«Da 12 giorni sta facendo lo sciopero della fame e della sete per protestare contro la costruzione del maxi gasdotto Tap in Salento. Altri nove militanti hanno iniziato a imitare il suo esempio». la Repubblica, 8 maggio 2017 (c.m.c)
Dodici giorni senza mangiare né bere per protestare contro la realizzazione del gasdotto Tap a Melendugno: l’oncologo di Casarano Giuseppe Serravezza diventa l’uomo simbolo della resistenza del Salento.
Sessantasei anni, 12 chili in meno da quando ha iniziato lo sciopero della fame e della sete, la sua funzionalità renale è alterata, i medici temono che il cuore ceda ma lui non vuole sentire ragioni. «Dopo cinque anni non c’è altra strada: il governo deve ascoltare la voce del territorio — ripete a coloro che lo pregano di smettere — Il Salento non può permettersi di pagare altro in termini ambientali».
La richiesta è chiara, veicolata nella lettera che il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, il 5 maggio ha indirizzato al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni: «Il governo riapra un confronto sulla possibilità di spostare l’approdo dell’opera da Melendugno ». Ancora più accorato l’appello alla politica nazionale della famiglia di Serravezza, i figli Flavia e Antonio e la moglie Enza: «Mettete da parte i veleni, le beghe politiche, i risentimenti personali. C’è un uomo che rischia la vita per dare voce a una terra che vuole decidere il proprio futuro».
Proprio per aiutare la sua gente, Giuseppe Serravezza molti anni fa scelse di mettersi al servizio dei malati di cancro del Basso Salento, fino a diventare primario del Polo oncologico Casarano-Gallipoli, e lì cominciò a rendersi conto che in quei luoghi da cartolina alcune patologie tumorali erano più frequenti che in altre zone della Puglia. Neoplasie al polmone e alla vescica, in particolare, apparivano presenti in maniera preoccupante e per cercare di capirne il motivo, il professore portò avanti una serie di studi insieme alla Lilt (di cui è stato presidente e oggi è responsabile scientifico).
Nel 2014 il medico si diceva convinto che «le emergenze ambientali di alcune zone del Sud, Puglia, Campania e Basilicata, sono la causa del preoccupante incremento della mortalità per cancro ». Il riferimento era alle industrie che da Taranto e Brindisi mandano le emissioni nocive verso Lecce, grazie ai venti che spirano quasi sempre da nord, alle mille discariche abusive, ai rifiuti interrati. Proprio la richiesta di verità sui veleni sepolti nelle campagne del Capo di Leuca è stata una delle battaglie di Serravezza degli ultimi anni, insieme a quella per evitare la realizzazione della centrale a Biomasse a Casarano. «Anche in quella circostanza dicevano che era già tutto deciso — ha ricordato — ma l’opposizione popolare è riuscita a bloccare i progetti».
Poi arrivò la Tap. In Salento e nella vita di tante persone, tra cui l’oncologo, che nel 2012 aiutò il Comune di Melendugno a scrivere le osservazioni per bloccare la Valutazione di impatto ambientale poi concessa dal ministero dell’Ambiente. I suoi dubbi riguardavano le emissioni prodotte dal terminale di ricezione, che sorgerà vicino all’abitato di Melendugno, ovvero la possibilità che vengano introdotti in atmosfera Pm10, monossido di carbonio, ossido e biossido di azoto. Eventualità che Trans Adriatic Pipeline ha smentito carte alla mano e che la viceministra allo Sviluppo Teresa Bellanova ha chiesto all’Istituto superiore di sanità di verificare.
Il problema che Serravezza evidenzia, però, non riguarda le emissioni in sé ma il cumulo di inquinanti in una realtà che già nel 2014 Arpa Puglia definì tale «da non potersi permettere ulteriori pressioni». Per questo ha trasformato il suo corpo nel mezzo della protesta estrema e indotto altri nove attivisti No Tap a seguire il suo esempio, iniziando lo sciopero della fame, mentre i sindaci salentini organizzano una manifestazione sotto Palazzo Chigi per i prossimi giorni.