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La speranza del futuro nasce dal popolo in piazza
17 Ottobre 2010
Articoli del 2010
Dal manifesto (17 ottobre 2017) un commento di Valentino Parlato e un articolo di Loris Campetti sulla grande manifestazione ijdetta dalla Fiom.-Cgil a Roma per un’Italia sul lavoeo e sui diritti

C'È FUTURO

di Valentino Parlato

La giornata di ieri a Roma promossa dalla Fiom è stata, a mio parere, una giornata decisiva. Un invito, o una sfida, al mondo dei partiti e anche degli intellettuali a uscire dalla palude e dalle dispute, di stile berlusconiano, contro Berlusconi. Gli operai metalmeccanici sono stati negli anni passati, e lo sono anche oggi, l'espressione più moderna e forte della classe operaia, quelli che ogni giorno hanno a che fare con le innovazioni e gli arbitrii del capitalismo nostrano. E, aggiungo, i progressi delle nostre società sono stati promossi dalle innovazioni industriali e dalla politica dei protagonisti di quelle innovazioni. Non è stato affatto casuale che all'apertura della enorme manifestazione di piazza San Giovanni abbiano parlato studenti, insegnanti, ricercatori. I metalmeccanici hanno coinvolto e portato a rappresentanza anche la cultura. Il nesso metalmeccanici e cultura è antico e, senza citare Marx, strutturale. Come a dire, ripetendo convinzioni di un passato migliore, la classe operaia promuove la cultura impegnata nell'antico intento di rivoluzionare la società.

Quella di ieri è stata una sfida a quel che resta in Italia delle culture e della politica di orientamento democratico. In Italia e anche in Europa (le vittorie elettorali delle varie destre incombono) si sta andando al peggio. La grande manifestazione di ieri, l'illuminato discorso di Maurizio Landini e anche il consenso di Guglielmo Epifani allo sciopero generale - seppur posticipato - hanno detto a tutti noi e ai vari partiti non berlusconiani (ma dal berlusconismo infettati) che si può dire no, che si può cambiare rotta. I partiti (piccoli) della sinistra radicale hanno aderito. Il Pd, che dovrebbe essere l'erede del dimenticato Pci, è rimasto incerto e diviso: ulteriore e grave segno della crisi italiana. Perché il Pd non ha aderito alla manifestazione dei metalmeccanici, lavoratori fondamentali dell'industria italiana e del progresso del nostro paese? Un interrogativo grave che pesa molto su di noi, ma che dovrebbe pesare anche su di loro.Non ci spero, ma sarei molto grato a Bersani se volesse dare una sua spiegazione al manifesto. Ma forse pensa che il manifesto (che una quarantina d'anni fa diede al Pci utili suggerimenti) sia peggio dei metalmeccanici, i quali, a suo avviso, sarebbero diventati o sono estremisti dannosi. Estremisti quelli che sono il maggiore sostegno del reddito nazionale?

Credo che, se non al manifesto, una spiegazione alla Fiom e alla Cgil Bersani dovrebbe pur darla. La grande manifestazione di ieri ha dimostrato che l'Italia è meno peggio di quanto gli attuali rassegnati dirigenti del Pd pensano. Dicano qualcosa e non solo qualche titolo scetticamente elogiativo dell'imponente manifestazione di ieri. Dicano se vogliono o no capire qualcosa e fare qualcosa per e con gli operai metalmeccanici. Una volta ci dicevamo che il Pci era il migliore rappresentante della classe operaia. Non aspettiamo una risposta, perché il Pd non sa che dire. In ogni modo martedì il manifesto pubblicherà il testo integrale del discorso di Landini in piazza San Giovanni.





UNA SPERANZA CAMMINA

INSIEME ALLA FIOM

di Loris Campetti

«Noi non diamo numeri, contateci voi». Bella trovata questa della Fiom, in polemica con i ministri che prevedevano tra le 20 e le 40 mila persone. Noi del manifesto ci siamo consultati e abbiamo concluso di non essere capaci di contare così tante persone, operai e studenti «uniti nella lotta», colf e migranti, anziani che hanno conquistato quei diritti che oggi si vorrebbero togliere ai figli e ai nipoti. C'è chi parla di un milione, ma vai a sapere. E, soprattutto, chissenefrega. Ieri nelle strade e nelle piazze di Roma ha camminato una speranza: cambiare si può. Speranza che non trova albergo nella «Politica» ma oggi ha un orgoglioso compagno di marcia: la Fiom.

«Meglio lottare danzando che vivere in ginocchio». Saranno quei burloni degli operai di Pomigliano che improvvisano una tammuriata in piazza della Repubblica? Invece no, sono le Chejan celen, «Zingare spericolate», ragazze e bambine inserite in un progetto di alfabetizzazione dei rom. Sono italiane da tre generazioni ma non hanno diritto a esserlo per la nostra legge. Ecco perché sfilano con i metalmeccanici e addirittura si esibiscono in bellissime danze al ritmo di musiche zigane, perché la Fiom ha messo al centro di una delle più straordinarie manifestazioni della storia d'Italia proprio i diritti. Quelli degli operai a lavorare con dignità, dei sindacati degni di questo nome a contrattare, degli studenti a studiare e degli insegnanti a insegnare, dei precari a riacciuffare per la coda un futuro oggi negato, dei migranti a essere considerati persone uguali alle altre persone. Tutti portatori di diritti sociali, civili, di cittadinanza. Diritti indivisibili, da difendere e spesso da riconquistare in un'Italia classista e ingiusta rifondata sui privilegi.

Trascina l'emozione della piazza Maurizio Landini, il nuovo segretario generale della Fiom, quando dice che di quel che sta succedendo a Roma e in Italia, di questa domanda collettiva di dignità, partecipazione, democrazia, bisogna ringraziare, prima e più che la Fiom, gli operai di Pomigliano e di Melfi che non hanno chinato la testa di fronte all'arrogante pretesa del padrone di scambiare lavoro ipotetico con diritti certi. I diritti, semmai, vanno estesi a tutti sennò si riducono a privilegi.

Chi è in piazza, come questi operai della Fiat, non vuole o non vuole più chinare la testa. Due cortei sterminati hanno raccontato tante cose a una Roma finalmente attenta e qua e là anche partecipe. La fatica di lavorare e vivere in una crisi spietata, gestita per di più da un governo spietato perché «servo», come sta scritto su tanti cartelli. Alcuni un po' scorretti. Servo «dei padroni», naturalmente, di «Marchionne cetnico, Bonanni maggiordomo» per dire che al servizio del modello sociale preteso dall'uomo miracoloso della Fiat di «servi» ce ne sono molti. Più che contro Berlusconi, la piazza rossa della Fiom è contro un modello sociale e politico in cui l'operaio è pura variabile dipendente, appendice della macchina a cui lavora e al tempo stesso combattente arruolato con la forza del ricatto in una guerra globale che non è di classe ma tra navi nemiche in cui stanno tutti insieme, padrone, manager e tute blu per combattere contro un'altra nave modellata allo stesso modo alla conquista, come l'altra, del dio mercato. Mors tua vita mea, siamo in guerra. Ne parliamo con gli operai dei «cantieri navali in lotta» che ci spiegano come la stratificazione della nave sia classista perché c'è chi rema e chi spartisce i dividendi, ma lo è già «al momento della sua costruzione»: alla stiva lavoratori immigrati senza diritti, ai primi piani dipendenti delle ditte appaltatrici e subappaltatrici e solo ai piani alti i «nostri» operai. Che però stanno massicciamente con la Fiom e non si fanno fottere perché sanno che il nemico è l'armatore e i suoi caporali. Questa piazza ragiona e grida contro un modello sociale che punta sulla guerra tra poveri, disoccupati e cassintegrati contro i migranti. Un modello sociale in cui la democrazia dev'essere «governante» ed è insieme un optional rinsecchito, fruibile solo per i ceti abbienti. Tutto il potere in mano a pochi, in politica come all'università, in fabbrica come nei quartieri. Non sopportano Berlusconi le centinaia di migliaia di lavoratori, studenti, pensionati che occupano la Capitale, e non glie lo mandano a dire. Ma temono, forse ancora più di Berlusconi, il partito del potere vero: quello di Marchionne, Marcegaglia e Montezemolo che «potranno anche essere alleati di qualcuno, ma non di questa piazza», dice un giovane di un centro sociale torinese.

È ovvio vedere sfilare Emergency che chiede il ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan, dato che la Fiom è per il ritiro. È ovvio che sfili Libera per chiede legalità perché la Fiom chiede legalità, anzi spiega che la frantumazione del ciclo produttivo con la moltiplicazione di appalti e subappalti è l'ascensore che favorisce l'appropriazione dell'economia da parte della criminalità. I migranti cercano casa, diritti e lavoro e sono ora sparsi ora concentrati negli spezzoni dei cortei. Nella Fiom vedono una casa. All'Ostiense lo spezzone Fiom di Reggio Emilia è tricolore non per bandiere rigidamente rosse ma grazie alla presenza di operai indigeni, africani e asiatici. Dal Veneto sono calati in massa sia gli operai di Landini che i giovani dei centri sociali, così come dalle Marche. L'orgoglio di essere Fiom, innanzitutto. Gridato da Melfi, da Pomigliano, da Mirafiori, dallo spezzone più incazzato che apre il corteo di piazza della Repubblica, quello Termini Imerese che in coro canta «sciuri, sciuri, sciuriti tutto l'anno, e Marchionne va a jettari u sangu». Precisa la segretaria della Fiom siciliana che «da noi gettare il sangue vuol dire faticare». E noi ci crediamo.

La pensionata di Macerata e la zingara spericolata, il pacifista trentino e il cassintegrato autorecluso all'Asinara, il No Tav della Valle di Susa e persino i venditori di fischietti chiedono una cosa: la riunificazione delle lotte che si incrocia con la riunificazione del lavoro chiesto dagli operai arrivati, ancora una volta e più numerosi e decisi di sempre, a Roma. «Basta con le escort e le case a Montecarlo», chiede un cartello. Inutile dire di cosa si debba occupare la politica, di lavoro, democrazia, diritti, legalità. «Di contratti, per dio», grida il pensionato abruzzese. Ma c'è anche chi chiede «10-100-1000 Same» portando in corteo uova finte.

Di miracoli ieri se ne sono visti molti, a Roma: i soggetti organizzati, chi si batte per l'acqua pubblica e i beni comuni, chi guida le battaglie contro il precariato, chi chiede un reddito di cittadinanza, chi vuole una scuola libera e pubblica chi chiede lavoro per sé e galera per i suoi padroni (le maschere dell'Eutelia), tutti questi pezzi di mondo hanno iniziato a camminare insieme. C'è addirittura chi parla dello «spirito di Genova». Inutile ricordare che anche la Fiom, nel G8 del 2001, c'era, insieme a chi gridava «un altro mondo è possibile».

Il secondo miracolo romano è che dal palco tutte queste domande e sensibilità sono state raccolte nell'intervento di Maurizio Landini, un operaio speciale che sa parlare alla sua gente e al popolo multicolore di piazza San Giovanni. «C'è una domanda di cambiamento a cui bisogna dare una risposta». Piace ai comunisti, i tantissimi di Rifondazione ma anche del Pdci, del Pcl, di Sinistra critica. Piace a Vendola e alla Sel, forse piace anche ai tre eroi che trascinano in corteo altrettante bandiere del Partito democratico. E il «nuovo modello di sviluppo» di Landini piace agli ambientalisti, con o senza bandiera verde.

Tutti chiedono la stessa cosa: le lotte devono andare avanti, fino allo sciopero generale. Meglio prima che dopo. Lo ricordano senza tregua al segretario generale Guglielmo Epifani al suo ultimo comizio da capo della Cgil.

Non sono eroi, sono però degli esempi. Coccolati da tutti, orgogliosi, rumorosi, determinati, allegri persino. Sono gli operai di Pomigliano, quelli dei No a Marchionne da cui è partito tutto questo casino che ha ridato una speranza al paese. Meglio, alle persone per bene. Coccolati sono anche i tre licenziati di Melfi che hanno vinto la causa ma che il padrone tiene fuori dalla fabbrica. C'è anche il manifesto in piazza, con i suoi circoli e i suoi giornalisti, i suoi stand e il suo grido di dolore. Siamo accolti molto bene in piazza, e persino dal palco c'è chi ricorda la resistenza di un giornale amico degli operai, un giornale senza padroni, senza partiti e senza soldi. Un giornale schierato, come e con questi chissà quanti italiani e migranti di buone speranze.

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