«Il Sud non si salverà solo con un localismo virtuoso», dice Franco Cassano gustando una granita nel sole barese. Sociologo e anima storica della «primavera pugliese», Cassano osserva un Mezzogiorno privo di futuro, incurante del passato, a rischio di passare dalla «periferia» all'isolamento totale. «Non solo Bassolino ma in tanti negli anni passati hanno pensato che il Sud ce la dovesse fare da solo, magari con una Repubblica dei sindaci. Viesti scrisse addirittura Abolire il Mezzogiorno. L'idea era sfidare l'Europa e liberare il capitalismo meridionale».
Perché quell'idea non ha funzionato?
«Napoli è un caso a parte soprattutto per le sue dimensioni. Non c'è alcuna proporzione tra l'entità dei problemi e gli strumenti che ha. I suoi problemi non possono essere risolti a livello municipale. Bisogna prendere atto che il Sud è molteplice, che non esiste nessun punto di osservazione privilegiato. Se sei in una situazione periferica non ne puoi uscire solo con il localismo virtuoso, la puoi battere solo con la grande politica. Vivere in periferia vuol dire che tu sei lontano anche da chi ti è vicino, come Roma. Vuol dire che devi passare prima dal centro per muoverti e non hai un accesso diretto al mondo».
E quindi chi è l'attore della trasformazione?
«Il Mezzogiorno ha bisogno di grande politica, e non ce n'è. Dovrebbe riconnettere le sue differenze interne. Nel dopoguerra il Mezzogiorno ha avuto un ruolo nazionale, subalterno, ma ce l'aveva. Con la globalizzazione invece il Nord non ha più bisogno del Sud: gli bastano la Romania, la Bulgaria. Per questo nel Nord si fa strada alla fine degli anni '80 l'idea del Sud come peso e spreco di risorse, e si pensa che è meglio che vada a fondo».
L'Italia come un arcipelago di regioni che non comunicano più tra loro. Però mi pare che si assomiglino più di quanto appaia: la 'ndrangheta a Milano, il consumo del territorio ovunque, le piccole imprese nel Veneto o in Sicilia.
«Certo, le mafie hanno radici territoriali ma sono ormai pienamente globalizzate. Ma la differenza per me è tra centro e periferia. Il Nord non è il centro di un sistema europeo ma comunque è integrato. Il Sud no, e questo è considerato ormai un dato antropologicamente incorreggibile. Sono analisi molto semplicistiche. Le regioni non sono separate, tra di loro c'è un rapporto. Come fai a parlare della Lombardia senza considerare l'arrivo lì di migliaia di laureati che formiamo qui al Sud? Il punto sono le relazioni, non gli indicatori statici. Il pregiudizio antimeridionale vive da sempre nelle cantine di Bergamo. Ma il problema è che adesso prospera in tutto il paese anche per le colpe della classe dirigente meridionale».
Che fare allora?
«Il Sud avrebbe bisogno di grandi finanziamenti e di un'idea di sviluppo che lo faccia entrare in relazione con i suoi vicini. Gran parte delle risorse che vi arrivano invece sono destinate al consenso. O'Connor, un vecchio marxista californiano, diceva che la spesa pubblica deve scegliere tra accumulazione e legittimazione. Nel Sud gran parte di queste risorse servono a organizzare il consenso, anche con servizi o cose buone, ma non preparano il futuro».
Del federalismo fiscale dicono: è meglio perché se spendi male i miei soldi ti caccio via. Ma chi governerà gli enti locali non spenderà ancora di più per legittimarsi? Non si rischia un consenso ancora più perverso?
«È un meccanismo che si accentuerà. Ma il punto è come fai ad andare avanti con una coperta corta. Quando Tremonti dice «cialtroni» ai politici meridionali passa ad altri una bomba sociale pericolosissima. Col federalismo se un sindaco o un presidente dirà alla gente: non vi diamo più questi servizi - ospedali, borse di studio, etc. - perché dobbiamo programmare il futuro in altri settori, si brucierà. Che fai, prendi le mie tasse per darle a qualcuno tra vent'anni? Senza risorse si sta accendendo una grande polveriera sociale. Quale che sia il tipo di sviluppo a cui si mira, non si può fare senza investimenti che non siano destinati subito al consenso. La politica italiana fa poco o niente perché in Italia le masse sono entrate nello Stato, ma ci sono entrate in modo tale che tu dovresti togliere ad alcuni e dare ad altri e non lo puoi fare. Sono dilemmi tragici anche perché la politica ormai è totalmente a valle dei processi economici. È al massimo la politica del tappabuchi».
Anche Tremonti secondo te non orienta i processi?
«Tremonti fa l'interesse di alcune parti. Per lui il bene comune è il bene di alcune aree del Nord e che gli altri si rompano. È una politica malthusiana facile, piccola cosa anche se si muove su scenografie filosofiche o planetarie e si traveste di forza. Poi però voglio vedere che succede. Perché credo che le conseguenze non saranno indolori».
E la Puglia che ruolo può svolgere?
«È in corso un'esperienza interessate e importante. Ma la Puglia deve evitare la tentazione di fare «la più bella del reame». Non si deve illudere di poter fare da sola, deve lavorare insieme agli altri per trasformare il centro di gravità in un quadro policentrico».
Ma tu che ne pensi del Sud di «Gomorra»?
«Saviano va difeso ma credo che nel Sud ci sia anche altro. C'è una tendenza a proteggerlo in cambio dell'uso continuo della sua testimonianza. Anche dentro la logica di Gomorra il primo addendo può essere la presa di coscienza e la scelta dell'azione civile ma per fare una somma ci vuole cultura, sapere, risposte anche sui meccanismi di sviluppo. Ci deve essere insomma una prospettiva di uscita dal regime criminale. Devi inventare dei percorsi. Non è certo colpa di Saviano se non li offre altri dovrebbero farlo. La legalità è un problema grave e siamo grati a Saviano per averla messa al centro del discorso, ma da sola non basta. Leggevo sul Fatto un articolo che si chiedeva perché sia la Chiesa che Berlusconi eludono la legalità. E la tesi era: Berlusconi la elude in nome dell'investitura popolare e la Chiesa in nome del mandato divino. Al di là del moralismo è una tesi interessante. Ma la sinistra si deve ridurre tutta alla difesa della legalità? Non ha più un oltre? Un'esigenza di trascendenza rispetto alla legge? Le leggi si rispettano ma vanno anche cambiate, contestate. Nella legge ci sono dimensioni che vanno costruite e non si esauriscono nell'osservanza della legalità formale. La questione meridionale non è più una questione nazionale ed è amputato di qualsiasi prospettiva. Se vuoi cambiare le cose, devi cambiare le leggi esistenti e ispirare le leggi del futuro. E invece c'è una contrazione, soprattutto giovanile, sulla legalità. E' frutto del berlusconismo, certo, ma anche della scomparsa del futuro, dell'oltre, dei pensieri lunghi».
Anche i partiti però sono un problema serio.
«Una volta queste analisi si facevano nei partiti. Oggi invece sembrano competenze territoriali o chiacchiere da intellettuali. Spero che le fabbriche di Nichi si sintonizzino anche su questa lunghezza d'onda. Che non diventino un'isola in cui si sta bene perché c'è una comunità omogenea. Il problema non è solo di un leader o delle oligarchie di partito: ci devono essere luoghi di ragionamento collettivo. Altrimenti solo la via carismatica, passionale o creativa corre il rischio di non essere sufficiente. È necessaria, forse, ma per diventare sufficiente deve attrezzarsi a una pratica di relazioni che vadano anche oltre la fantasia o la creatività. Con uno sguardo strabico: un occhio alle emozioni e uno agli altri».