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Ida Dominijanni
La società delle tane
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Oltre De Rita, il senso del Rapporto Censis: "una società di proprietari di case, che solo in case investe e solo case scambia, più che di spazio sembra vivere e voler vivere di tane". Da il manifesto del 7 dicembre 2004

Un anno fa scrisse il Censis, alias Giuseppe De Rita, che l'Italia era diventata un paese senza rappresentanza e senza rappresentazione: senza sintesi politica, e senza un'immagine di sé dotata di senso. Una condizione di miseria simbolica preoccupante, cui tuttavia il Rapporto 2003 trovava - e insieme, come sempre si fa in sociologia, indicava - la via d'uscita del «vivere nell'altrimenti»: «altrimenti che nello sviluppo, altrimenti che nel declino», gli italiani avevano trovato e potevano trovare la strada per galleggiare nella «qualità localistica della vita» fatta di antichi borghi, buona convivialità e buon vicinato, ed evitare la morsa dell'angoscia e la china della depressione. Quest'anno il Censis, alias Giuseppe De Rita, nel buco della rappresentazione c'è cascato esso stesso: il Rapporto 2004 non fornisce un'immagine dotata di senso dell'Italia neanche a rammendarla pagina per pagina, e galleggia come l'oggetto di cui si occupa. Ovviamente De Rita può sempre rifugiarsi, come lui stesso ammette, nello heri dicebamus: aveva detto fin dal `71 che il sommerso è importante, aveva puntato sul locale e sul «piccolo è bello» e i fatti gli hanno dato ragione. Diagnosi profetiche; tanto vale riprovarci. E infatti è con spirito profetico che prevede, per il prossimo futuro, «una dura dialettica fra chi approccia la realtà con strumenti valoriali e chi invece ritiene primaria la libertà da ogni condizionamento valoriale». O il sacro o il profano; o la religione o le libertà soggettive; o il fondamento del Vero, o il «fondamentalismo statale» delle leggi e quello scientista della sperimentazione. Più che da De Rita, lo heri dicebamus sarà a buon diritto rivendicato fra qualche anno, in questo caso, dal Foglio, che questo scenario lo sta allestendo diligentemente da settimane e mesi.

C'è da crederci? Chi può dirlo. De Rita stesso mette le mani avanti, consapevole che l'irrappresentabile società italiana sembra vivere più di mediazioni basse che di drammatici conflitti ideologici: può darsi dunque, scrive, che sarà la «lunga deriva di tolleranza» ad avere la meglio sulla «dura dialettica» di cui sopra. Sulla quale peraltro grava fin d'ora, secondo il presidente del Censis, la cappa della rimozione. Perché, a onta dei dibattiti a mezzo stampa e tv su Fede e Ragione, la società italiana pare aver reagito fin qui al ritorno della coppia violenza- sacro, che bussa dalla porta del cosiddetto scontro di civiltà, con il rifugio nel fatalismo individuale, con la delega alla politica di potenza, con la derubricazione del fondamentalismo islamico a «normale» terrorismo politico. Ma allora dove stanno gli annunci della «dura dialettica»? E' vero, e qui De Rita ha ragione, che la questione del ritorno del sacro, dopo decenni di cancellazione di questa dimensione dal discorso pubblico, è una faccenda serissima. Ma nella stessa lettura del Censis sembra tutt'altro che seria la sua percezione sociale. E se la «dura dialettica» fosse allora fra la rimozione sociale del problema e la sua drammatizzazione in termini apocalittici da parte di opinion makers alla ricerca di immagini forti e conflitti decisivi per un tessuto sociale sempre più rarefatto e apatico?

Da tutto il seguito del Rapporto la società italiana infatti così appare, rarefatta e apatica. Acquattata nell'«altrimenti» e nella convivialità; disincantata rispetto non alla cattiva politica ma alla politica tout court; immemore di sé e inceppata nella trasmissione generazionale; monca di investimenti sulla formazione e la ricerca cioè sul futuro; protetta dalle grandi sfide della globalizzazione, dello sradicamento, dell'incontro con l'altro nelle mura domestiche che perimetrano la proprietà e il proprio. La dimensione spaziale al posto di quella temporale, così il Censis si sforza di nobilitare la situazione. Ma una società di proprietari di case, che solo in case investe e solo case scambia, più che di spazio sembra vivere e voler vivere di tane, che né il sacro né il secolare riescono a sfondare.

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