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Carlo Iannello
Un appassionato riepilogo della lunga e tormentata storia dell'area di Bagnoli
21 Luglio 2017
Napoli
Un appassionato riepilogo della lunga e tormentata storia dell'area di Bagnoli e del suo piano ora, finalmente, «pare sia giunto il momento di tornare a discutere nel merito dei problemi. Per dirla in altri termini, è tempo si passare dalla farsa alla politica.»

Un appassionato riepilogo della lunga e tormentata storia dell'area di Bagnoli e del suo piano ora, finalmente, «pare sia giunto il momento di tornare a discutere nel merito dei problemi. Per dirla in altri termini, è tempo si passare dalla farsa alla politica.»

Nella discussione su Bagnoli occorrerebbe far prevalere il merito delle questioni piuttosto che un misero interesse di bottega, contingente e transeunte. Gli attori politici passano, velocemente, Bagnoli invece è sempre lì, nella sua desolazione, a testimoniarci il fallimento di un'intera classe dirigente, nazionale e locale, della politica come dell'imprenditoria, pubblica e privata.

Se Governo, Regione e Comune riconoscono che gli indirizzi generali contenuti nella variante del 1996 sono la soluzione per Bagnoli, chi ha sempre combattuto, in solitudine, per la sua attuazione, non può che manifestare soddisfazione. Che la decisione provenga dal Governo Renzi, Gentiloni, De Luca o De Magistris, è questione di secondaria importanza. Prima di ogni cosa viene il merito delle questioni.

Non dobbiamo, infatti, mai dimenticare il degrado del dibattito pubblico che da due decenni accompagna la questione.

La variante per Bagnoli del 1996, approvata quando Bassolino era Sindaco e Vezio De Lucia assessore all'urbanistica, è stata osteggiata da tutta la città, compresa la classe politica che la aveva votata, sin dal giorno dopo la sua approvazione. De Lucia pagò il prezzo più alto, con la sua estromissione dalla giunta. La classe dirigente locale, priva di cultura e di visione politica, la ha addirittura additata come la causa dello stallo in cui si trova Bagnoli, finendo per farla diventare il capro espiatorio della propria incapacità amministrativa, quando non della mala amministrazione, svelata dalle inchieste della magistratura.

Non c'era occasione in cui gli esponenti della classe dirigente cittadina dimenticassero di affermare che il piano era «troppo ambientalista», che un parco di 120 ettari era «un'enormità» per una città come Napoli e che la colmata andava conservata perché rappresentava una magnifica «terrazza a mare», per alcuni, la sede ideale per un immenso porto, per altri. A cominciare, incredibilmente, dagli stessi amministratori del comune e della Bagnoli Futura, che di quel piano avrebbero dovuto essere fieri custodi. Ricordo, ultimo in ordine di tempo, un esponente dell'ambientalismo cittadino, nominato nel 2012 a presidente della Bagnoli Futura, che poneva in dubbio la rimozione della colmata, con cui ho dovuto polemizzare, sempre nell’isolamento generale, da presidente della commissione urbanistica del comune.

E ricordo anche che, nel corso degli anni, più volte il governo centrale ha sollecitato i governi cittadini a stipulare accordi di programma con il preciso intento di scardinare la pianificazione urbanistica per Bagnoli. Sempre la politica locale, comunale e regionale, si è lasciata lusingare dalle emergenze e dai grandi eventi, per scardinare la pianificazione urbanistica.

Accadde nel 2003, con la Jervolino al Comune e Bassolino alla Regione, che stipularono col governo un accordo di programma per fare svolgere la Coppa America a Bagnoli e realizzare nella colmata un grande porto. Accordo poi andato in fumo perché, nonostante gli scongiuri della Jervolino (chi ricorda la foto che la ritraeva con il corno nell’attesa della nomination?) Napoli non fu fortunatamente scelta come sede dell’evento.
Allo stesso modo, dopo il cambio di amministrazioni, nel 2011, con De Magistris al Comune e Caldoro alla Regione, si è pervicamente tentato di fare svolgere la Coppa America a Bagnoli, sempre per legittimare la colmata, addirittura progettando la realizzazione sulla colmata dei veleni degli hangar per ospitare le barche della Coppa America, prima che la magistratura e il ministero ne vietassero, di nuovo fortunatamente, l’utilizzo (chi ricorda, inoltre, quando un assessore comunale ne voleva fare la surreale sede per lo svolgimento del forum delle culture, motivo per cui il comune scrisse al ministero di posticipare l’esecuzione dell’accordo di programma che ne prevedeva la rimozione? era il 2009).
Nel 2014, per concludere, un accordo di programma firmato da Comune, Regione e Governo voleva ricostruire la città della scienza sulla spiaggia, in contrasto col PRG e, per concludere, nel 2015, la Giunta comunale presentò al Consiglio delle linee guida che prevedevano la costruzione di volumetrie all’interno di collinette realizzate nel parco urbano («sottocubature», come dissi in Consiglio Comunale), senza dire una parola chiara sulla rimozione della colmata.

Insomma, Governo nazionale, regione e comune sono sempre stati alleati nel tentativo di scardinare la pianificazione urbanistica, e di derogare alla chiarissima norma contenuta nella legge 582 del 1996, con il consenso dell’impresa, delle accademie, delle professioni e della stampa, cioè di quel blocco sociale cittadino che è stato una cappa per lo sviluppo economico e civile del Mezzogiorno, instancabilmente denunciato da Gerardo Marotta.

Dopo il commissariamento del 2014 (che, nella sua versione originaria, era eversivo dei più elementari principi liberal-democrartici, come ho più volte sostenuto più volte da consigliere comunale), tutti si aspettavano quindi un intervento altamente speculativo, con la proprietà fondiaria autorizzata per legge a scrivere essa stessa le norme urbanistiche.

Per questo motivo destò vero stupore il progetto del soggetto gestore e del commissario del 2016, che prevedeva la rimozione della colmata, la creazione della spiaggia e lasciava la previsione del parco, sebbene in forma ridotta rispetto a quella del piano comunale. Le linee fondamentali del piano napoletano erano accolte, paradossalmente proprio da parte di quel governo nazionale che fino a qualche mese prima aveva interpretato il ruolo di co-protagonista per la sua demolizione. Si disse che era propaganda elettorale. Forse era così (valeva per tutti, le elezioni comunali erano alle porte), ma questo argomento serviva solo a evitare di entrare nel merito delle proposte.

Per lo stesso motivo, continua a destare meraviglia l'attuale perfezionamento della proposta contenuta nell'intesa interistituzionale, firmata da Governo, Regione e Comune, che riprende le linee del piano del 1996. Proposta, questa, che, per alcuni versi, migliora la precedente (indubbiamente per quanto riguarda la parte a terra, nel senso che il parco torna alla dimensione originaria prevista dal piano), mentre per altri motivi, relativi alla parte a mare, invece, la peggiora (perché conserva due insediamenti che per il piano del 1996, per la legge n. 582 del 1996 e per il vincolo paesistico del 1999 dovrebbero andare via: il borgo di Coroglio e le vecchie fabbriche ottocentesche che nel 1993 si tentò di vincolare senza successo perché prive di ogni valore).

Questo piano contiene dunque criticità (ce ne sono altre, infatti: si pensi a quella relativa al porto, al sistema della viabilità, all’eccessivo dimensionamento dell’attività alberghiera, che viene inspiegabilmente collocata anche sotto il costone di Posillipo, in prossimità dell’incrocio fra via Leonardi Cattolica e via Coroglio, «lungo il tratto della nuova via di Nisida, fronte spiaggia»).

Ma, occorre riconoscere, gli indirizzi sono quelli del 1996, quindi quelli giusti. È giunto pertanto il tempo che si sviluppi in città dibattito di ampio respiro, relativo al merito delle questioni, e che la si finisca sia con il confondere le scelte di merito con i pregiudizi che si nutrono nei confronti di chi le avanza, sia di offrire una rappresentazione farsesca e sbraitante della politica, da un lato, sia con gli annunci inattuati, dall’altro.

Per il momento possiamo constatare due cose.

Innanzitutto, che questo buon risultato è il frutto paradossale di uno dei più criticabili commissariamenti che il Paese ricordi (corretto in extremis dal governo in prossimità del più che opportuno ricorso del comune, eliminando l’incredibile potestà pianificatoria conferita ai privati), segno che Bagnoli, oltre che una maledizione, ha anche uno stellone che la protegge.

Le reazioni scomposte di queste ore che provengono da larga parte della classe dirigente cittadina contro quest’intesa è, del resto, la dimostrazione più evidente che solo l’assunzione di una chiara responsabilità dello Stato centrale può superare la visione asfittica e rozza della borghesia cittadina, che ha sempre considerato Bagnoli come un territorio da sfruttare e mai come un valore (innanzitutto estetico e culturale) da ripristinare e salvaguardare. Più volte, infatti, è dovuto intervenire lo Stato centrale per guidare verso le giuste direzioni il processo di trasformazione urbana di Bagnoli. La prima volta con la legge del 1996, che impose la ricostituzione della morfologia naturale della linea di costa (che diede forza alla linea portata avanti da De Lucia in comune); poi nel 1999, con l’apposizione del vincolo paesistico sull’area, fatta dal Ministro Melandri; oggi nella forma (per certi versi paradossale) del commissariamento (criticabile soprattutto nella sua prima formulazione). Era da anni più che evidente che occorresse una regia nazionale non solo perché Bagnoli è questione nazionale, ma anche perché la classe dirigente cittadina aveva ridotto Bagnoli a un inestricabile groviglio economico-giuridico-finanziario (con il fallimento di Bagnoli Futura, i suoli e le opere ivi costruite, che avrebbero dovuto appartenere alla città, diventati possibile preda dei creditori del fallimento, l’area della trasformazione sotto sequestro della magistratura, un processo in corso per omessa bonifica, opere demenziali realizzate, come la porta del parco, un ettaro di cemento armati, secondo alcuni persino di dubbia compatibilità con il piano comunale).

In secondo luogo, che solo se si riuscirà a fare massa critica sulle questioni di merito si potrà garantire che questo equilibrio (sempre precario, come la storia di Bagnoli dimostra), raggiunto oggi, possa essere effettivamente attuato e che l’attuazione vada avanti, con le opportune correzioni per garantire il pieno rispetto della legge del 1996 e del vincolo paesistico del 1999 (che blindano, di fatto, non solo le scelte strategiche della pianificazione comunale, ma che rappresentano un limite anche per i poteri dei commissari, in forza della supremazia dell’interesse paesistico, riconosciuto dalla costante giurisprudenza costituzionale).

Insomma, pare sia giunto il momento di tornare a discutere nel merito dei problemi. Per dirla in altri termini, è tempo si passare dalla farsa alla politica.

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