Non sarà cominciata una commedia satirica, divertente e spaventosa? Argomento: la catastrofe climatica e la crisi petrolifera uccidono il rischio atomico.
Nella riunione annuale del G8 in Giappone il presidente americano George W. Bush torna a caldeggiare la costruzione di nuove centrali nucleari. Per salvare il clima il mondo deve scoprire la «bellezza dell’energia atomica». Anche i governi europei - tra i quali l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna - vogliono reintrodurre l’energia atomica, ribattezzata "eco-energia" (secondo la definizione del segretario generale della Cdu, Ronald Pofalla), nel gioco di potere della politica energetica. Forse anche gli "Stati canaglia" diventeranno ben presto "eco-Stati". Di fronte a questa svolta politico-linguistica è necessario richiamare alla memoria quanto segue.
Qualche anno fa il Congresso degli Stati Uniti affidò a una commissione scientifica l’incarico di sviluppare un linguaggio o un sistema di simboli che avrebbe dovuto mettere in guardia anche dopo diecimila anni sulla pericolosità dei depositi di scorie atomiche americani. Il problema da risolvere era questo: come devono essere i concetti e i simboli adatti a comunicare un avvertimento a coloro che vivranno fra migliaia di anni? La commissione era composta da fisici, antropologi, linguisti, studiosi del cervello, psicologi, biologi molecolari, studiosi dell’antichità, artisti, ecc. Essa dovette anzitutto chiarire questa questione: fra diecimila anni ci saranno ancora gli Stati Uniti? La risposta della commissione governativa fu ovviamente facile: Usa forever! Ciò nonostante, il problema di fondo, ossia avviare oggi un dialogo con il futuro, si dimostrò poco a poco insolubile. Gli esperti cercarono esempi nei simboli più antichi dell’umanità, studiarono la costruzione di Stonehenge (1500 a. C.) e le piramidi, indagarono sulla storia della ricezione di Omero e della Bibbia. Questi testi, però, risalivano tutt’al più a qualche migliaio di anni fa, non diecimila. Gli antropologi suggerirono il simbolo del teschio, ma uno storico ricordò che per gli alchimisti il teschio simboleggiava la resurrezione e uno psicologo condusse esperimenti con bambini di tre anni: se si incollava l’immagine del teschio a una bottiglia essi gridavano impauriti «veleno», ma se la si affiggeva a una parete, esclamavano eccitati «pirati»!
Proprio la scrupolosità scientifica della commissione rese evidente che perfino la nostra lingua fallisce di fronte al compito di informare le generazioni future sui pericoli che abbiamo introdotto nel mondo a causa dell’utilizzo dell’energia atomica.
Gli attori che devono garantire la sicurezza e la razionalità (lo Stato, la scienza, l’industria) giocano un gioco molto ambivalente. Essi non sono più fiduciari, ma sospetti: non più manager del rischio, ma anche fonti di rischi. Infatti, pretendono che la gente salga su un aereo per il quale non esiste nessuna pista di atterraggio.
La "cura dell’essere", risvegliata in tutto il mondo dai rischi globali, ha portato nella discussione politica a un concorso per la rimozione dei grandi rischi. I pericoli incalcolabili generati dal mutamento climatico devono essere "combattuti" con i pericoli incalcolabili legati alle nuove centrali nucleari. Molte decisioni sui grandi rischi non comportano la scelta tra alternative sicure e rischiose, ma quella tra diverse alternative rischiose, spesso la scelta tra diverse alternative i cui rischi si riferiscono a dimensioni qualitativamente diverse e non sono comparabili. Le forme odierne del discorso scientifico e pubblico non sono all’altezza di simili valutazioni. Qui i governi scelgono la strategia della consapevole semplificazione, presentando la decisione come una decisione tra alternative sicure e rischiose, ridimensionando l’imponderabilità dell’energia atomica e centrando l’attenzione sulla crisi petrolifera e sulla catastrofe ambientale.
Occorre rilevare che le linee di conflitto della società mondiale del rischio sono linee culturali. Nella misura in cui i rischi globali sfuggono ai normali metodi scientifici di imputabilità e configurano un ambito di relativo non-sapere, la percezione culturale, ossia la fede nella realtà o nell’irrealtà del rispettivo rischio mondiale assume un’importanza centrale. Per quanto concerne l’energia atomica, abbiamo a che fare con un clash of risk cultures, con uno scontro fra culture del rischio. Così l’esperienza di Chernobyl in Germania è valutata in modo diverso che in Francia o in Gran Bretagna, in Spagna o in Italia. Per molti europei i pericoli del mutamento climatico sono ormai molto più importanti dei pericoli dell’energia atomica o del terrorismo. Mentre dal punto di vista di molti americani gli europei soffrono di isteria ambientale e di isteria da "Frankenstein-food", gli americani agli occhi dei molti europei sono vittima di un’isteria da terrorismo.
Fino a poco tempo fa in Germania sarebbe equivalso a un suicidio politico perorare in una campagna elettorale l’abbandono dell’abbandono dell’energia atomica. Ma da quando il mutamento climatico in quanto prodotto dall’uomo e le sue conseguenze catastrofiche per la natura e la società sono considerati certi, le carte nella società e nella politica si sono rimescolate. È però del tutto sbagliato presentare il mutamento climatico come una via irreversibile verso la catastrofe umanitaria. Infatti, il mutamento climatico dischiude insperate opportunità di riscrivere le priorità e le regole della politica. Così, ad esempio, la cancelliera tedesca Angela Merker può mettere i Verdi di fronte a un dilemma, contestando loro il monopolio dell’"eco-politica" e costringendoli a una discussione sulla falsa alternativa tra energia atomica e politica climatica.
In effetti qualcosa si sta preparando. Il continui aumenti del prezzo della benzina giovano, sì, al clima, ma minacciano di portare a un regresso collettivo. L’esplosione dei costi dell’energia riduce lo standard di vita e produce un rischio di povertà nel mezzo della società. Di conseguenza la priorità della sicurezza dell’energia, ancora valida vent’anni dopo Chernobyl, viene messa in discussione dalla domanda: quanto a lungo la maggioranza dei consumatori potrà mantenere il suo standard di vita di fronte ai costi sempre crescenti dell’energia elettrica, del gas e dell’automobile?
Su ciò fa leva la cancelliera tedesca Angela Merkel: chi, come i Verdi, respinge il ritorno al nucleare si rende colpevole nei confronti di una politica climatica preventiva e provoca nella massa della popolazione la paura del declino. In questo modo essa cerca di spingere gli elettori nelle braccia della Cdu, che promette ciò che si esclude a vicenda: essere mobili come lo si è stati finora e, nello stesso tempo, salvare il mondo dalla catastrofe climatica.
Ma chi non degna di considerazione il "rischio residuale" dell’energia atomica disconosce la dinamica politica e culturale della società del rischio residuale. I critici più irriducibili, più convincenti e più efficaci dell’energia atomica non sono i Verdi - per quanto importanti e irrinunciabili essi siano. L’avversario più influente dell’industria atomica è l’industria atomica stessa.
Ma quand’anche ai politici riuscisse questa trasformazione semantica dell’energia atomica in eco-energia, quand’anche i contromovimenti sociali si perdessero nelle loro divisioni, a tutto ciò continuerebbe pur sempre a fare da contrappunto il contropotere reale del pericolo. Esso è costante, duraturo, indipendente dalle interpretazioni, presente anche là dove i manifestanti si sono stancati da un pezzo. La probabilità di incidenti improbabili cresce con il numero degli impianti di eco-energia atomica: ogni "evento" ridesta i ricordi di tutti gli altri eventi, accaduti in ogni parte del mondo.
Infatti, rischio non significa catastrofe. Rischio significa l’anticipazione della catastrofe, che può avvenire non in un determinato tempo e in un determinato luogo, ma ovunque. Non occorre che in Europa accada una mini-Chernobyl; basta che si diffonda un sospetto di negligenza o di qualche "errore umano" da qualche parte nel mondo perché i governi dell’eco-energia atomica si ritrovino di colpo sul banco degli imputati, con l’accusa di aver giocato alla leggera e in malafede con gli interessi di sicurezza della gente.
I pericoli dell’energia atomica ecc. non possono essere né visti, né ascoltati, né gustati, né annusati. E dunque, cosa può fare nella società mondiale del rischio il "cittadino consapevole" che non ha organi di senso per questi pericoli prodotti dal progresso e di conseguenza è privato della sovranità del proprio giudizio? Facciamo un esperimento mentale: cosa accadrebbe se la radioattività desse prurito? I realisti, detti anche cinici, risponderanno: si inventerebbe qualcosa, ad esempio una pomata, per "spegnere" il prurito. Un affare proficuo e promettente, quindi. Certo, ben presto arriverebbero - e godrebbero di grande risonanza pubblica - le spiegazioni secondo le quali il prurito non significa nulla, forse deve essere correlato a fenomeni diversi dalla radioattività, e comunque non è dannoso; fastidioso, ma dimostrabilmente innocuo. Qualora tutti si grattassero e andassero in giro con la pelle rossa e si realizzassero servizi fotografici con modelli o riunioni manageriali dove tutti i presenti non smettono di grattarsi, è probabile che queste spiegazioni di comodo non sopravviverebbero. Perciò, nel confronto con i grandi pericoli moderni la politica e la società si troverebbero davanti a una situazione del tutto nuova: ciò su cui si discute e su cui si tratta sarebbe ora culturalmente percepibile.
L’ultimo libro di Ulrich Beck è Conditio humana. Il rischio nell’età globale, Laterza editore 2008.
Traduzione di Carlo Sandrelli