Può apparire curioso che, a distanza di oltre trent’anni dall’ultima elaborazione di un nuovo piano per Milano, essa avvenga, oggi come allora, nel pieno svolgersi di una crisi economica drammatica. Certamente, il contesto non è paragonabile a quello della fine degli anni 70; e anche ciò che si intende per governo del territorio è ben diverso dall’elaborazione di un vecchio piano regolatore urbanistico (come nel caso dello strumento approvato nel 1980).
Tuttavia, atti di governo di tale significato non possono e non debbono ignorare il contesto generale e – per quanto riguarda il nuovo Pgt – la specificità della crisi in atto. Una crisi che ha mostrato fin dall’inizio le relazioni distorte proprio tra le dinamiche finanziarie e i processi di produzione e allocazione di beni immobiliari (ricordiamo tutti i cosiddetti subprime statunitensi). Realtà distinte e lontane, si potrebbe dire con alcune ragioni: basta poi sfogliare i giornali per comprendere quanto i legami tra banche e settore immobiliare mostrino segni preoccupanti anche in Italia e a Milano in particolare. Questo per dire che la classe dirigente locale farebbe bene a prendere sul serio il mutamento di fronte imposto dalla crisi e – come sembra per l’Expo – orientare con lungimiranza le proprie scelte strategiche, a partire da quelle nevralgiche riguardanti lo sviluppo territoriale.
Dalla prima lettura dei documenti sinora elaborati – mancano il documento delle regole e un compiuto piano dei servizi – sembrano presenti molte suggestioni che alludono a una diversa strada, maggiormente sostenibile. Ma sappiamo quanto scarto possa esistere tra carta e pratiche effettive di costruzione della città. Ci limitiamo a constatare che la sfida è lanciata. Non è poco, in una città come Milano: e ciò va attribuito al tenace lavoro dell’assessore Masseroli. Ma sembra necessario un serio bilancio del recente sviluppo urbanistico della città, senza il quale ogni proiezione in avanti appare più una fuga dalle responsabilità che una necessaria precisazione della rotta di governo. Infatti, una volta tramontata ogni visione salvifica dei piani e della pianificazione, il nuovo Pgt non sarà certo giudicato per la raffinatezza di alcune rappresentazioni grafiche o per l’eleganza di alcune interpretazioni della città, ma per la capacità effettiva di intercettare i concreti processi di sviluppo e per orientarne efficacemente alcuni esiti. Milano ha maledettamente bisogno di produrre sensibili effetti di governo nella produzione di beni pubblici indispensabili a qualificarne la crescita (spazi pubblici e servizi alle varie popolazioni, in primo luogo), ma la strada per conseguire tali risultati non può che essere strategicamente selettiva. Saprà la gestione del nuovo strumento dare segnali in questo senso? È questa la chiave migliore per valutare l’urbanistica milanese dei prossimi anni e per coglierne la sua autentica dimensione politica e civile.