Un opera sbagliata che subordina gli interessi sociali, economici ed ambientali della collettività alle logiche finanziarie. Emblematica di come le grandi opere in Italia vengono gestite male, dove i fondi pubblici servono per coprire mancanze progettuali e salvare le imprese private da qualsiasi rischio. Con dettagliata cronologia.
Premessa
Le vicende della Pedemontana veneta si snodano (o si annodano) da oltre un trentennio e ancora appaiono lontane dall’essere concluse. Allo stato delle cose l’itinerario pedemontano è servito dalla Schiavonesca-Marosticana, strada una volta statale, nel 2001 passata dall’ANAS alla Regione Veneto e da quest’ultima alle Provincie di Vicenza e di Treviso. Sicuramente la Schiavonesca-Marosticana è da molto tempo inadeguata alle funzioni e alla quantità di traffico che la percorre ed è stata oggetto, nel tempo, di varianti e di interventi di potenziamento. Tuttavia la soluzione autostradale in corso di realizzazione, le modalità di finanziamento ad oggi note, gli effetti della riorganizzazione complessiva della mobilità nell’area appaiono del tutto inappropriate rispetto alle ragioni che hanno sostenuto nel tempo la necessità di questo nuovo asse stradale.
In queste note si descrive il momento cruciale che portò alla scelta, potenzialmente molto innovativa, di realizzare la Pedemontana come “Superstrada a pedaggio”, si elencano le tappe attraverso cui quella scelta coraggiosa venne di fatto pervicacemente ridotta alla realizzazione di una autostrada in concessione. Una infrastruttura calata forzosamente in un territorio strutturalmente inadatto, per tipologia degli insediamenti e per quantità di traffico, ad essere servito da un tradizionale asse autostradale.
Oggi i nodi vengono al pettine. Qui si accenna brevemente alle forzature decisionali, alla tormentata vicenda del ricorso al project financing e alle relazioni della Corte dei Conti che sollevano questioni di fondo che non possono essere ignorate e dovrebbero far seriamente riflettere sulla possibilità di trovare qualche via d’uscita meno dannosa di quella dell’andare avanti nonostante tutto con il progetto in corso.
La Pedemontana e la sua storia costituiscono a mio parere un caso emblematico da cui trarre insegnamenti per il più generale problema del processo decisionale delle grandi infrastrutture. Un processo che nel nostro paese ha dimostrato nel tempo di essere profondamente irresponsabile, straordinariamente conflittuale a tutti i livelli, accompagnato da modalità di valutazione inesistenti o totalmente ininfluenti, sistematicamente fondato sul ricorso alla spesa pubblica per far fronte a buchi finanziari e a carenze progettuali.
Ne emerge con molta efficacia la necessità di un cambiamento profondo nel modo di programmare, progettare, realizzare e gestire le infrastrutture necessarie. Un cambiamento oggi potenzialmente avviato attraverso il nuovo Codice degli appalti, l’abolizione della Legge Obiettivo e le nuove regole per la programmazione e la realizzazione delle infrastrutture. Ma la vicenda della Pedemontana dimostra che non basta un cambiamento nelle norme e nelle logiche dell’azione statale: occorrono profondi cambiamenti culturali anche nelle regole per l’azione delle Regioni e degli enti locali, occorre una nuova capacità di sinergia e di vigilanza e occorrono, anche nelle comunità locali, consapevolezze e alleanze ad oggi largamente mancanti.
1. Piccola cronologia dei primi (falliti) tentativi [1]
1990 Il Piano Regionale dei Trasporti
La Pedemontana nasce, come dice il suo nome, come itinerario destinato a raccogliere e distribuire il traffico generato e attratto dai numerosi centri posti allo sbocco delle valli, dove la manifattura ottocentesca e novecentesca basata sullo sfruttamento dei corsi d’acqua aveva concentrato attività, ricchezza, popolazione. Uno sviluppo proseguito poi nella forma peculiare di una diffusione insediativa frammentaria, per lo più ricalcata sui precedenti assetti agricoli, oppure organizzata in fregio filiforme lungo le strade esistenti. La previsione di “potenziamento dell’itinerario pedemontano” è effettivamente contenuta nel Piano Regionale dei Trasporti (PRT) approvato nel 1990, mai aggiornato e tuttora vigente. Quella previsione sottointendeva una realistica gerarchia delle priorità: non una nuova strada ma potenziamenti per tratte, finanziati dall’ANAS, partendo dalle tangenziali a servizio dei centri maggiori. Le caratteristiche omogenee delle tratte e il loro successivo collegamento poteva dare luogo ad un itinerario da subito capace di servire il traffico locale, che costituiva la grandissima maggioranza del traffico. In seguito, una volta completato, l’itinerario avrebbe potuto servire anche il traffico di più lunga percorrenza. Nel 1992 la Regione Veneto sviluppa su questa base un progetto di tipo super stradale [2].
1.1 1995 La Pedemontana: una autostrada senza oneri per lo Stato
Un pregevole dattiloscritto ad opera del partito della Margherita [3] richiama le ragioni dell’abbandono di quella prospettiva e spiega l’entusiasmo diffuso verso un progetto autostradale. Le cause vanno ricercate nella crisi finanziaria dello Stato dei primi anni ‘90, nel drastico taglio della spesa pubblica seguito al Trattato di Maastricht e non da ultimo negli effetti politici della profonda indignazione per gli scandali di Tangentopoli, per lo più maturati proprio sugli appalti delle grandi opere infrastrutturali. Nel 1995, in questo quadro di oggettivo impallidimento della possibilità stessa di realizzare la Pedemontana, attecchisce ancora una volta una vecchia promessa mai mantenuta: il Presidente della Autostrada A4 Serenissima si offre di realizzare la Pedemontana come autostrada in concessione “senza oneri per lo Stato” [4]. Quella che sembra una provvidenziale soluzione raccoglie una ampia adesione da molte Amministrazioni comunali e dalla generalità della popolazione. Non mancano le voci critiche: da quelle che richiamano l’oggettiva falsità di quella promessa a quelle che rivendicano per la nuova strada funzioni locali incompatibili con l’assetto autostradale a quelle che evidenziano i danni ambientali e i danni economici alle colture di pregio delle aree attraversate dal nuovo asse. Appena un paio di anni dopo quello stesso Presidente della Serenissima dirà ad un convegno a Vicenza “Non c’è nessuno in grado di remunerare gli investimenti con i pedaggi”. Ma ormai l’autostrada è divenuta luogo comune. Nella percezione delle Amministrazioni locali e dei cittadini, anche se non è la soluzione migliore, almeno si fa qualcosa.
1.2 1997-1998 finanziare una autostrada, ma con giudizio
La previsione della Pedemontana come asse autostradale, inserita nel 1997 nell’Accordo Quadro sottoscritto da Governo e Giunta regionale faceva della nuova infrastruttura un ramo della maglia autostradale destinata prevalentemente ai traffici di lunga percorrenza e all’alleggerimento della Serenissima. Tale previsione, che relegava di fatto il servizio per il traffico locale al rango di sottoprodotto, suscitava non poche opposizioni da parte di Comuni, associazioni di categoria e associazioni ambientaliste. E anche da parte di forze politiche. Tanto che il riflesso di tali opposizioni era ben evidente nelle leggi di fine anni ‘90, nelle quali si stanziavano denari per la realizzazione della Pedemontana:
Anche restando nell’ambito di una prospettiva autostradale tali leggi rispecchiano bene la ricerca di soluzioni progettuali più attente alla morfologia dei luoghi e al servizio della reale domanda di trasporto, formata per la grandissima maggioranza da traffico locale.
1.3 2000: il progetto autostradale di Bonifica spa
Intanto Anas, senza aspettare alcuna valutazione preventiva, forte del contributo statale fissato dalla L 448/98, indice una gara a licitazione privata per il progetto definitivo dell’autostrada tra Dueville (A31) e Spresiano (A27) vinta, nel gennaio 2000, dalla società di progettazione Bonifica spa, con sede in Roma.
Le proposte tariffarie e di tracciato nonché le stime di traffico del progetto Bonifica per il 2007, anno previsto per l’entrata in esercizio della Pedemontana, risultano per molti versi illuminanti:
Nonostante le “aperture” al traffico locale ora ricordate, l’opposizione al progetto dichiaratamente autostradale di Bonifica è forte e interessa un numero crescente di Amministrazioni locali: per il tracciato, che serve pochissimo ad alleggerire la viabilità locale congestionata, per il ridisegno della viabilità ordinaria orientato principalmente a favorire gli accessi autostradali per la pesante interferenza con le previsioni urbanistiche e i vincoli ambientali. Il passaggio del tracciato lungo i confini comunali, assunto come criterio base, può servire a minimizzare il conflitto con i Comuni ma appare del tutto inadeguato a prendere nella dovuta considerazione la natura dei suoli, la struttura storica degli insediamenti e delle ville, i valori paesaggistici e ambientali, l’impatto sulle aziende agricole e le loro colture di pregio.
1.4 Autostrada o Superstrada?
Proprio dalla intensità di questa opposizione trae origine la legge 388/2000 [6] nella quale si stabilisce che l’infrastruttura:
“puo' essere realizzata anche come superstrada. In tal caso sono applicabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 3, della legge 24 novembre 2000, n. 340, il pedaggiamento e la concessione di costruzione e gestione, ferme restando le procedure stabilite dall'articolo 10 della legge 17 maggio 1999, n. 144. Ai fini dell'esercizio dell'opzione di cui al presente comma e della valutazione delle alternative progettuali, finanziarie e gestionali, di sostenibilita' ambientale e di efficienza di servizio al territorio, il Ministero dei lavori pubblici conclude entro il 31 marzo 2001 una conferenza di servizi con il Ministero dell'ambiente, la Regione Veneto, gli enti locali e gli altri enti e soggetti pubblici interessati. Trascorso il termine predetto senza che sia stabilita la realizzazione di una superstrada a pedaggio, riprende la procedura di cui all'articolo 10 della legge 17 maggio 1999, n. 144. "
La Superstrada a pedaggio costituiva una innovazione di grandissimo interesse. Il pedaggio, applicato ai traffici di lunga distanza, avrebbe contribuito a finanziarla e al tempo stesso sarebbe stato coerente con le politiche di trasferimento delle merci dalla strada alla ferrovia. La Superstrada, classificata dal Codice come “Strada extraurbana principale di tipo B” [7], avrebbe potuto ridurre il consumo di suolo, massimizzare il servizio al territorio con l’infittimento delle connessioni alla viabilità ordinaria, consentire un miglior inserimento paesaggistico grazie alle velocità più ridotte e ai conseguenti minori raggi di curvatura necessari. Il massimo riuso dei sedimi stradali esistenti previsto dalla legge poteva assumere un senso ben preciso alla luce della fittissima rete di strade statali e provinciali dell’area.
La gestione “aperta” avrebbe potuto selezionare l’utenza facendo pagare le lunghe percorrenze, esentando le percorrenze brevi e brevissime e dosando opportunamente le situazioni intermedie. Il ricorso al sistema “a barriere” e/o l’applicazione delle tecnologie telematiche di identificazione dei veicoli [8] potevano assicurare la minimizzazione dei costi di gestione anche in presenza di un numero elevato di accessi. Se si avesse avuto coraggio e lungimiranza la superstrada a pedaggio avrebbe potuto addirittura avviare la trasformazione del pedaggio da (inefficiente) strumento di finanziamento dell’infrastruttura a strumento di regolazione dell’uso del sistema delle infrastrutture, con effetti ben più importanti ed efficaci.
La Conferenza dei Servizi prevista dalla legge si svolse effettivamente a Castelfranco Veneto il 31 marzo 2001, dunque nei tempi fissati. Gli Enti locali e i soggetti istituzionali i convenuti optarono a grande maggioranza per la Superstrada, in pieno disaccordo con la Regione Veneto e le due Provincie interessate, che abbandonarono provocatoriamente la riunione [9]. Dal punto di vista della trasparenza e della consapevolezza fu una grande occasione mancata. Non solo perché il progetto Bonifica era stato visto compiutamente solo da pochi comuni e solo in maniera informale, ma perché tutto il complesso lavoro di approfondimento tecnico e modellistico degli advisor previsto dalla L 144/1999, venne distribuito all’ultimo momento e non ci fu tempo per valutare e studiare. E’ appena il caso di ricordare che anche quell’interessante lavoro, che aveva comparato ben dieci ipotesi di livello tariffario e di modalità di riscossione del pedaggio, arrivava infine, attraverso una analisi multicriteri, a raccomandare l’adozione di un sistema “selettivamente” aperto e metteva in guardia circa la fragilità delle ipotesi di finanziamento da pedaggio.
2. Il nuovo scenario post 2001: Legge Obiettivo e project financing
Gli eventi che seguirono la decisione del marzo 2001 segnano una svolta nell’iter decisionale. In primo luogo cambia profondamente il contesto nazionale e in secondo luogo, per la Pedemontana, cambiano radicalmente gli attori in gioco.
A fine del 2001 il nuovo Governo di centro-destra rivoluziona, con la Legge Obiettivo (L 443/2001) le modalità di decisione e realizzazione delle grandi infrastrutture. La Legge Obiettivo avrebbe dovuto riguardare unicamente poche opere strategiche di “preminente interesse nazionale” a cui riservare uno speciale percorso decisionale accelerato e semplificato e la certezza del finanziamento. All’insegna di parole d’ordine come “ semplificazione delle procedure” e “rapidità di attuazione” la maggior parte delle decisioni sulle singole opere doveva essere assunta sul progetto preliminare, comprese le valutazioni economiche e lo svolgimento della procedura di VIA.
Il risultato si rivela ben presto disastroso. L’assenza di programmazione, l’oggettiva insufficienza del progetto preliminare a consentire valutazioni attendibili circa la fattibilità economica ed ambientale delle singole opere, la corsa ad iscrivere opere negli elenchi della Legge, a prescindere dalla loro strategicità (e spesso anche della loro utilità) portano a situazioni paradossali: nel 2015 gli elenchi della Legge Obiettivo registravano oltre 400 opere, molte delle quali con progetti preliminari approssimativi, incerta fattibilità e incerto finanziamento [10]. Oggi, abolita la Legge Obiettivo in nome della ripresa della programmazione e del rigore nelle valutazioni [11], molte di tali opere dovrebbero essere abbandonate o radicalmente riviste, ma vantano diritti acquisiti che costituiscono altrettante remore al disegno di un razionale sistema infrastrutturale e al corretto uso della spesa pubblica.
2.1 Trasferimento alla competenza regionale e project financing
Nella Delibera CIPE 121/2001 che tracciava regione per regione il primo programma delle opere in Legge Obiettivo era compresa, per il Veneto, la Pedemontana Veneta (tratte est e ovest) insieme al Passante di Mestre, alla Tratta Venezia – Ravenna (Nuova Romea E 45 – E 55) , al Raccordo autostradale Verona – Cisa (Ti-Bre) e al Completamento A 27 – Alemagna. A partire da questo momento ci si sarebbe aspettati un periodo di revisione del progetto Bonifica al fine di accelerare la realizzazione e di cogliere appieno gli aspetti positivi della trasformazione in Superstrada. Invece il trasferimento alla competenza regionale e il ricorso al project financing rimettono tutto in discussione. In rapida successione nel 2001 la Legge finanziaria trasferisce i contributi già stanziati per la tratta est-ovest alla Regione Veneto (L 448/2001 art. 73, comma 2), un Accordo tra Presidenza del Consiglio, Ministero dei Trasporti e Regione Veneto trasferisce alla Regione la competenze sulla realizzazione dell’opera; la Regione acquisisce da Anas il progetto Bonifica (non senza qualche resistenza da parte di Anas).
Nel 2002 la società Pedemontana Veneta Spa [12], a cui la Regione trasferisce il progetto Bonifica [13]. presenta, come promotore, un progetto in Project Financing per la tratta da Dueville (A31) a Spresiano (A27). Il progetto viene messo in gara, ma un ricorso presentato da alcuni Enti locali e da Legambiente del Veneto viene accolto dal TAR che annulla la gara. Nello stesso anno la tratta Ovest della Pedemontana, di raccordo tra la A4 e la A31 era stata concessa, senza alcuna gara, alla Serenissima: una procedura di infrazione comunitaria per l’assenza di gara porta ad annullare la concessione.
Il 2003 segna il punto fermo dal quale parte la storia recente dell’infrastruttura:
Dal punto di vista della capacità di servire il territorio attraversato il progetto preliminare approvato nel 2006 é sensibilmente peggiorativo rispetto al progetto Bonifica. L’infrastruttura, nonostante la reiterata dichiarazione che si tratta di una “Strada extraurbana principale di tipo B”, in realtà rincorre malamente le dimensioni di una autostrada [14], adotta un sistema di riscossione del pedaggio completamente chiuso e costa 1.991 milioni di euro contro i 1450 previsti del progetto Bonifica.
3. I guai del project financing e la Corte dei Conti
Più di dieci anni sono trascorsi dalla approvazione del progetto da parte del CIPE e l’avanzamento dell’infrastruttura pone ancor oggi molti rilevanti problemi. I lavori sono iniziati [15] ma l’iter decisionale è ancora incerto su temi fondamentali come il rapporto contrattuale tra Regione e Concessionario o la possibilità, per il Concessionario, di arrivare in tempo utile al closing [16], o ancora il regime tariffario per i residenti e le attività dell’area. Inoltre i danni ambientali denunciati sui giornali, le perdite di risorsa idrica nella realizzazione delle gallerie e l’impatto dei cantieri sembrano sopravanzare di molto le valutazioni dello Studio di impatto ambientale.
Nel riquadro di figura 1 si indicano in estrema sintesi, ordinati per data, i fatti più significativi del decennio dal 2006 ad oggi. Qui conviene invece riprendere alcuni macroscopici punti critici, anche sulla scorta delle recenti Relazioni della Corte dei Conti (CdC) relative alla attuazione della Pedemontana Veneta [17].
Figura 1 Cronologia del decennio 2006-2016
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3.1 Un project financing a geometria variabile
Un primo aspetto determinante riguarda la scelta regionale di ricorrere al project financing, le modalità con cui tale scelta è stata attuata e le continue modificazioni del rapporto tra Concedente e Concessionario ancora oggi in corso. E’ una vicenda tormentata a partire dalla gara del 2006 per la scelta del concessionario. In quella gara infatti l’offerta più vantaggiosa era stata presentata dall’ATI costituita dal Consorzio Stabile SIS SCpA - Itinere Infraestructuras S.A. (Consorzio SIS). Tuttavia la Regione aveva affidato la concessione al promotore Società Pedemontana Veneta (ATI con capogruppo Impregilo), che aveva esercitato il diritto di prelazione previsto dalle norme italiane (peraltro contestato dalle norme europee). L’ATI Consorzio SIS ricorre contro tale assegnazione e la sentenza conclusiva del Consiglio di Stato obbliga la Regione ad affidare la concessione al Consorzio SIS. Intanto sono passati tre anni: sarà il Commissario a firmare nel 2009 la prima Convenzione tra il Concedente Regione Veneto e il Concessionario Consorzio SIS.
Quella Convenzione suscita non poche perplessità: perché la Regione si impegna [18] a garantire con ogni mezzo l’equilibrio del Piano economico finanziario (ad es. con l’aumento dei contributi, l’allungamento della concessione, la variazione delle tariffe, ecc.) e a versare al Concessionario oltre al contributo in conto capitale di 173,7 milioni di euro, un canone annuale “di disponibilità” pari a 14,5 milioni di euro, aggiornato annualmente in base al tasso di inflazione. Tale canone che garantisce al concessionario un introito annuale basato su stime di traffico riviste al rialzo rispetto a quelle del progetto, potrebbe essere rimodulato a favore della Regione nella improbabile ipotesi che gli introiti da pedaggio risultassero molto superiori a quelli previsti in convenzione. Ovviamente nel caso, assai più probabile, che gli introiti fosse inferiori, la Regione si obbliga a provvedere al ripiano. Viene così meno, oggettivamente, il rischio del Concessionario, al quale tali regole garantiscono la totale copertura dei costi, in aperta contraddizione con la logica di equa ripartizione dei rischio che dovrebbe stare alla base del project financing.
Le regole così cautelative per il Concessionario si rivelano comunque insufficienti a garantire la “bancabilità” dell’opera: nel 2013 un Atto convenzionale aggiuntivo aggiorna i costi dell’intervento da 1,4 miliardi di euro del progetto preliminare del 2003 a 2,258 miliardi di euro, incrementa il contributo pubblico in conto capitale fino a 614,410 milioni di euro, 370 dei quali stanziati dallo Stato e prevede, per il Concessionario, un contributo annuo in conto gestione di 20 milioni di euro a partire dall’entrata in esercizio dell’infrastruttura e per tutta la durata della concessione.
Per la “bancabilità” ancora tutto questo non basta: nel 2016 la Cassa Depositi e Prestiti, coinvolta con altre banche nel finanziamento del Concessionario, giudica l’infrastruttura non finanziabile sulla base di una stima del traffico, appositamente commissionata, che quantifica un TGM di poco superiore a 15.000 veicoli, la Regione Veneto reagisce mettendo a punto una complessa soluzione che comprende un ulteriore contributo pubblico (regionale) di 300 milioni di euro e la riformulazione dei rapporti tra Concedente e Concessionario SIS attraverso un III Atto convenzionale che sostituisce completamente le convenzioni precedenti.
Tale riformulazione modifica radicalmente i termini delle Convenzioni sottoscritte nel 2009 e nel 2013 e viene motivata dall’aumento dei costi del progetto e dalla constatazione che i volumi di traffico saranno prevedibilmente minori di quelli ipotizzati data la crisi economica e i suoi effetti di lungo periodo. Nonostante la sistematica minimizzazione con cui il III Atto convenzionale viene presentato, il cambiamento è davvero radicale. La titolarità dei proventi da pedaggio passa dal Concessionario SIS al Concedente Regione Veneto che si addossa così completamente il rischio di mercato, ovvero l’incertezza circa i volumi di traffico e le conseguenti entrate tariffarie. Il Concessionario, a cui restano i rischi collegati al costo di costruzione e alla disponibilità dell’infrastruttura, rinuncia ad introiti da Concessione per circa 6,7 milioni euro, ma il suo equilibrio di bilancio è garantito da un “canone di disponibilità” annuo aggiornato nel tempo e rivedibile al rialzo qualora necessario.
E’ una modifica non da poco perché mentre il rischio di mercato non dipende dal Concessionario, e in tal senso si tratta realmente di un rischio, le altre due componenti (costo di costruzione e disponibilità legata alla manutenzione e al buon funzionamento dell’infrastruttura) dipendono invece pressoché completamente dalla azione del Concessionario, dalla sua abilità imprenditoriale e dalla sua efficienza tecnica. La prevista copertura totale di tali costi da parte della Regione attraverso il canone annuo di fatto rende il rapporto simile ad un contratto di appalto piuttosto che a un contratto di concessione. La previsione che il canone di “disponibilità dell’infrastruttura” possa essere diminuito (nella quota massima del 15%) in seguito alle eventuali inadempienze del Concessionario non sembra modificare sostanzialmente le cose.
Noterà la Corte dei Conti nella Relazione del 2016:
“Il ricorso al partenariato pubblico-privato non solo non ha portato i vantaggi ritenuti suoi propri, ma ha reso precaria ed incerta la fattibilità dell’opera stessa. Appare evidente, infatti, la difficoltà a far fronte al closing finanziario, ricorrendosi, in contrasto con i principi ispiratori della finanza di progetto, all’intervento di organismi pubblici, al fine di superare le criticità dell’operazione. E’ manifesta la traslazione del rischio di mercato sul concedente, fatto anch’esso in contraddizione con la ratio del ricorso alla finanza di progetto."
L’importo elevato del previsto contributo regionale supera la capacità di indebitamento della Regione. D’altra parte il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dichiara pubblicamente che “lo Stato non è un bancomat” e che nessuna risorsa aggiuntiva verrà assegnata alla Pedemontana Veneta. Un bel pasticcio: perché recedere dalla Concessione significa interrompere i lavori nei cantieri iniziati, lasciar sospesa la remunerazione degli espropri e comunque subire uno scacco politico di enorme portata. L’idea iniziale della Amministrazione regionale di ricavare i 300 milioni di euro attraverso una addizionale IRPEF del 5xmille sui redditi superiori a 28.000 euro viene rapidamente abbandonata per il clamore e le proteste suscitate. L’articolazione dell’impegnativo contributo regionale in due tranche successive di mutuo trentennale sottoscritto con Cassa Depositi e Prestiti, fa fronte al problema della capacità di indebitamento della Regione. Ma non risolve tutti i problemi: sussiste uno squilibrio troppo accentuato a favore del concessionario? Le modifiche della Convenzione potrebbero dare luogo a ricorsi (già annunciati) da parte dei soggetti “perdenti”? Non sarebbe più conveniente, per l’Amministrazione pubblica, rivedere tutta la questione e procedere ad una regolare gara d’appalto?
Su questi temi si è in attesa delle determinazioni dell’Autorità Nazionale anti-corruzione e degli organismi di vigilanza, compresa la Corte dei Conti ai quali è stata inviata la documentazione relativa al III Atto convenzionale.
3.2 Un abnorme contenzioso
Un secondo aspetto rilevante è costituito dalla ampiezza del contenzioso, che è un buon indicatore della poca chiarezza delle leggi e della incerta legittimità delle decisioni. Il contenzioso interessa conflitti tra Stato e Regione, tra Regione ed Enti Locali, tra Associazioni di vario tipo e istituzioni, tra cordate imprenditoriali, tra privati ed enti pubblici. Gli effetti che ne derivano in termini di allungamento dei tempi, crescita dei costi e oggettiva incertezza delle decisioni sono rilevantissimi. Il commissariamento dell’opera ottenuto nel 2009 rappresenta un maldestro tentativo di risposta a questo problema. Nell’estate del 2009 infatti la Regione ottiene dal Consiglio dei Ministri una dichiarazione di “stato di emergenza” nel settore del traffico e della mobilità nelle provincie di Vicenza e Treviso. E’ evidente l’intenzione di ricalcare in tal modo l’esperienza di commissariamento che aveva portato, non senza problemi, alla realizzazione del Passante di Mestre. Non a caso viene nominato Commissario [19] e dotato di amplissimi poteri straordinari proprio l’ingegnere Vernizzi, alto dirigente regionale e Amministratore delegato di Veneto Strade, reduce in quel periodo dall’aver portato a termine la realizzazione del Passante di Mestre.
Tutta la vicenda del commissariamento e dei suoi esiti saranno considerati assai criticamente dalla Corte dei Conti: per il costo elevato della struttura commissariale, per la sistematica e continuativa deroga alle norme, per l’esproprio di responsabilità dell’istituzione regionale e, paradossalmente, per l’incredibile numero di contestazioni, di ricorsi o di minacce di ricorso che costellano l’elaborazione del progetto definitivo, conclusa nel 2010. La soluzione “commissariamento” peggiora il male che dorrebbe curare. La Corte dei Conti, stigmatizzando proprio l’ampiezza del contenzioso, osserverà che da questa vicenda emerge l’assoluta necessità di approfondire e concordare le soluzioni relative al tracciato e alla integrazione nel territorio nelle fasi preliminari, per evitare il danno erariale che deriva dall’uso strumentale del contenzioso come mezzo per aumentare il proprio potere contrattuale e ottenere vantaggiose modifiche del progetto o anche opere aggiuntive. Uno degli effetti macroscopici della negoziazione tra enti locali e Commissario è l’incremento dei costi: il costo di costruzione aumenta di oltre 300 milioni di euro.
Nella Figura 2 lo schema del tracciato della Pedemontana veneta a seguito dal progetto definitivo del 2010 [20].
Figura 2 Pedemontana schema del tracciato
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A chi serve la nuova strada?
Infine al di là degli aspetti finanziari e amministrativi l’aspetto più rilevante di questa storia è la perdita progressiva del significato dell’opera: un significato compromesso alla radice dalla progressiva subordinazione degli interessi sociali, economici ed ambientali delle collettività locali alle logiche finanziarie e agli interessi legati alla realizzazione della grande opera.
Basti considerare la questione delle stime di traffico e la ricerca della massimizzazione degli introiti che le guidano. Nel 2016, in opposizione allo studio di traffico della Cassa Depositi e Prestiti che aveva quantificato un TGM di 15.000, la Regione commissiona a sua volta uno studio di traffico. Tale studio assumendo le tariffe di pedaggio fissate nella convenzione del 2013 stima al 2020, anno di prevista entrata in esercizio dell’infrastruttura, un TGM di circa 20.000 veicoli. Simulando invece tariffe più basse, che rendono conveniente l’uso dell’infrastruttura per una maggior quantità di traffico, il TGM stimato cresce fino a 27.000 veicoli [21]. Queste nuove condizioni sono formalmente assunte nel III Atto convenzionale, che ripropone da parte della Regione la garanzia dell’equilibrio economico finanziario attraverso un contributo in conto “disponibilità dell’infrastruttura” che ancora una volta garantisce la copertura dei costi del Concessionario. Il progetto in via di realizzazione assume, come si è detto, un sistema di gestione chiuso, organizzato con 15 caselli e due barriere in corrispondenza della connessione con le altre autostrade. Dunque tutto il traffico è potenzialmente soggetto al pagamento del pedaggio: le eventuali esenzioni a favore di residenti e attività locali dipendono unicamente dal gestore dell’infrastruttura. La totale sparizione nel III Atto convenzionale di ogni accenno a tali regole di esenzione dal pedaggio per la popolazione e le attività locali, che erano invece dettagliatamente contenute nella Convenzione del 2009 e del 2013, rispecchia perfettamente il problema: la quantità di traffico e le tariffe previste nel III Atto convenzionale sono calibrate per conseguire la massimizzazione degli introiti indispensabile ad assicurare la finanziabilità del progetto. Qualsiasi esenzione, anche qualora possibile in termini contrattuali, potrebbe compromette gli equilibri finanziari previsti, così che la prospettiva più realistica è sicuramente quella dell’azzeramento di ogni ipotesi di esenzione.
Infine occorre osservare la sistematica ambiguità con cui la Pedemontana è presentata come maglia della rete autostradale, cosa che implica l’assunzione di caratteristiche progettuali coerenti con quelle del resto della rete autostradale. La qualifica di “superstrada” resta dunque come fatto puramente formale, mentre le caratteristiche tecniche e il sistema di esazione del pedaggio sono del tutto autostradali. L’autostrada, come tutte le autostrade, risulta di difficile inserimento morfologico e paesaggistico in un territorio diffusamente abitato. Le implicazioni in termini di caratteristiche costruttive e costo di costruzione sono assai rilevanti: su una lunghezza complessiva di km 94,50 circa il 72% del tracciato corre in trincea o in galleria e il restante 28% in rilevato. C’è da scommettere che la piacevolezza del paesaggio potrà essere ben poco colta dai viaggiatori autostradali. Le singolari caratteristiche plano altimetriche certamente hanno a che fare con la preoccupazione di minimizzare la visibilità dell’opera, ma sicuramente scontano anche l’interesse per il profitto ricavabile dalla vendita degli inerti risultanti dagli scavi.
In conclusione ogni passo della storia delle Pedemontana è scandito dalla crescita dei costi di costruzione e dall’aumento del rischio per l’Amministrazione pubblica. Ogni passo rende tuttavia più difficile cambiare e spinge di fatto verso la realizzazione ad ogni costo di un progetto profondamente inadatto rispetto i problemi di mobilità e di congestione della viabilità locale che dovrebbe aiutare a risolvere. Non c’è più nulla da fare? A parte l’attesa per i giudizi di legittimità e le verifiche sul III Atto convenzionale si potrebbe comunque far qualcosa per diminuire il danno? Anche restando all’interno della filosofia del sistema chiuso, capace cioè di intercettare tutto il traffico che percorre la strada, le scelte progettuali della Pedemontana in costruzione appaiono singolarmente arretrate. Quale risparmio di costi di costruzione e di impatto paesaggistico si sarebbe potuto ottenere attraverso l’adozione di sistemi tipo Free Flow Multilane22 oggi già ampiamente utilizzati in altri paesi europei e anche in Italia per la Pedemontana lombarda o previsti per la Livorno-Civitavecchia? E quale flessibilità di gestione e di tariffazione sarebbe
possibile attraverso questo sistema? Dato il modesto avanzamento dei lavori si sarebbe probabilmente ancora a tempo per modificare il sistema di esazione, che vorrebbe dire semplificare enormemente svincoli e connessioni con la viabilità ordinaria, diminuire i costi di costruzione e di gestione e risparmiare risorse da dedicare alle necessarie misure a favore del traffico locale.
In ogni caso le vicissitudini della Pedemontana veneta costituiscono una perfetta dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, della necessità di modificare profondamente il processo decisionale relativo alle grandi infrastrutture. Le riforme avviate con il nuovo Codice degli appalti [23] e l’abolizione della Legge Obiettivo vanno in questa direzione disegnando un itinerario assai diverso da quello fin qui descritto. Nelle nuove regole il progetto preliminare è sostituito da un ben più approfondito e valutato Progetto di fattibilità tecnica economica (PFTE) strutturato attraverso il confronto tra alternative e l’analisi costi-benefici. La elaborazione definitiva del PFTE dovrà essere preceduta da un Dibattito Pubblico capace di far emergere la domanda reale, gli interessi collettivi e i problemi dei territori interessati. La solidità dei progetti ottenuta attraverso tali fasi progettuali dovrebbe essere in grado di ridurre al minimo il contenzioso e l’aumento dei costi, perché il progetto dell’infrastruttura potrà tener conto da subito dei problemi, invece di rincorrere con continue variazioni gli esiti del contenzioso e delle opposizioni locali sui progetti definitivi ed esecutivi. La programmazione integrata di ordine nazionale e locale consentirà di definire lo schema strategico della rete infrastrutturale ai diversi livelli, con le sue sinergie e le sue priorità. Le nuove regole, valide anche per le infrastrutture di interesse regionale, renderanno più facile, almeno si spera, decidere infrastrutture condivise e appropriate al loro ruolo, valutate nei loro effetti economici, sociali ed ambientali rispetto ad altri impieghi delle risorse pubbliche. Infrastrutture realizzate con costi prevedibili, maggiore rapidità e regole meno vulnerabili a fronte degli interessi privati confliggenti. Con vantaggio per l’erario e per le popolazioni interessate.
Note
[1] Tutti gli atti ufficiali richiamano la successione degli atti politici, normativi o in varia forma autorizzativi che hanno fin qui sostanziato l’iter decisionale della Pedemontana. Ad essi si rimanda. In queste note si fa riferimento alle note interpretative di tali atti, redatte da partiti, associazioni, organizzazioni della società civile.
[2] Il progetto del 1992 prevedeva 85% del tracciato di tipo III Anas (m 18,60 a carreggiate separate) e 15% del tracciato di tipo IV Anas (m 10,70 a carreggiata unica).
[3] La Margherita – Insieme per il Veneto Breve storia della Pedemontana Veneta, novembre 2004.
[4] La logica di tali promesse si fondava sull’aspettativa, da parte del Concessionario, di consistenti allungamenti delle Concessioni sulle autostrade già realizzate. Ma già negli anni ’90 le norme europee imponevano l’obbligo di gara ad evidenza pubblica per la realizzazione di nuove opere e vietavano quindi allungamenti di concessione motivati dalla realizzazione di nuove opere da parte del concessionario. Senza contare che la Legge 492/1975 aveva vietato la costruzione di nuove autostrade in concessione proprio a motivo della loro dimostrata impossibilità di remunerare gli investimenti attraverso il pedaggio. Lo Stato, garante dei debiti delle concessionarie, era chiamato a coprire le loro insolvenze presso il sistema bancario, generando così insostenibili impegni di spesa pubblica. Per dare un’idea della dimensione del problema, quando la Legge 531/1982 Piano decennale per la viabilità di grande comunicazione riaprirà la vicenda delle concessionarie, il contributo a fondo perduto chiesto allo Stato per la realizzazione di nuove autostrade in concessione era dell’ordine del 65-70% dell’investimento.
[11] L’abolizione della Legge Obiettivo e la ripresa della programmazione in materia di infrastrutture è una delle previsioni più qualificanti del nuovo Codice dei contratti Dlgs 50/2016.
[12] La Società Pedemontana Veneta è composta da Autostrade per l'Italia, Autostrada Brescia-Padova, Autovie Venete, Banca Antonveneta, Unicredit e San Paolo.
[13] Un trasferimento accompagnato da molte polemiche: perché la nuova Società può disporre di un progetto già sviluppato? Non si configura in tal modo una ingiusta posizione di privilegio rispetto ad altri possibili concorrenti? Il progetto, che comunque costituisce una proprietà pubblica, è stato trasferito a titolo oneroso o a titolo gratuito?
[22] Nel sistema free flow i veicoli che percorrono la strada sono riconosciuti automaticamente attraverso dispositivi posti a bordo dei mezzi e portali collocati lungo i percorsi, Il pedaggio, commisurato al percorso e alla tipologia di utente, è scalato senza rallentamento e senza incanalamento attraverso card prepagate o attraverso altri sistemi di pagamento, compreso il pagamento differito mediante addebito al conto corrente del proprietario del veicolo.