Mentre il frastuono della politica rende indistinguibili le voci del governo locale, l´accattivante suono delle sirene edilizie si appresta a conquistare sia il terreno materiale dei suoli edificabili sia quello simbolico dell´interesse collettivo. La perdita dello scettro da parte del principe, la fibrillazione delle corti impegnate a disegnare nuove fazioni politiche, e l´incapacità dei vassalli di ingaggiare una lotta credibile per il cambio di vertice, lasciano ai cavalieri del mattone l´arduo compito di mettere le fondamenta per un futuro migliore.
Lo scetticismo è d´obbligo, almeno da parte di quanti rivedono sulla periferia le antiche mani che furono capaci di trasformare la città in modo irreversibile, o per quanti preferirebbero parchi e verde pubblico pensando ancora di avere i vandali in casa.
È forse giunto il momento di considerare la periferia oltre che come contorno, «anche come baluardo: non-luogo decentrato che permette di osservare la realtà da un punto di vista atipico, magari con lo sguardo strabico che punta verso il centro eppure si apre a nuove prospettive». Se così fosse, osservando ciò che circonda il mondo, non scorgeremmo più solo processi marginali ma figure potenti e capaci di attrarre addirittura le aspirazioni di successo tipiche del centro. Nelle parole dello scrittore Angelo Petrella si scorge un laboratorio di costruzioni letterarie mai così vivace come in questa stagione, nella quale la scrittura, della e sulla periferia, diventa emblema del discorso metropolitano. Dalla periferia avanzano immagini che riescono a smuovere la stagnante economia campana, sovrapponendo alla crisi segnali di ripresa, ospitando totem di presunta civiltà, dotati di una forza espressiva assolutamente ineguagliabile, volti a debellare l´immagine di un´economia regionale come culla del primordiale.
Più che sventolare grandi annunci o altisonanti recuperi urbani, la novità risiede nell´imponenza delle opere già costruite e di quelle in costruzione. Il ruolo del settore edile comincia ad assumere una centralità indiscutibile, che si tratti delle joint venture della riqualificazione della periferia orientale di Napoli o dei vulcanici territori nolani, vi è sempre la costante dei privati che riconquistano la scena. L´edicola locale si riempie di opere imponenti che rimbalzano sui giornali come fiori all´occhiello, dal complesso alberghiero del casertano del gruppo Coppola al Vesuviello di Renzo Piano che affiancherà i non luoghi del Cis-interporto di Nola. E la priorità di questa fase diventa, quasi naturalmente, allargarsi ulteriormente, anziché regolare il caos dilagante nel costruito esistente.
Le opere sono templari e sono capaci di riprodurre miti e luoghi sacri della città al di fuori delle sue mura come lo stadio San Paolo di Fuorigrotta, sempre se si farà nelle vie più periferiche di Miano, sempre se l´Uefa darà una semifinale a Napoli, dopo che si sarà consumata l´ennesima sfida di marketing urbano. Guardando le foto sui giornali viene da chiedersi se l´anglosassone conformazione dello stadio riuscirà mai a modernizzare le tribali abitudini della tifoseria più brutale, con le tribune che lambiscono il manto erboso, e con la tifoseria a distanza di uno spintone dai giocatori in campo. L´utopia di azzerare la violenza abolendo il suo rituale potrebbe materializzarsi in una delle periferie più estreme, rendendo territori dimenticati, salotti del mondo del pallone.
Di certo il nuovo stadio potrebbe rendere meno periferiche le attuali periferie, ma potrebbe privare anche antichi centri della loro centralità, creando un´inestricabile competizione tra nuove e vecchie periferie. Il risultato potrebbe essere quello dell´ennesimo conflitto urbano di difficile soluzione, da risolvere tra qualche anno, quando il motore dell´economia non farà più lo stesso rumore. La previsione non sembra essere una dote del pianificatore locale se l´imponente complesso sportivo che attende di transitare fuori dall´area flegrea necessita di nuove regole, mentre quelle appena approvate dovranno fare i conti con un nuovo vuoto dalle dimensioni colossali.
Pare insomma che al cambiamento di forma se ne accompagnino diversi e profondi anche nella sostanza. Con una politica incapace di imprimere direzione, il rischio è di affidarsi completamente al mercato sperando che tutto questo almeno crei posti di lavoro sufficientemente attraenti per tirare i giovani più periferici dalle strade. Un destino diverso potrebbe toccarci qualora le poste in gioco fossero più alte, se all´investimento privato corrispondesse un intervento a favore della cultura o del sociale. È un po´ quello che potrebbe succedere qualora i privati colonizzassero il consiglio d´amministrazione del San Carlo, approntando un credibile piano aziendale, in netta controtendenza, rispetto alle scelte di governo della massima istituzione culturale meridionale. E se al fianco di ogni grande investimento vi fosse una Fondazione in grado di finanziare con i profitti in esubero la soluzione dei problemi territoriali, allora avremmo almeno a che fare con un´impresa più responsabile, in grado di rilasciare sul territorio esternalità positive, per promuovere benessere, assistenza, ricerca e ancora cultura.