Non sarà carismatico come i grandi padri del partito e neppure brillante e sarcastico come D´Alema o nazional kennedyano come Veltroni, non scatena passioni e rancori. Ma Piero Fassino ha una qualità rara nel serraglio della politica italiana, popolato di narcisi e megalomani. E´ uno che vuol essere giudicato per i fatti e non sulla base delle intenzioni. I fatti sono che ha ereditato un partito allo sbando, diviso, a rischio d´estinzione, sconfitto dalla destra e pure sbeffeggiato in piazza dalla sinistra, e in tre anni l´ha condotto all´unità e al massimo dei consensi. Era giusto che si godesse ieri il plebiscito e la sua festa, che poi è stata una festa alla Fassino, molto sobria, stile pausa aziendale con brindisi nei bicchieri di carta. Da oggi ricomincia la sfida, con la consapevolezza che se fallisce la seconda metà del progetto, l´approdo al grande partito riformista, tutto sarà stato inutile.
La sfida di Fassino è creare dai resti dell´Ulivo una grande forza riformista del 35-40 per cento, sul genere delle social democrazie europee, se la parola non offende Rutelli. Come si vede, non è un´idea nuovissima, anzi.
Ci hanno provato in molti e hanno tutti clamorosamente fallito, dai tempi di Amendola fino alla Cosa 2 di D´Alema. Non è detto che vi riesca proprio Fassino, mettendo insieme Rutelli e Boselli e le mille anime del centrosinistra. Nessuno però è arrivato così vicino al successo.
Se n´è accorto perfino Berlusconi che non a caso rispolvera i vecchi arnesi della propaganda anti comunista qui e ora, con toni da ´48 ancora più fanatici di quelli usati nella discesa in campo. Nel timore che nell´opinione pubblica italiana finisca per consolidarsi un´immagine davvero nuova del centrosinistra che farebbe di colpo invecchiare la retorica del berlusconismo. Già le immagini a confronto delle due assemblee, quella dei Ds e l´altra di Forza Italia, parlavano da sole. Da una parte, un congresso bene o male vitale, con un platea di delegati che rispecchiano il paese reale, discorsi calati nella realtà e proiettati al futuro. Dall´altra una nomenclatura di potere raccolta ad applaudire a comando il solito discorso decennale di Berlusconi, con tanto di barzellette da capoufficio e continui richiami all´attualissima minaccia di Stalin.
Ora se Fassino riesce a portare a termine il suo progetto, se arriva a consegnare per il 2006 alla guida di Prodi una forza unitaria e solidamente ancorata al riformismo europeo, il ritratto di Dorian Gray del premier è destinato a rivelarsi in tutta la sua decrepitezza, con tutti i lifting e i trapianti di questo mondo.
La domanda è: perché Fassino dovrebbe avere successo dove hanno fallito gli altri? Forse perché gli altri, quelli più brillanti e carismatici, partivano dalle idee, dalle formule, e l´ostinato funzionario Fassino ricomincia ogni volta dai fatti. Nella fluviale relazione di ieri non ha perso troppo tempo sulla Fed, la Gad eccetera. Per qualche politologo sarà magari un segno di prudenza. L´impressione è invece che Fassino lasci volentieri il formulario agli alleati e punti sul concreto. Piuttosto che una definizione teorica del riformismo, il segretario diessino ha cercato di declinare la sua idea di riformismo con una sterminata serie di esempi d´attualità, dalle elezioni in Iraq alla riforma del welfare, dal fisco alla scuola. Una specie di manuale pratico del riformismo al posto di un saggio teorico. E´ un metodo un po´ noioso, da piemontese pignolo.
Di certo un Giuliano Amato, un D´Alema e Romano Prodi oggi saranno capaci di altri voli. Ma è il metodo Fassino, logico, lineare, efficace. Soprattutto, è quello di cui oggi si sente bisogno. Per troppi anni la politica italiana ha vissuto di leader carismatici e visionari, fabbricanti di sogni, magari folli come la Padania o puerili come il nuovo boom economico di Berlusconi. Di questo gli italiani avevano voglia, per non vedere l´incombente declino, i troppi treni già passati e persi. Il risultato concreto è che il declino è arrivato davvero e alla luce del presente i sogni di un decennio somigliano sempre di più al delirio di un paese malato. Dopo anni di chiacchiere sulla rinascita della Padania, ponti sullo Stretto, riprese folgoranti, si è miseramente riscoperto che è un´avventura prendere il treno da Milano a Mestre, un´impresa mettersi in macchina sulla Salerno-Reggio Calabria, un azzardo comprare azioni in borsa e un miracolo salvare il posto di lavoro. Il congresso Ds proclama che il tempo delle illusioni è finito. Se fosse vero per la maggioranza degli italiani, questa sarebbe più di una riforma, sarebbe una vera rivoluzione.