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Edmondo Berselli
La questione Unipol e i rapporti con i DS
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Il problema non è “quale morale”, ma “quale politica” praticano i DS, se li induce a divendere il “partito del mattone”. Da la Repubblica del 13 agosto 2005

IERI il segretario dei Ds, Piero Fassino, in un´ampia intervista a questo giornale, ha messo a fuoco con nitidezza il problema politico che il suo partito sta sperimentando: «Non passa giorno che non ci sia un Parisi, un Mastella, un Occhetto o un Bertinotti che ci attacca sperando di lucrare qualche voto». Iniziative irresponsabili, a suo giudizio, anzi autolesioniste, dal momento che colpiscono il maggiore partito dell´opposizione, «il ramo su cui sono seduti».

In quella sede, Fassino ha anche difeso con calore l´autonomia il ruolo sul mercato della Unipol, la compagnia assicurativa delle cooperative rosse. Si dà il caso però che nello stesso giorno il Corriere della Sera abbia pubblicato stralci delle intercettazioni effettuate nell´ambito dell´inchiesta Bpi-Antonveneta, che rivelano alcuni retroscena che fanno da sfondo alla scalata della Bnl e le intese tra finanzieri come Emilio Gnutti e banchieri come Gianpiero Fiorani con l´amministratore delegato della Unipol, Giovanni Consorte.

Va da sé che le intercettazioni sono un materiale grezzo, tutto da riscontrare con i fatti; ed è vero che per ora non emergono illeciti penali.

Nello stesso tempo non va dimenticato che le intercettazioni medesime vengono predisposte dai magistrati quando si sospetta la presenza di reati gravi. Ma ancor prima delle responsabilità legali dei protagonisti di questa vicenda economica e politica, non si può non rilevare che tutti costoro agiscono in un ambiente, in un sistema, in un contesto. Per tale motivo, alla luce delle intercettazioni, viene naturale porsi alcune domande, che in piena serenità vanno rivolte anche al segretario ds.

Fassino infatti ha tenuto a marcare la più netta distinzione fra la Quercia e l´Unipol: «i Ds sono un partito, l´Unipol un´azienda e ciascuno fa la sua strada». Eppure, a quanto si legge, le cose non stanno esattamente così.

Giovanni Consorte è infatti uno dei poli di una fitta diplomazia politica, che investe autorità istituzionali come la Banca d´Italia, alcuni importanti esponenti ds (compreso il segretario Fassino), nonché figure della Casa delle libertà e del governo come Giulio Tremonti.

Non è necessario essere inguaribilmente ingenui per trovare curioso che un uomo della sinistra come Consorte si rivolga al commercialista di Gnutti dicendo: «Tu sai che il governo ci ha dato una mano e sai come ragiono io, la riconoscenza va data al punto giusto». Certo, può darsi che Fassino ignorasse questi atteggiamenti tipici del realismo politico, chiamiamolo così, degli uomini di finanza, anche se il segretario ds ha specificato che la cooperazione non è «un residuo ottocentesco, alla Pelizza da Volpedo», e dunque qualche compromesso con la modernità l´avrà stipulato. Tuttavia riesce incongruo credere alla tesi che vedrebbe l´Unipol roccaforte solitaria dell´efficienza aziendale, esente da qualsiasi legame di tipo politico con i Ds, allorché Consorte raccoglie le preoccupazioni di Fassino sulle cene elettorali pro - berlusconiane di Gnutti, alleato segreto proprio dell´Unipol.

E logico che certe realtà economiche abbiano una simpatia naturale per certe realtà politiche, quando le radici sono comuni, e che questa simpatia possa dare luogo a rapporti speciali, improntati a un medesimo orientamento di fondo. Ma qui non si tratta del sostegno alle feste dell´Unità o di sconti ai soci e agli iscritti sul premio dell´assicurazione auto: qui siamo nel campo di un gioco di potere di portata ingente, in cui l´Unipol gioca a fianco di investitori spregiudicati (speculatori, li avrebbe definiti l´Unità di una volta), sapendo benissimo che il gioco è perlomeno grigiastro, disputato dentro regole stiracchiate, a fianco di homines novi come Stefano Ricucci, in un rapporto scarsamente decifrabile con l´arbitro-giocatore, ossia il governatore Antonio Fazio (una vocina proveniente dalla Unipol sussurra a un certo punto: «Se non ci fossimo stati noi, Fazio sarebbe stato perso»).

Allora, questa non sarà una questione morale. Fassino avrà buon gioco nel ricordare che al momento non sono state identificate fattispecie illegali.

Però non esistono soltanto le sentenze dei tribunali: ci sono giudizi che l´opinione pubblica formula in base a criteri diversi dalla legalità ma a essa complementari: accanto alla legalità c´è un principio morale; c´è una responsabilità politica; e infine c´è anche un criterio estetico. Ora, piacerebbe capire sotto quale categoria, di gusto o di responsabilità, dovrebbe essere compresa la rete di rapporti intessuti nel corso e nel contesto della scalata alla Bnl. Sotto questa luce, sarebbe anche interessante comprendere se le esitazioni prolungate della leadership diessina sugli immobiliaristi e sulla posizione del governatore Fazio fossero dettate da una preoccupazione di tenuta istituzionale, oppure dalla consapevolezza che le regole del gioco particolare in cui anche i Ds erano inseriti giustificavano un allentamento delle regole tout court.

Fassino è il ritratto di una dura moralità operaia, fordista, torinese, in cui il Pci sapeva stare all´interno delle leggi e in quella cornice praticare le lotte più dure. Ci si chiede: è ancora quello l´atteggiamento dei Ds? Oppure si è sviluppata qualche disponibilità in più, è proliferato qualche atteggiamento meno rigoroso? La spregiudicatezza in economia è stata pagata cara già una volta, allorché Palazzo Chigi, sotto Massimo D´Alema, si guadagnò la definizione di «unica merchant bank in cui non si parla inglese». Eppure allora, con la scalata della Telecom da parte di Colaninno e Gnutti, i "capitani coraggiosi", gli eversori di quelli che volevano «comandare con l´uno e mezzo per cento», poteva profilarsi un cambio di establishment, un rovesciamento delle posizioni dominanti favorito dal governo di centrosinistra in vista della creazione di una "nuova classe" di imprenditori più dinamici e legati alla generazione dei D´Alema e dei Bersani.

Ma oggi? Di quale disegno strutturale o modernizzatore sono portatori i Fiorani e i Ricucci, e dunque anche i Consorte, di quale idea di capitalismo sono gli interpreti? Non c´è un´idea di innovazione economica, non un disegno di ammodernamento dell´apparato industriale, non un´ipotesi sulla trasformazione che il paese dovrà affrontare nella specializzazione produttiva. Ma se c´è soltanto la prospettiva di lottizzare posizioni nel circuito della rendita, attraverso una pratica di accordi e alleanze trasversali, è questo che conviene a Fassino, al centrosinistra, a tutti coloro che hanno cara un´idea razionale del mercato? Nel momento in cui, come auspichiamo, il partito di Fassino si troverà ad avere ruoli di responsabilità in un futuro governo, è auspicabile che prevalga la concezione, sempre manifestata, di un capitalismo decente, in cui non abbiano spazio i rapporti preferenziali e in cui l´affinità politica non sia un patrimonio da giocare nelle relazioni economiche. Finora molte voci nel centrosinistra, quella di Fassino compresa, hanno sostenuto questi argomenti. Possiamo sperare che ai principi seguano i comportamenti, sempre?

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