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Paolo Ginsborg
La scomparsa del ceto medio
16 Ottobre 2010
I tempi del cavalier B.
Particolarmente rilevante, negli stralci della lezione dello storico anglo-italiano, la sintetica analisi del berlusconismo. La Repubblica, 16 ottobre 2010

Che cos’è oggi il ceto medio italiano? Tre elementi ci colpiscono subito. In primo luogo l’incessante crescita numerica. In base ai dati forniti da Paolo Sylos Labini, i ceti medi urbani italiani, in cui l’autore raggruppa le principali categorie dei piccoli imprenditori, degli impiegati pubblici e privati, degli artigiani e dei commercianti rappresentavano nel 1881 il 23,4% della popolazione, mentre nel 1993 toccavano il 52%. Oggi secondo le stime si attestano attorno al 60%...

Accanto a questo primo, grande fatto strutturale ve n’è un secondo: il livello sempre più alto di istruzione che li caratterizza. Nel 2001... gli italiani in possesso di un titolo di studio medio, superiore o universitario erano diventati il 63,4% per cento della popolazione. Questa rivoluzione scolastica non colma il divario esistente rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna, ma è innegabile che il paese può vantare un ceto medio sempre più esteso e istruito. Il terzo elemento strutturale riguarda la composizione interna dei ceti medi. L’Italia ha una quota di occupazione indipendente (o lavoro autonomo) molto alta (il 26,4% dell’occupazione totale nel 2006) più elevata di qualsiasi altro paese europeo. Ma attenzione: in questi anni i media e la destra politica hanno tentato con martellante insistenza di presentare il mondo del lavoro autonomo in generale e quello del piccolo imprenditore in particolare come predominante nel paese... In realtà, il lavoro autonomo è in lento declino dal 2003, costituisce solo un quarto del lavoro complessivo in Italia e meno della metà dell’occupazione dei ceti medi presi nel loro insieme. Esso cela in sé un gran numero di figure diverse – non solo quella del piccolo imprenditore dinamico ma anche il vasto e perdurante mondo dei commercianti e degli artigiani, nonché moltissimi ‘autonomi precari’, specialmente giovani, che hanno la partita Iva ma non un’ occupazione stabile...

Negli ultimi quindici anni il ceto medio si è diviso in due mondi, piuttosto diversi uno dall’altro... Chiamerei l’uno il ceto medio riflessivo, capace di bridging (cioè capacità di costruire ponti verso altri) e, in termini occupazionali, caratterizzato dal lavoro dipendente; l’altro il ceto medio concorrenziale, tendente al bonding (cioè tendenza a rafforzare i legami interni a uno specifico gruppo) e prevalentemente dedito al lavoro autonomo.

Partiamo con la prima componente, il ceto medio riflessivo. In tutta l’Europa si è sviluppato un ceto medio attivo nelle professioni socialmente utili, nel terzo settore e tra gli assistenti sociali, ma anche tra gli insegnanti e gli studenti, gli impiegati direttivi e di concetto del settore pubblico, i nuovi operatori nel mondo dell’informazione e della cultura... Ad ingrossarne le file è stato un numero sempre crescente di donne molto istruite, alla ricerca di un impiego adeguato alla loro professionalità, ma in forte difficoltà nel trovarlo, soprattutto al Sud... Questa componente dei ceti medi contemporanei in apparenza è dotata di notevole potenziale civico. Se guardiamo il caso italiano vediamo come l’opposizione al regime di Berlusconi provenga in parte considerevole da questi settori dei ceti medi. A partire dalle grandi manifestazioni della primavera e dell’autunno 2002, fino alle dimostrazioni organizzate attraverso internet dal ‘Popolo Viola’ del dicembre 2009 e di ottobre 2010, numerosi appartenenti a questi strati sociali si sono mobilitati contro il regime... Non bisogna in nessun modo esagerare le capacità civiche di questa parte dei ceti medi, né la loro consapevolezza di sé come gruppo sociale... Essi hanno sempre possibilità di scelta e, di fronte alla ripetitività delle proteste e soprattutto allo scarso incoraggiamento proveniente dal ceto politico di sinistra, perdono slancio e speranza...

Vengo ora alla seconda agglomerazione – i ceti medi – prevalentemente dediti al lavoro autonomo e fortemente orientati al mercato... Storicamente una componente di spicco di questo mondo sono sempre stati i distretti industriali italiani, apprezzati da numerosi studi internazionali e considerati anche portatori di un specifico modello di coesione sociale... Viene da chiedersi, però, quanto questo quadro sia ancora valido nel Nord Italia, di fronte alla crescita della Lega... Nella Lombardia e nel Veneto, se non nella Toscana e nell’Emilia-Romagna, si è sviluppato un modello diverso, fortemente basato sul bonding territoriale e sull’appartenenza etnica, sullo sfruttamento di una sottoclasse di immigrati, sulla scarsa presenza di equità sociale e su una forma di democrazia fortemente personalizzata e di partito. Davanti a quest’onda gli studiosi devono dirci cosa resta dell’ethos dei vecchi gloriosi distretti industriali...

Qual è l’apporto del ‘Berlusconismo’ a questo quadro generale?... La singolarità del ‘Berlusconismo’ risiede nell’uso particolare che egli ha fatto delle opportunità che il degrado democratico degli anni ‘80 gli ha offerto. In modo precoce (1984) ha potuto stabilire un controllo mediatico sulla televisione commerciale unico in Europa, senza la sorveglianza di un qualsiasi garante pubblico, e ha potuto utilizzare questa libertà per reiterare incessantemente determinati valori e stili di vita, e per trascurarne o denigrarne altri... Questo sfrenato potere mediatico è il primo elemento del Berlusconismo. Un secondo è il comportamento di Berlusconi nei confronti dello Stato e della sfera pubblica. Qui riscontriamo una forte diversità rispetto alla signora Thatcher. Quest’ultima, per quanto radicale, non mise mai in dubbio le istituzioni e le pratiche della democrazia britannica. Berlusconi, al contrario, come dimostra anche la sua famosa videocassetta del 26 gennaio 1994, quella della ‘discesa in campo’, ha sempre considerato la sfera pubblica una zona di conquista, di occupazione, di trasformazione... L’ultimo apporto del Berlusconismo... è l’esplicito appoggio a un elemento dei ceti medi – quello del lavoro autonomo e concorrenziale – a spese dell’altro, quello più riflessivo e basato sul lavoro dipendente. Berlusconi blandisce il primo con tutta una serie di carezze - agevolazioni fiscali, condoni edilizi, la depenalizzazione sostanziale del falso in bilancio... All’altro elemento dei ceti medi, il ‘Berlusconismo’ riserva solo schiaffi – lo smantellamento progressivo della scuola pubblica, il degrado senza fine delle grandi istituzioni culturali, gli stipendi in calo verticale in termini di potere d’acquisto. Così - e questo forse è la sua eredità più dannosa - Berlusconi contribuisce in modo drammatico a spaccare il ceto medio, e ad incrementare il livello di incomunicabilità tra le sue due componenti principali. Ogni tanto mi sembra che i moniti ottocenteschi di Disraeli circa il rischio di creare due Nazioni siano di scottante attualità per l’Italia contemporanea...

Questo testo è tratto dal discorso che terrà oggi a Firenze, al convegno "Società e Stato nell’era del berlusconismo".

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