Alla fine i falchi di Forza Italia hanno dovuto cedere e il consiglio regionale della Sardegna ha approvato l'articolo del decreto salva coste, il numero 3, che impedisce di costruire entro una fascia di due chilometri dal mare. Per bloccare la decisione della giunta presieduta da Renato Soru l'opposizione aveva presentato 3.800 emendamenti. Guidata da Mauro Pili, ex presidente della Regione, alter ego in Sardegna del presidente del Consiglio, il centrodestra puntava a bloccare i lavori del consiglio e a impedire l'approvazione della legge finanziaria regionale entro la fine dell'anno. Ma le cose sono andate storte. Pili, alla fine, è rimasto isolato all'interno della stessa minoranza. Il braccio di ferro è finito a favore del centrosinistra. Alleanza nazionale si è sfilata, lasciando Pili solo a sostenere la linea dello scontro istituzionale. Al partito di Fini si è accodato quasi tutto il resto dell'opposizione, che ha deciso di rinunciare all'ostruzionismo e di discutere la legge in consiglio a termini di regolamento. In sostanza, il centrodestra ha riconosciuto alla maggioranza il diritto di legiferare, senza per questo rinunciare a modificare il decreto in aula. Dopo l'intesa tra centrosinistra e centrodestra Pili ha reagito con dichiarazioni molto polemiche, accusando i partner della coalizione di centrodestra di fare «un'opposizione morbida e in pantofole». Puntuale la replica del capogruppo di Alleanza nazionale in consiglio, Mario Diana: «Ma quali pantofole. Alleanza nazionale farà un'opposizione dura, ma nei limiti della democrazia. L'accordo sul disegno di legge esiste, ma riguarda solo i tempi e non i contenuti». E poi, una puntualizzazione che è anche una «frecciata» al leader di Forza Italia: «Non siamo noi ad aver perso le ultime elezioni, ma Pili». Nel confronto con Soru, Pili ha perso con un distacco nettissimo a favore del leader del centrosinistra (un centrosinistra allargato, in Sardegna, ai movimenti e a Rifondazione Comunista). Il contrasto tra Pili e An riflette a livello locale le tensioni che a Roma agitano la Casa delle libertà. Dopo l'accordo con l'opposizione, la discussione del disegno di legge sulle coste è ripresa a ritmi normali. L'articolo cardine, il 3, è già passato. Ed è un vero e proprio mutamento di paradigma. Il divieto di costruire entro la fascia di due chilometri ferma tutti i progetti speculativi e tutti i piani immobiliari che molti comuni avevano fatto passare, nei cinque anni di governo del centrodestra, con il sostanziale appoggio della giunta regionale. Il saccheggio indiscriminato viene bloccato. Il disegno di legge fissa i criteri generali di una programmazione che mette al centro la tutela dell'ambiente.
Gli interessi che vengono colpiti sono enormi. Tra i progetti bloccati quello di Costa Turchese, a sud di Olbia, dove una società di Marina Berlusconi, figlia del presidente del Consiglio, vorrebbe realizzare un maga villaggio turistico. Ma viene bloccato anche il progetto di raddoppio della Costa Smeralda messo in cantiere da Tom Barrack, il miliardario texano che ha acquistato il paradiso sardo delle vacanze per vip da Karim Aga Khan. Così come vengono fermate colate di cemento già pronte a deturpare le coste di Bosa, di Alghero, del Sulcis e dell'Ogliastra. Interventi che, considerati tutti insieme, prefigurano una sorta di città lineare, fatta di seconde case, di villaggi turistici e di alberghi, che si estenderebbe su tutto il perimetro delle coste sarde. Interessi imprenditoriali, quelli toccati dal decreto, che si appoggiano soprattutto a Forza Italia. Anche per questo An ha deciso di mollare Pili e di lasciarlo solo a sostenere la linea dell'ostruzionismo a oltranza. Ora il fronte della protesta dura si è spostato dal consiglio regionale ai Comuni ed è guidato da sindaci di centrodestra. In prima fila il sindaco di Olbia, Settimio Nizzi, e quello di Arzachena, Pasquale Ragnedda. Il più intransigente è Nizzi, che sui progetti di cementificazione delle coste ha puntato tutta la sua campagna elettorale, sostenuta in prima persona dal Cavaliere.