di sinistra. Capisco le motivazioni di queste espressioni di buona volontà, e sono positive, ma non mi convincono. Avremmo un assemblaggio eteroclito, rissoso e per di più ricattato dal timore di fare cadere il governo in carica e riaprire la via al cavaliere Silvio. E tutto questo - eccezionalmente condivido le preoccupazioni di Toni Negri espresse su il manifesto di domenica 22 aprile - con la minaccia di nuove forme di autoritarismo. A chi dice, "facciamo subito l'unione dei resistenti alla deriva del Partito democratico", replico citando il vecchio proverbio, «la gatta frettolosa fece i gattini ciechi». Mi dispiace dirlo, ma una rapida fusione dei "resistenti" avrebbe molte analogie con quella del Partito democratico: unione di stati maggiori, con tutto quel che segue.
La questione è - sempre a mio insicuro parere - che non si può ricostruire la politica, attualmente in quarantena, senza una diagnosi della crisi attuale, cioè senza un'analisi dei mutamenti nella società e senza individuare le cause e i caratteri del fallimento del comunismo, più precisamente del comunismo reale. Direi subito che non possiamo spiegare tutto con l'autoritarismo, il quale ultimo molte volte funziona. Direi che dovremmo rifare un'analisi della guerra fredda, della politica Usa e della rottura tra Urss e Cina, rileggerci il dimenticato Memoriale di Yalta e i cenni al policentrismo. E poi dovremmo chiederci ancora: quella sconfitta è la fine della storia, non si può andare oltre i confini della rivoluzione francese e della borghesia? Insisto, la sconfitta del comunismo è la fine della storia? Dovremmo tentare una risposta, positiva o negativa che sia, ma una risposta. Dobbiamo dire che se le speranze di cambiare il mondo, di realizzare gli obiettivi di eguaglianza, libertà e fraternità sono solo illusioni infantili delle quali dobbiamo liberarci per rassegnarci a continuare a vivere come viviamo e come la grande parte degli abitanti di questo mondo vive. La questione non è di poco conto, pensiamoci. Se proprio non c'è niente o assai poco da fare allora rassegnamoci a essere uno stimolo rispettoso al nuovo Partito democratico.
La seconda questione è l'analisi delle attuali contraddizioni (ci sono ancora) della nostra società. Cerchiamo di capire e mettere in evidenza quali sono oggi le forme dello sfruttamento, che ancora persiste. Cerchiamo di capire dopo il supposto tramonto delle classi (salvo quella dei capitalisti) come, con quale politica (non basta più il solo sindacato) si può ottenere il miglioramento delle condizioni di vita delle moltitudini che stanno sotto, dei giovani che non hanno prospettive di migliorare la loro condizione di vita, delle donne che continuano a essere il lato debole della nostra società.
Ripeto senza un serio approfondimento (la crisi della sinistra è anche, e forse soprattutto, culturale) sulla caduta del comunismo (perché, e se definitiva o meno) l'unione delle varie componenti che rifiutano il Partito democratico sarà pur sempre utile, ma senza prospettive.
Ma non vorrei che queste mie considerazioni fossero intese come un consiglio ad aspettare. Tutto il contrario, proprio perché i problemi sono grandi e difficili, bisogna muoversi al più presto - come ci ha raccomandato Rossana Rossanda - e anche il manifesto dovrebbe - come si dice a Roma - darsi una mossa.
Ps. Massimo D'Alema ha voluto ricordare la discussione con Fabio Mussi sull'opportunità o meno, nel 1969, di aderire all'iniziativa del gruppo de il manifesto.
Da parte di D'Alema è stata una gentilezza e ricordo che Fabio Mussi, giovanissimo e appena entrato nel Cc del Pci, votò contro la radiazione de il manifesto. Quel ricordo mi suscita un tardivo interrogativo: se allora, venti anni prima della caduta del muro di Berlino, il gruppo dirigente del Pci avesse accettato o almeno dato legittimità alla critica radicale che il gruppo de il manifesto muoveva al socialismo reale invece di attardarsi in una fedeltà (peraltro malcerta) a Mosca oggi potremmo avere in Italia e in Europa una situazione diversa, di più forte tenuta della sinistra e delle ragioni del socialismo? So bene che dare ragione a quelli de il manifesto avrebbe comportato scontri e divisioni nel Pci. Mosca avrebbe reagito pesantemente. Ma, ripeto, a conti fatti dare ragione nel 1969 a il manifesto avrebbe evitato non solo abiure poco dignitose, ma anche la totale dissoluzione di quella grande forza che era allora il Pci e avrebbe dato oggi le basi più credibili alla lotta per il socialismo.
E' solo un interrogativo, ma non mi si dica che la storia non si fa con i se. I se corrispondono alle scelte che ciascun soggetto fa nel corso della sua storia. Ricordo poi che una volta, per avere scritto che la storia non si fa con i se fui duramente rimbrottato da Cesare Luporini, che di storia e filosofia ne sapeva più di me.