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Angela Barbanente
La Regione ha corretto quella delibera, ma rispetta l’autonomia del Comune
17 Luglio 2008
Altre città italiane
Dall’Assessora regionale all’Assetto del territorio riceviamo questa esauriente replica alle critiche sull’approvazione regionale della deliberazione del Comune di Bari sulla variante al PRG

La precisazione dell’assessora Barbanente, in replica all’articolo di Dino Borri, è stata pubblicata da la Gazzetta del Mezzogiorno, edizione Bari, il 17 giugno 2008

Il dibattito sviluppatosi sulla stampa locale in seguito all’approvazione della modifica delle Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale (Prg) di Bari, adottata dal Consiglio comunale nel dicembre 2005, mi induce ad alcune riflessioni che in parte vanno oltre i contenuti dell’atto in questione.

Un primo punto che mi sta particolarmente a cuore riguarda la partecipazione sociale. La Regione ha approvato Indirizzi che prevedono che il coinvolgimento della società nella formazione dei Piani urbanistici generali (Pug) accompagni l’intero processo decisionale, sin dalla fase di concepimento del piano e, soprattutto, dia voce a portatori di interessi ambientali, socioeconomici, culturali diversi da quelli “del mattone” e a soggetti finora esclusi dalle decisioni perché privi delle risorse cognitive necessarie per comprendere atti tecnici di indubbia complessità.

Queste nuove forme di partecipazione non sostituiscono quelle da lungo tempo previste dalle norme urbanistiche a tutela dei diritti di ogni soggetto, pubblico o privato, singolo o associato, ma si aggiungono ad esse. I non addetti ai lavori devono sapere che l'iter di formazione del Prg e delle relative varianti prevede: adozione del Consiglio comunale, pubblicazione, presentazione di osservazioni che il Consiglio è obbligato a esaminare puntualmente, controllo regionale con eventuali modifiche che – merita sottolineare – possono riguardare solo l'accoglimento delle osservazioni e il coordinamento con altri piani territoriali e le norme vigenti.

Mi colpisce che, mentre operiamo ogni sforzo per potenziare gli strumenti della partecipazione nelle direzioni sopra indicate, quelli consolidati non siano utilizzati neppure da soggetti attivi e informati.

Vi è un secondo punto sul quale mi preme soffermarmi, soprattutto per evitare che i Comuni pugliesi possano immaginare che la Regione non sia imparziale nella valutazione dei piani comunali. Esso attiene ai limiti dei poteri regionali: come accennavo, la Regione può solo controllare la rispondenza degli atti adottati al quadro normativo di riferimento e non può effettuare valutazioni in ordine all’opportunità degli stessi, essendo queste di stretta competenza del Consiglio comunale. Così come è di competenza comunale la scelta di non dotarsi di Programma Pluriennale di Attuazione (Ppa), reso facoltativo da norme statali recepite dalla lr n. 20/2001. D’altra parte, basta leggere il programma amministrativo del Sindaco Emiliano, al paragrafo “Fare di Bari una città costruttiva”, per constatare che l’eliminazione di “scelte pregresse come il Ppa” era un’esplicita opzione politica volta a “sfidare con successo tutte le questioni, i nodi, i problemi che si sono accumulati”. Ed è proprio la scelta di non redigere un nuovo Ppa che, da un lato, ha reso edificabili altri volumi rispetto a quelli inclusi nel 3° Ppa, dall’altro, ha suggerito di introdurre con la variante al Prg l’obbligo,nelle zone di espansione, di estendere all'intera maglia i piani attuativi, di realizzare le urbanizzazioni di collegamento con quelle esistenti anche al di fuori della maglia e di riservare all’edilizia residenziale pubblica almeno il 40% della volumetria totale.

Nei limiti dei propri poteri, la Regione ha approvato la variante di Bari (adottata fra il 2005 e il 2006, ndr), obbligando, fra l’altro, il Consiglio comunale a deliberare un piano di utilizzazione delle aree destinate a servizi di quartiere, definito sulla base della verifica degli “standard” dei singoli quartieri e/o circoscrizioni. Operazione non da poco, se si pensa che il Comune di Bari non è riuscito in trent’anni ad approvare il piano dei servizi previsto dal Prg e che questa norma potrebbe indurre finalmente a effettuare una ricognizione, quartiere per quartiere, della dotazione di aree per servizi che residuano alla progressiva erosione dovuta a usi impropri, programmi in deroga e sentenze del TAR su aree con vincoli preordinati all’esproprio decaduti.

La Regione, inoltre, nel rispetto delle norme abrogate con lr n. 22/2006, ha eliminato ogni rimando ai crediti urbanistici per le aree ricadenti nei 300 m dalla costa e nei 150 m dalle lame. Quanto ai riferimenti alla perequazione urbanistica, è stato osservato che essi sono del tutto ininfluenti, mancando nella variante norme e strumenti per renderla operativa. La Regione ha peraltro ricordato che la tutela di tali aree è comunque affidata alle norme del piano paesaggistico regionale. Particolare attenzione è stata prestata alle modifiche delle norme sugli indici edilizi, che sono state approvate perché giudicate migliorative di quelle previgenti che consentivano la facoltà di deroga per le lottizzazioni estese a una intera maglia di Prg, mentre le modifiche escludono tale facoltà per tutti i piani esecutivi presentati dai privati. L’attenzione a queste norme deriva dalla consapevolezza degli effetti perversi prodotti nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica dalla facoltà derogatoria prevista da Quaroni: questa induce i privati, per sfruttare tutta la volumetria consentita dal Prg, a concentrare l’edificazione nelle aree non tutelate e a sviluppare i fabbricati in altezza, con intuibili impatti negativi su paesaggi e ambienti di particolare valore e fragilità.

Non ho dubbi che il confronto di idee su questi temi è sempre utile e quindi va sollecitato. Ma sono pure convinta che occorre allargare le sfere della partecipazione sociale al di là dei media. L’insegnamento che credo tutti possano trarre da questa vicenda, soprattutto in vista della redazione del Pug che mi auguro imminente, riguarda le possibili distorsioni di un dibattito sviluppatosi tutto nella sfera mediatica. Questo ha spostato il fuoco dell’attenzione su scelte già da tempo compiute (non approvare un nuovo Ppa), su norme prive di alcuna efficacia (la perequazione urbanistica) o sugli undici milioni di metri cubi della grande manovra urbanistica (che non mi pare possano essere motivo di vanto discendendo dalla semplice decisione di non dotarsi del Ppa e che successive stime hanno peraltro ridotto a tre). E ha occupato i vuoti degli esistenti istituti della partecipazione democratica e determinato la formazione dei giudizi ben più della conoscenza diretta dei fatti.

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