Nel cuore lombardo del berlusconismo ha vinto un politico lontano dai cliché del populismo mediatico, un giurista garantista, un candidato che piace alla società milanese (dall'alta borghesia ai ragazzi dei centri sociali), un uomo di sinistra, un vecchio amico del nostro giornale. L'affermazione di Giuliano Pisapia è di buon augurio per una sinistra finalmente capace di vincere.
Un indizio (la vittoria alle primarie pugliesi di Nichi Vendola) non faceva una prova, ma due (l'affermazione di Pisapia) sono più di una coincidenza. Sembra che le primarie sia destinato a perderle il candidato sponsorizzato dai vertici del Pd (in questo caso l'architetto Boeri) e a vincerle quello che che più ne critica l'arroccamento (per esempio il rottamatore Renzi a Firenze) o che decisamente sterza a sinistra (con l'aiuto di Sel e Rifondazione) riempiendo il vuoto di prospettiva del maggior partito di opposizione. Se dovessimo proiettare il risultato milanese sulla ribalta nazionale, saremmo facili profeti nel prevedere una sconfitta di Bersani e una vittoria di Vendola. Sempre che le deludenti performance dei candidati fin qui scelti dal Pd non inducano il gruppo dirigente a cancellarle, come le reazioni di alcuni esponenti, dopo la sberla di Milano, fanno intendere (Follini le vorrebbe seppellire contro Rosy Bindi che le ritiene necessarie).
Anche perché l'effetto-Vendola sul voto di domenica è difficilmente discutibile. Il presidente della Puglia è volato nel capoluogo lombardo per chiudere la campagna elettorale di Pisapia davanti a migliaia di persone. Mentre dall'altra parte si è fatto il vuoto (la scarsa affluenza alle urne è stata spiegata anche così) di fronte a un partito che prima sceglie il suo cavallo e poi nemmeno lo sostiene come dovrebbe. Tanto che i vertici locali si sono dimessi e la confusione è totale. Non solo sulle primarie, ma sulle soluzioni da dare alla crisi di governo e, più alla radice, all'egemonia berlusconiana.
C'è infatti una ragione profonda che lega e spiega il consenso a Pisapia e Vendola. Ieri Fini ha ritirato i suoi ministri, i presidenti di camera e senato sono chiamati al Quirinale. C'è bisogno, oggi non domani, di una risposta di sinistra a questo passaggio di sistema. Sugli scenari parlamentari: si vuole cambiare la legge elettorale e regolare il potere mediatico prima di andare al voto? Si vuole invece aderire a un comitato di salvezza nazionale, con Fini e Casini, per durare fino alla fine della legislatura?
Perché mentre si riesce a intravedere il tentativo delle forze dominanti (da Confindustria alla Chiesa, ai partiti del nuovo centro) di ricostruire un assetto post-berlusconiano, non si capisce dove va il Pd, con chi vuole allearsi il segretario eletto sulla proposta di un accordo con Casini, dove sta la differenza con la linea di Marcegaglia e Montezemolo. Vendola e Pisapia parlano di questo, indicano leadership e contenuti capaci (dal lavoro al nucleare, dall'immigrazione ai diritti civili) di riaccendere, anche con le primarie, il senso di una nuova politica. Di un 25 aprile che spezzi la disillusione, che ci riporti, con la partecipazione, anche la speranza di tornare a vincere.