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Comitato nazionale per il paesaggio
La produzione di energia elettrica sfruttando la forza del vento.
3 Dicembre 2007
La questione energetica
Ripropongo questo documento, a proposito del dibattito aperto dalla lettera a Nichi Vendola di Agostinelli e Serafini. Qualche numero per chi li vuole, qualche ragione per chi la comprende. E qualche immagine

L’energia eolica fa bene all’ambiente? Secondo questo studio(concluso nel novembre 2004 dal Comitato nazionale per il paesaggio) il contributo al risparmio energetico, in Italia, è del tutto marginale, mentre enormi sono i danni al paesaggio e notevoli quelli all’avifauna. Quello che succede quando si affidano messaggi poco precisi a poteri pubblici incapaci di adoperare la programmazione e di condizionare la produzione (dicembre 2004)

Una galleria d'immagini sulle fattorie del vento

L’energia eolica è energia rinnovabile intermittente, come anche l’energia solare fotovoltaica e l’energia solare termodinamica.

Poiché l’accumulazione di grandi quantità di energia elettrica è oggi impraticabile, ne consegue che l’energia elettrica prodotta dal vento e dal sole deve essere distribuita e consumata nel momento in cui viene prodotta. Ciò significa che gli impianti di energia rinnovabile intermittente devono essere connessi direttamente alla rete elettrica di distribuzione, al cui interno in qualsiasi momento si può trovare un consumatore disposto all’acquisto. Esiste però un limite tecnico alla quantità totale di potenza elettrica intermittente (qual’è quella solare ed eolica) che è possibile collegare alla rete elettrica nazionale senza rischiare di provocare il collasso di parte o dell’intero sistema elettrico nazionale. Cosa che potrebbe avvenire nel momento in cui si verificassero, a causa dell’intermittenza, brusche ed impreviste variazioni del livello della potenza immessa nella rete. In altre parole, senza rischiare un “black-out” elettrico locale o nazionale. Per ragioni cautelative di sicurezza (anche tenendo conto, nel caso dell’energia eolica, del carattere assai irregolare dei venti italiani) questo limite è collocabile tra il 10 e il 15% della potenza alla punta, cioè del picco di domanda. Poiché in Italia la potenza alla punta ha raggiunto nel 2003 il valore di circa 53.000 MW (un megawatt corrisponde a 1.000 chilowatt) ne deriva che la potenza massima eolica e/o solare fotovoltaica o termodinamica collegabile alla rete elettrica nazionale italiana è pari a 8.000 MW circa.

Prendendo in considerazione la dimensione media dei nuovi aerogeneratori che si intendono installare attualmente in Italia (potenza tra 1 e 2 MW, altezza totale dell’aerogeneratore elica compresa 100 - 130 metri circa) si può ipotizzare l’installazione complessiva di circa 5.000-6.000 nuove torri eoliche, che si aggiungerebbero alle 1.500 già installate, per una potenza complessiva tra 5.000 e 8.000 MW. Per calcolare il contributo energetico che queste torri potrebbero assicurare si deve ricordareche l’Italia è un paese poco ventoso. Su 8.760 ore annue, la media nazionale del vento di velocità compresa tra 4 e 20-22 metri al secondo (l’unica adatta alla produzione elettrica) sta tra le 1.800 e le 1.900 ore annue. Ne deriva che in Italia, anche nell’ipotesi di massima, quanto mai improbabile, di 8.000 MW eolici totali, questi potrebbero produrre al massimo 15,2 miliardi di kWh (kilowattora), cioè circa il 4.8% del fabbisogno annuale italiano di energia elettrica. Ma poiché l’energia elettrica rappresenta poco più del 35% circa del consumo energetico totale italiano, gli ipotetici 15 miliardi di kWh eolici corrisponderebbero solo all’1,8% del consumo totale di energia in Italia. Contributo del tutto irrilevante ai fini energetici, poiché nettamente inferiore, all’aumento dei consumi energetici di un solo anno! Alle stesse conclusioni si giunge calcolando il risparmio di emissioni inquinanti, cioè gas serra, che gli ipotetici 8.000 MW eolici potrebbero assicurare. Su un totale di quasi 500 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente, il risparmio non sarebbe superiore al 2% del totale!

In conclusione, da un lato della bilancia sta l’occupazione e la trasformazione in ambiti industriali di vaste zone di territorio prezioso dal punto di vista paesaggistico ed ambientale (5.000 aerogeneratori da 1 MW, con diametro del rotore di circa 60 m, se collocati sull’Appennino in linee a schiera continua, occuperebbero con 4 o 5 linee parallele, dispiegate sui crinali senza interruzione, un arco di 500 km, cioè l’intera dorsale appenninica centromeridionale, dai Monti Sibillini al massiccio del Pollino). Dall’altro lato della bilancia sta l’esiguità del risultato energetico conseguito: tra l’1 e il 2% del fabbisogno totale italiano.

Ci si chiede:”Il gioco vale la candela?” E’ evidente che non può essere questa la strategia d’impiego delle fonti rinnovabili su larga scala ed è altrettanto evidente che la corsa all’eolico appare improvvisata e violenta, sia a fronte della complessità e della vastità della crisi climatica, sia in relazione ai danni ambientali e paesaggistici prodotti. Stiamo assistendo, ancora una volta, ad una drammatica aggressione al territorio italiano al di fuori di qualunque minima pianificazione territoriale e principio di tutela sia degli ambienti naturali, sia del patrimonio storico paesaggistico e culturale. Una strategia adeguata alle problematiche presenti dovrebbe comprendere, invece, una maggiore attenzione alle altre tecnologie delle fonti rinnovabili (solare termico per il riscaldamento – pannelli solari e fotovoltaico in primo luogo), i cui potenziali energetici sono molto più consistenti di quello eolico e il cui collocamento nel territorio è di gran lunga più compatibile dal punto di vista della conservazione dei beni ambientali e paesaggistici.

Il produttore di energia elettrica, o l'importatore che chiede di connettersi alla rete nazionale, deve detenere (perché produce in proprio o perché acquista da chi la produce) la quota, corrispondente al 2,35%, di "Certificati Verdi"(decreto del Ministro dell’Industria dell’11 novembre 1999), il cui prezzo oscilla intorno alle 130 lire a kWh.

Poiché il valore dei "Certificati Verdi" prescinde dalla fonte di energia rinnovabile utilizzata, la scelta degli operatori non può cadere altro che sulla produzione eolica, che al momento risulta la più economica, grazie anche alle incentivazioni di cui gode.

Si è dunque determinata una situazione distorta che condanna il paese a non avere una distribuzione equilibrata di produzione da fonte rinnovabile. Avviene dunque che il nostro Paese decida di attivare una quota di energia rinnovabile, per contribuire alla riduzione dell'inquinamento planetario, ma sceglie alcune modalità di incentivazione che di fatto privilegiano quel tipo di energia che mette in crisi altri, almeno altrettanto significativi, valori collettivi propri del nostro territorio. In ciò si evidenzia la mancanza di una strategia di lungo periodo, attenta a calcolare nel conto economico le esternalità connesse all'utilizzazione di una fonte piuttosto che di un’altra. Infatti, non considerando le produzioni sotto il profilo dei costi esterni, che devono comprendere le stime anche economiche dei danni paesistici ed ecologici, si mettono in difficoltà quelle produzioni rinnovabili che più si adatterebbero ad essere inserite nel delicato territorio italiano.

In conclusione, mancando ogni pianificazione strategica nazionale nel campo energetico, l'unico criterio di azione è divenuto il mero costo di produzione e, grazie alle incentivazioni, gli operatori sono stati indotti ad investire tutto nell'eolico, lasciando al palo lo sviluppo delle altre fonti rinnovabili, come il solare, che hanno molto minor impatto sull'ambiente e sul paesaggio.

Nessun altro impianto tecnologico, tra quelli tradizionalmente già inseriti nelle aree montane (tralicci di elettrodotti, ripetitori televisivi, antenne per telefonia mobile, ecc.) ha un impatto paesaggistico ed ambientale paragonabile per pesantezza a quello dei parchi eolici.

Le grandi torri eoliche, per la collocazione sui crinali, per l'altezza, per la composizione in serie, introducono nel territorio scenari assolutamente inusuali che irrompono - con la forza delle loro gigantesche dimensioni fuori scala - nella visione paesaggistica. Grandi macchine, potenti, dominanti, rumorose! Chi le conosce o le vive quotidianamente da vicino dichiara inquietudine e turbamento nel vedere i luoghi familiari della propria vita radicalmente mutati e sconvolti in tempi brevissimi. Non a caso ci sono Comuni come S. Bartolomeo in Galdo (il più popoloso della Val Fortore) che si dichiarano con delibera ufficiale "deolizzati" ed altri, come Agnone (Isernia) che chiedono alla Regione Molise di fermare le pale eoliche, prima che distruggano il loro patrimonio storico e paesaggistico.Ed ora il preventivo rifiuto si estende anche in altre regioni come la Sardegna.

Grave è poi la ricaduta connessa alle infrastrutture che accompagnano l'installazione delle pale eoliche. Scavi, manufatti, scassi, nuovi elettrodotti, chilometri e chilometri di nuova rete stradale di servizio (devastante in zone montane) tra l'altro proporzionata all'accesso di mezzi di eccezionali dimensioni.

Si rompe inoltre la continuità degli ambienti naturali, aprendo i territori più incontaminati al bracconaggio, alle discariche, ai rally di mezzi motorizzati, ad ulteriori cementificazioni del territorio.

Le prospettive che si profilano comportano un'insanabile contraddizione con i programmi, le vocazioni e le aspettative sulle quali da tempo lavorano le comunità di zone collinari e montane ancora integre. Un territorio che costituisce l'ultima grande riserva del paesaggio storico e naturale, che ospita centinaia e centinaia di Comuni i cui abitanti presidiano e difendono il polmone verde d'Italia.

Parchi nazionali e regionali, piccole città d'arte, iniziative generali e particolari come l'APE (Appennino Parco d'Europa), attività turistiche e agrituristiche, produzioni agroalimentari di qualità sono gli elementi di un grande progetto per un nuovo e duraturo rilancio economico, la cui base consiste nella conservazione e nella valorizzazione dei beni ambientali, paesaggistici e storico-culturali.

L'irrompere dei parchi eolici, con decine e spesso centinaia di torri d'acciaio alte non di rado più di 100 metri, con le strade connesse e con i relativi pesanti basamenti interrati di cemento, va invece in tutt'altra direzione, quella di un processo di rapina del territorio che oscurerà il patrimonio di bellezza e di autenticità su cui si basano quei progetti e quelle aspirazioni. Un discorso valido non solo per l’Appennino, ma anche per le Alpi, per le Prealpi, per la Sicilia, per la Sardegna, per la penisola Salentina e per tante zone collinari di pregio come i Monti della Tolfa a nord di Roma.

Si preannuncia una dequalificazione generale nel paesaggio italiano. Una vera e propria svolta epocale verso il peggio.

L’impatto viene notevolmente amplificato dal fatto che gli impianti, progettati separatamente, vengono poi spesso aggregati in aree di confine tra più comuni. Un esempio drammatico in tal senso è rappresentato dalla Valle del Fortore nel Sannio, al confine tra le regioni Campania, Puglia e Molise, dove diverse amministrazioni pubbliche hanno imprudentemente consentito l’installazione ognuna di una certo numero di pale eoliche cosicché oggi i crinali di tutto il comprensorio ospitano quasi 600 torri. L’effetto visivo e prospettico da qualsiasi punto si osservi la vallata è tale che l’intero aspetto dei luoghi risulta pesantemente trasformato e sconvolto e ciò, unitamente alla rumorosità delle pale, fa decadere in modo definitivo qualsiasi valenza turistica del territorio. Una situazione analoga a quella della Valle del Fortore si è recentemente creata con la messa in opera, di centinaia di torri eoliche in provincia di Chieti, nei comuni di Castiglione Messer Marino, Schiavi d’Abruzzo e altri vicini.

Uno degli effetti negativi delle centrali eoliche, di cui tuttavia si parla pochissimo, è il forte deprezzamento che i terreni e le proprietà immobiliari, presenti fino a qualche chilometro di distanza, subiscono sia a causa del rumore prodotto dal movimento delle pale che a causa del degrado del paesaggio dovuto alle torri eoliche ed alle opere infrastutturali. Di questo deprezzamento si è già avuta ampia conferma in diversi paesi tra cui Stati Uniti e Germania.

Alla devastazione del paesaggio si accompagna il grave danno arrecato all’ambiente naturale, nelle sue varie componenti. Spesso le aree scelte per la realizzazione degli impianti costituiscono habitat di elevato pregio naturalistico, che, in molti casi, proprio per il loro valore ambientale di importanza spesso non solo regionale ma nazionale ed internazionale, ricadono in aree protette dalla legislazione interna (parchi nazionali e regionali, riserve naturali) o in siti d’importanza comunitaria, o in entrambe le situazioni, o a ridosso dei loro confini con effetti ugualmente devastanti. I progetti che si stanno proponendo non tengono in nessun conto i principi di conservazione acquisiti in questi ultimi decenni nel nostro Paese e in Europa e che hanno trovato espressione giuridica in fondamentali norme nazionali come la legge quadro sulle aree protette n.394 del 1991, nella cosiddetta legge Galasso su vincoli e piani paesistici, oggi convertita nel D.L. 490 del 1999, nonché nelle relative leggi regionali in materia.

I siti di importanza comunitaria (SIC e ZPS) ospitano specie animali e habitat minacciati e meritevoli di misure speciali di tutela e, per tale motivo, sono riconosciuti di rilevanza europea sulla base di convenzioni internazionali e di norme comunitarie come la Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, recepita in Italia con il D.P.R. 8 settembre 1997 n.357 e la Direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, recepita in Italia con la legge n.157 del 1992.

Le suddette Direttive prevedono l’istituzione di una rete europea di aree protette denominata NATURA 2000 e i siti individuati ai fini della loro inclusione, elencati nel Decreto del Ministro dell’Ambiente del 3 aprile 2000, furono a suo tempo indicati dalle Regioni sulla base di studi naturalistici appositamente condotti. Oggi, paradossalmente, molte amministrazioni regionali avvallano ed autorizzano la distruzione dei beni naturalistici da loro stesse inventariati.

Nel quadro della tutela delle aree protette è fonte di notevole preoccupazione il Protocollo d’intesa "L’energia dei Parchi" firmato il 27 febbraio 2001 da Enel, Ministero dell’Ambiente – Servizio Conservazione della Natura, Legambiente e Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, che favorisce ed incentiva lo sfruttamento, nelle aree protette, delle fonti di energia rinnovabile ovverosia il vento e quindi le centrali eoliche, vista anche la situazione italiana di quasi monopolio dell’eolico rispetto alle altre forme di energia rinnovabile. Il Protocollo costituisce inoltre un pericoloso precedente, un alibi, per quanti al di fuori delle aree protette vogliono realizzare centrali eoliche in aree naturalisticamente di pregio.

L’insieme delle torri e delle infrastrutture che accompagnano necessariamente le centrali eoliche realizzate in aree naturalisticamente significative, esercita un impatto pesantemente negativo su flora e fauna. Sono opere che vanno a perturbare gravemente gli equilibri degli ecosistemi e che comportano la distruzione di intere comunità animali e vegetali. Vista la localizzazione degli impianti progettati risultano particolarmente a rischio associazioni vegetali considerate, ai sensi della succitata Direttiva 92/43/CEE, prioritariamente meritevoli di tutela a livello europeo. Pur essendo le centrali eoliche collocate per lo più in aree aperte la costruzione delle strade di accesso e delle linee per il collegamento alla rete di trasmissione nazionale non può non interessare anche gli ambienti boschivi limitrofi.

La presenza di molte e a volte centinaia di decine di queste strutture, con eliche in movimento di giorno e di notte, esercita un pesante impatto sulla fauna. Le zone individuate per costruire le centrali sono spesso molto importanti per numerose specie di uccelli rapaci sia come zone di caccia sia come punti di concentrazione durante le migrazioni. E’ noto e documentato il rischio diretto per gli uccelli rapaci costituito dalle eliche dei generatori. Quasi tutte le specie di rapaci italiani sono incluse nell’allegato I della Direttiva 79/409/CEE, che comprende le specie particolarmente meritevoli di tutela per le quali gli Stati membri (art.4) sono tenuti all’adozione di misure speciali di conservazione dei loro habitat di vita per " … garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nelle loro aree di distribuzione". La realizzazione delle centrali eoliche in tali ambienti o nelle loro vicinanze costituirebbe quindi un’evidente infrazione a precisi obblighi comunitari.

Non solo i rapaci diurni e notturni ma anche altre specie come il corvo imperiale (quasi estinto nell’Appennino centro-settentrionale ed in via di reintroduzione), il gracchio alpino (il passeriforme a maggior rischio di estinzione nell’Appennino Centrale), il gracchio corallino (incluso nell’allegato I della sopraricordata Direttiva 79/409/CEE), ed altre specie ancora, subirebbero danni assai gravi dalla realizzazione delle centrali eoliche nei loro ambienti di vita. Il rischio di collisione con le pale sarebbe inoltre elevato per tutti gli uccelli veleggiatori come le cicogne, e per gli uccelli migratori in genere, soprattutto durante le migrazioni notturne ed in condizioni di nebbia. Va ricordato che molte specie di uccelli migrano prevalentemente od esclusivamente nelle ore notturne.

Anche i pipistrelli, particolarmente utili per la loro dieta insettivora, verrebbero falcidiati dal movimento delle pale, come dimostrato da studi soprattutto americani..

Altro fattore d’impatto è la perdita di habitat. Succede che nelle aree dove sono presenti impianti eolici, per un’ampiezza fino a circa 500 m dalle torri, sono state osservate diminuzioni di uccelli nidificanti e non fino al 95%. Per fare un esempio di habitat a rischio a noi vicino, pensiamo ai crinali appenninici a prateria: essi rappresentano l’ambiente elettivo sia per la nidificazione e sia per l’alimentazione di un gran numero di uccelli. A riguardo molti sono i progetti conosciuti per impianti eolici previsti proprio sui crinali: la presenza di torri eoliche in questi luoghi determinerebbe la scomparsa su aree vaste di quasi tutta l’avifauna attualmente presente.

Questi effetti vanno poi a sommarsi a quelli già esistenti da diversi anni, prodotti dal fenomeno dell’elettrocuzione e della collisione con le linee aeree di trasporto dell’energia elettrica (si stima che circa 5 milioni di uccelli l’anno siano vittime in tutto il mondo di questi due fattori).

Il disturbo e la perdita di habitat arrecati dalla presenza degli impianti eserciterebbe un impatto pesantemente negativo su molte specie di mammiferi, tra cui diverse di particolare significato ed importanza, come l’orso bruno, il lupo, alcune specie di ungulati. Tra l’altro l’apertura delle strade di accesso e di servizio incentiverebbe il bracconaggio ed altre attività ad impatto negativo sulla fauna.

Negli Stati Uniti varie ricerche scientifiche testimoniano come la presenza dei generatori in aree critiche costituisca un forte fattore di minaccia per la conservazione di molte specie di rapaci. In particolare uno studio condotto in un’area della California ha verificato che il 38% della mortalità dell’aquila reale era dovuto all’impatto con gli aerogeneratori. Considerando l’impatto con gli elettrodotti, il cui sviluppo si presuppone sia proporzionato alla produzione dell’energia eolica, tale percentuale di mortalità sale al 54%.

Questo stato di cose ha avuto negli USA grandi ripercussioni negative presso l’opinione pubblica, al punto che in diversi stati, compresa la California, si è avuto, di recente, un forte rallentamento o addirittura uno stop ai progetti di centrali eoliche, come per esempio nella Contea di Alameda.

Altri dati significativi, riguardanti l’impatto sull’avifauna delle centrali eoliche, provengono dalla Spagna.

Un rapporto del 2001, commissionato dalle autorità spagnole, evidenzia i seguenti valori di mortalità (collisione/torre/anno) riscontrati in 5 diversi impianti eolici:

- Salajones (33 torri) : 35,05 collisioni/torre/anno

- Izco (75 torri) : 25,72 collisioni/torre/anno

- Alaiz (75 torri) : 3,56 collisioni/torre/anno

- Guerinda (145 torri ) : 8,47 collisioni/torre/anno

- El Perdòn (40 torri) :64,26 collisioni/torre/anno

Da questi dati si deduce che in un anno nei 5 impianti eolici in esame perdono la vita almeno 7.250 uccelli!

L’impatto risulta inoltre sempre sottostimato in quanto molti uccelli morti vengono rapidamente fatti sparire da carnivori terrestri, come cani randagi, volpi, lupi, mustelidi.

Rimanendo in Spagna, in Navarra ogni anno muoiono almeno 400 avvoltoi grifoni, oltre ad aquile reali, gufi reali e tanti altri esemplari di specie protette di rapaci.

In Italia non si hanno ancora studi sulla valutazione dell’impatto sull’avifauna presso gli impianti eolici esistenti, tuttavia dalle prime indagini e osservazioni di campo si rileva che le circa 1.500 torri installate soprattutto nel Meridione (Abruzzo meridionale, Campania, Puglia e Basilicata) hanno portato, nelle zone con impianti eolici, ad una forte diminuzione della presenza di rapaci quali il nibbio reale, specie rara nel nostro paese e già minacciata da diversi fattori di natura antropica.

Il futuro di specie come l’aquila reale, per non parlare di altre assai più rare, come l’aquila del Bonelli, il capovaccaio, il grifone, il gufo reale e altri rapaci, si presenta, a causa dell’eolico, quanto mai a rischio.

Le centrali eoliche, realizzate in zone importanti per la fauna, esercitano un impatto negativo molto rilevante, diretto ed indiretto, anche sulle specie di interesse venatorio, sia stanziali, che di passo, che svernanti. Uccelli come i colombacci, i tordi, diversi piccoli passeriformi, i trampolieri possono facilmente subire gravi falcidie dalla collisione con le eliche rotanti. Altre specie come la lepre, la starna, la coturnice, la quaglia, vengono allontanate dalle aree interessate dalle centrali eoliche, a causa del disturbo e del degrado del loro ambiente di vita.

Da tutti i fattori fin qui evidenziati ne consegue che la realizzazione in Italia di impianti eolici su crinali montani e in generale in aree che conservano ancora buone valenze naturalistiche, costituisce una grave minaccia per gli uccelli rapaci, per quasi tutta l’avifauna presente nelle zone, sia stanziale, che migratoria, per i pipistrelli, per molte altre specie di mammiferi, per la vegetazione e per la biodiversità in genere. Questa minaccia può arrivare a produrre estinzioni su vaste aree o forte declino di diverse specie.

Lo sviluppo di una capillare rete stradale di servizio, proporzionata per giunta all’accesso di mezzi pesanti di eccezionali dimensioni, non solo rompe la continuità dei delicati ambienti prativi di alta quota ma altera fortemente il drenaggio dei terreni provocando mutamenti nella composizione vegetale e conseguentemente nelle comunità animali che ne dipendono. Può inoltre arrecare seri danni alla stabilità dei suoli, favorendo l’erosione ed modificando la circolazione superficiale delle acque. I plinti di ancoraggio degli aero generatori raggiungono notevoli profondità e quindi possono alterare le falde acquifere con tutte le conseguenze negative facilmente immaginabili.

Le dimensioni degli aereogeneratori (molti modelli dell’ultima generazione arrivano a superare le 200 tonnellate l’uno) e delle relative fondamenta in cemento, rendono proibitivi i costi di rimozione di queste strutture, una volta che queste non venissero più utilizzate a causa degli eccessivi costi di manutenzione o dell’obsolescenza dovuta al progresso tecnologico. Come già avvenuto altrove, ad esempio in California, si avrebbero cimiteri di centrali eoliche abbandonate al degrado ed al disfacimento, monumenti più che eloquenti all’insipienza, per non dire altro, dei responsabili della gestione del territorio.

Per quanto riguarda le installazioni eoliche in mare (off-shore) c’è da dire che pochi sono gli studi finora effettuati, riguardanti comunque solo le popolazioni locali di uccelli. Difficile, se non impossibile, operare un censimento delle carcasse dei volatili. Tuttavia molti esperti concordano nel dire che possono essere causa di morte per collisione per molti uccelli, compreso i migratori e in particolare quelli notturni.

In conclusione, la nostra opposizione non è nei confronti dell’eolico in quanto tale ma è nei confronti del cosiddetto “eolico selvaggio”, che è quello che si sta concretizzando di fatto nel nostro paese. Questa nostra posizione non significa affatto indifferenza nei confronti delle energie rinnovabili e del complesso problema dello sviluppo sostenibile a fronte dell'inquinamento globale. Al contrario il nostro impegno è quello di promuovere una diffusione equilibrata delle varie tecnologie, tra cui in primo piano l’energia solare.

La battaglia è molto difficile ed impegnativa: è in gioco il futuro delle zone paesisticamente ed ambietalmente più pregevoli del nostro Paese. Ci conforta tuttavia sapere che la protesta contro “l’eolico selvaggio” si va diffondendo ed estendendo. Nella sola Europa occidentale abbiamo notizia dell’esistenza di almeno un’ottantina di comitati sorti negli ultimi tempi per contrastare l’eolico in territori di pregio. Ma altri comitati continuano a nascere e non solo in Europa ma anche nel Nordamerica, in Australia ed altrove.

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