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Giorgio Ruffolo
La scommessa del centrosinistra
11 Novembre 2004
Sinistra
Su la Repubblica del 31 luglio 2004, alcune concrete proposte politiche per ricostruire dopo il berlusconismo

La crisi del berlusconismo porta con sé quella del cripto-berlusconismo. I cripto-berlusconiani sono di due specie. Ci sono i maitres à penser che in nome di un olimpico imparziale liberalismo, in questi anni, hanno, con stomaco di ferro, ingoiato tutti i rospi, ma proprio tutti, dell´illiberalismo berlusconiano: dal populismo euroscettico al neo protezionismo "colbertiano", dal padanismo antinazionale ad alto grado alcolico alla impudica ostentazione del conflitto d´interessi (con lo spettacolo di un premier che minaccia un leader della sua maggioranza di scatenargli addosso le sue televisioni). E tutto ciò, senza neanche un ruttino, senza un fremito che turbasse la loro gravitas; seguitando a dare tre colpi al cerchio della sinistra e un colpettino alla botte della maggioranza. Ci sono poi i "migranti", per lo più delusi della sinistra, ma apparentemente titubanti (tranne eccezioni, s´intende). Si tratta di degne persone (tranne eccezioni, s´intende) che si sono fatte sedurre da un certo vitalismo neurovegetativo, che forse compensava le troppe "corazzate Potemkin" sofferte nei cineclub della sinistra; e, più seriamente dai rancori, spesso fondati, per i torti subiti dalla burocrazia comunista.

Ora, di fronte a una crisi della maggioranza così impietosamente esibita, la reazione comune di queste due categorie di "compagni di strada occulti" è di natura terzista: se Sparta piange, Atene non ride; se Berlusconi sta messo male, anche Prodi non si sente bene; insomma, tutti e due i poli sono in crisi: ambedue sono falliti, meglio tornare al buon tempo antico.

Eh no, maestri liberali e migranti delusi, le carte di riconoscimento storiche e le performance delle due coalizioni sono ben diverse, non fosse altro che per questo: che la coalizione di centro sinistra ha impedito che il Paese si staccasse dall´Europa, salvandolo dal baratro finanziario; mentre quella di centro destra, governando in questi tre anni con incompetente leggerezza, ha fatto quanto poteva per risospingervelo.

Ciò che è vero, invece, è che il Paese, dopo tante strepitanti fanfare, si trova in una condizione di angosciosa incertezza. Sarebbe ovvio che, dopo la sbornia berlusconiana, si rivolgesse decisamente all´opposizione, non fosse altro che per il divario di qualità professionale del suo personale politico, ampiamente dimostrato dall´esito delle elezioni amministrative. Se ciò non avviene ancora se non in parte a livello politico nazionale, a che cosa è dovuto?

Giuseppe De Rita risponde: a incertezza sul "blocco storico di riferimento". Francamente, non credo che De Rita intenda resuscitare l´antica e a suo tempo significativa metafora gramsciana, in questo nostro tempo di grande frammentazione degli aggregati sociali e intensa mobilità dei loro componenti (non era proprio lui, tra i più acuti interpreti di questo fenomeno?). Assistiamo, nel campo della gravitazione sociale, a una mutazione simile a quella che si è verificata nella politica economica: lo spostamento dell´asse dalla domanda all´offerta. Detto alla buona: non è più la domanda dei blocchi sociali a disegnare la risposta politica efficace; ma è un´offerta politica efficace a configurare il disegno dei blocchi sociali.

Se questo è vero, il problema della sinistra, in Italia, non è quello di individuare il blocco storico di riferimento, concetto divenuto sfuggente: ma di individuare l´offerta politica - le riforme sociali e istituzionali, i cambiamenti - capaci di mettere insieme pezzi e pezzetti della società: di suscitare il consenso necessario per aggregare un nuovo blocco sociale e politico.

È possibile, questo, costruendo nuove combinazioni delle forze politiche in campo? Nuovi partiti? Nuove spartizioni e ripartizioni di partiti vecchi? Questo è certo un esercizio appassionante per politologi iperspecializzati. Ma temo che questa micropolitica non susciti il minimo sex appeal nella gente comune.

Ecco allora riproporsi il vecchio indiscreto fantasma del grande programma? Vade retro! Un grande zibaldone onnicomprensivo non ci serve a niente.

Si tratta di presentare al Paese una proposta forte, di poche grandi operazioni di riforma ispirate a una filosofia umanistica e moderna, dell´equità efficiente, che quelle riforme rendano credibile e mobilitante. Una strategia non dissipativa, di attacco (o di difesa) debole su tutto il fronte, ma selettiva e concentrata, che lasci grande spazio alle tattiche di adattamento del tempo e del luogo. Giuliano Amato ha già offerto un valido contributo in questo senso.

Si tratta di raccogliere attorno a questo "pacchetto di punta" il massimo di unità politica delle forze politiche progressiste e riformiste, invertendo arditamente una deriva storica nazionale di divisioni gelose e rissose, devastante per lo sviluppo del Paese, come quella di cui la ex maggioranza di centro destra sta dando un così esemplare spettacolo. Senza pretendere accordi preventivi e patti onnicomprensivi, ma riconoscendo in premessa l´esistenza di zone sulle quali l´accordo non è (ancora) possibile.

Si tratta però, nella scelta dei temi, di non aggirare quelli ritenuti intoccabili perché scabrosi, ma fondamentali per l´avvìo di una autentica politica di sviluppo. E qui bisognerebbe passare dalla politica perdente del "non si tocca" a quella audace della ricerca di compromessi con contropartite vincenti: come si dice, compromessi a somma positiva. Due soli accenni. L´allungamento della vita di lavoro è necessario per l´equilibrio dei conti previdenziali in una condizione di invecchiamento; ma si devono ottenere garanzie concrete sulla qualità del lavoro degli anziani. La flessibilità del lavoro è accettabile nella misura in cui sia compensata da una piena e buona occupazione concretamente garantita dallo Stato attraverso politiche attive di formazione e di ricollocamento, non affidata alle speranze del mercato.

La scelta di queste riforme strategiche va fatta usando un potente rastrello che riduca la complessità delle istanze, rinunciando a un´illusoria completezza. Il rastrello più ovvio è quello del tempo disponibile: una legislatura non tollera, al massimo della sua efficienza, più di cinque o sei grandi riforme.

L´agenda delle riforme dovrebbe essere preceduta da un piano di breve periodo diretto a far uscire il Paese dall´emergenza creata dall´attuale governo. E dovrebbe essere accompagnato da "strategie del contesto": proposte che l´Italia dovrebbe avanzare in sede europea, per il rilancio politico ed economico dell´Unione; ed in sede internazionale, per la governance dell´ordine mondiale.

Dovrebbe identificare inoltre i principali "benchmarks", gli indicatori economici e sociali che il governo si propone di raggiungere in tempi determinati, non con le chiacchiere ma con le cifre. Dovrebbe, infine, predisporre le linee di quella riforma modernizzatrice di un´amministrazione programmatica e "in tempo reale", che richiederà certo più di una legislatura, ma che è la madre di ogni riforma, la riforma dello Stato: un obiettivo finora in gran parte mancato, anche dal centro sinistra.

Last but not least, c´è il problema della comunicazione politica. Forse, il più importante. Qui si inserisce la mia "modesta proposta" avanzata su questo giornale e ripresa positivamente da Piero Fassino, da Fausto Bertinotti e da altri autorevoli esponenti del centro sinistra: quella di aprire, su uno schema elaborato dai partiti del Centro Sinistra, una Convenzione Programmatica aperta a tutte le istanze rappresentative delle forze economiche sociali e culturali del Paese. Un Convenzione nazionale che abbia tutto il tempo per discutere, approfondire, rielaborare. Per giungere a una Proposta finale, da sottoporre alla coalizione, e da quella al Paese.

Non si tratta solo di una procedura tecnica. Si tratta di una scelta politica, diretta a fondare la coalizione di Centro Sinistra non sulle combinazioni geopartitiche, ma su una grande esplicita seria scommessa di rilancio dello sviluppo, ispirata al primato dell´interesse pubblico.

Questo Paese si è affidato per tre anni a una gestione privatistica, ispirata alla concezione dello Stato come Supermarket, del popolo come gente, del cittadino come cliente, del politico come attore. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. È tempo che si riconosca nel volto umano, solidale e civile di una Repubblica.

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