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Eugenio Scalfari
La partita doppia dell´orrore iracheno
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Il consueto articolo domenicale su la Repubblica il 16 maggio 2004 à dedicato al comportamento dei media sugli orrori della violenza e alle vicende della partecipazione italiana alla guerra di Bush

STA accadendo un fatto molto strano sul quale invito i nostri lettori a riflettere con attenzione: in questi giorni si è accesa in Italia una discussione di infimo livello sulla contabilità dell´orrore. Per iniziativa di alcuni giornali di parte la barbara decapitazione d´un giovane americano è stata utilizzata con dovizia di fotografie per controbattere la rivelazione delle disgustose sevizie perpetrate da soldati americani su prigionieri iracheni. È più orrenda quella decapitazione o quelle sevizie? Chi sta dalla parte di chi? Con la chiosa già ampiamente collaudata che almeno le democrazie con l´America in testa hanno immediatamente fatto atto di contrizione per il sadismo emerso in pochi «casi isolati» e stanno procedendo alla punizione dei colpevoli, mentre gli assassini del giovane americano si gloriano della loro truculenta impresa tra gli applausi della loro gente.

La cupa stranezza di questa contabilità dell´orrore sta nel fatto che il libro mastro in cui vengono annotate le due opposte partite del dare e dell´avere, dell´attivo e del passivo, è gestito da giornali e televisioni italiane. Negli Stati Uniti d´America le foto e le riprese televisive della duplice barbarie sono state ampiamente diffuse, così come nei "media" del resto del mondo; ma a nessuno è venuto in mente di usare una delle due barbarie come lavacro dell´altra. In America ? e nel resto del mondo ? l´orrenda sequenza della decapitazione del giovane americano ha suscitato sentimenti di reazione e di emozione profondissimi, ma la riprovazione verso la politica di guerra coloniale in corso in Iraq, con il suo strascico di brutalità verso quel popolo sventurato, non è stata affatto scalfita anzi continua a montare giorno dopo giorno. Al punto che l´ultimo sondaggio (Zogby Poll) diffuso ieri dalla stampa americana registra il crollo della politica irachena di George Bush che ottiene soltanto il 36 per cento dei consensi. Il 64 per cento degli americani "do not think it was worth going to war", pensano che non valesse la pena di farla, questa guerra. Si tratta di un livello di consenso ancora più basso di quello raggiunto per la guerra in Vietnam che obbligò l´Amministrazione a ritirare dal Sudest asiatico il mezzo milione di soldati che vi erano stati sbarcati e combatterono contro Ho Chi Minh e contro i vietcong per otto anni.

Segnalo dunque il fatto che alcuni (pochi ma significativi) giornali italiani e alcune emittenti televisive abbiano sfoderato un argomento che ritenevano decisivo per l´esito d´una disputa politica insensata e moralmente squalificante.Mentre quel medesimo tema non ha trovato accoglienza nel paese protagonista di quella disputa, la cui opinione pubblica si sta semmai mobilitando contro il proprio governo, chiamato alla sbarra per cambiare rotta ed emendarsi dagli errori che hanno ferito nel profondo non già la forza dell´America ma la sua credibilità e il sentimento morale della nazione.

Questo è il vero patriottismo americano che fa onore all´Occidente e del quale ci sentiamo interamente partecipi.

* * *

Due notizie ci hanno colpito ieri mentre il caos iracheno continua ad infuriare: a Nassiriya la guerriglia sciita ha attaccato i reparti del corpo di spedizione italiano; il segretario di Stato Colin Powell ha dichiarato che se il nuovo governo iracheno dirà alla coalizione dei "volenterosi" di lasciare il paese, le truppe Usa se ne andranno. Gli hanno fatto eco immediatamente Blair e Berlusconi.

Esaminiamo queste due prominenti notizie cominciando dalla seconda. È improbabile che il nuovo - costituendo - governo iracheno inviti gli americani e i loro alleati a togliere il disturbo. Quando (e se) sarà costituito, i suoi componenti saranno stati scelti da Brahimi, delegato dell´Onu a Bagdad, previa consultazione con Kofi Annan e soprattutto con il governo di Washington. Sarà dunque e in ogni caso un governo amico, non certo ostile. Licenzierà la coalizione anche se essa non volesse essere licenziata, come una colf i cui servizi non sono più graditi? Sarebbe enorme. Il paese più potente del mondo, dopo aver messo a ferro e fuoco la Mesopotamia, avere abbattuto un tiranno sanguinario, aver risvegliato gli animal spirits d´un terrorismo che non s´era mai visto prima in territorio iracheno, rispedito a casa su due piedi dopo aver perso un migliaio di uomini e aver già speso cinquanta miliardi di dollari? Impensabile. Dunque non può accadere. Allora perché è stata affacciata questa assurda ipotesi?

Per due ragioni. La prima è per dare la sensazione al resto del mondo che il futuro governo iracheno nascerà veramente come autorità indipendente e nel pieno dei suoi poteri. Volevate una svolta? Una fottutissima svolta, per usare il linguaggio americano corrente? Eccovela servita.

Seconda ragione (più improbabile): il governo Usa non sa più come uscire dalla trappola irachena; la sola via di sbocco è di farsi dare il benservito dagli stessi iracheni. Naturalmente a certe condizioni che possono riguardare il petrolio e i rapporti con gli altri paesi dell´area a cominciare da Israele e dall´Iran. Insomma una finta ritirata, ma comunque un disimpegno militare sul terreno.

Si vedrà. Ma un punto resta fin d´ora acquisito. Il timore che il ritiro dell´armata occupante scateni una mortale guerra civile risulta inesistente poiché se fosse così serio e grave come finora ci è stato ripetuto in tutti i modi e da tutti i cantoni, non è comprensibile che l´armata liberatrice faccia i fagotti. Immaginate un´ipotesi del genere nell´Italia di sessant´anni fa, con un Ivanoe Bonomi o un Ferruccio Parri che invitano gli angloamericani a sgombrare le tende dopo la cacciata dei nazisti? O i giapponesi che rispediscono a casa MacArthur e le sue truppe?

Un altro timore, questo in realtà assai più serio dell´eventuale guerra civile, risulta anch´esso spazzato via dalle dichiarazioni di Colin Powell: il timore che, nel momento in cui gli yankees ripassassero l´Atlantico in senso inverso, il terrorismo di Al Qaeda resti padrone del territorio iracheno.

Questo rischio, evocato da Giovanni Sartori sul Corriere della Sera, ha una sua consistenza ma a Washington evidentemente non vi danno gran peso se già parlano di possibile reimbarco.

In realtà se la tesi di Sartori fosse valida le truppe americane dovrebbero restare in Iraq a dir poco altri cinque anni se non dieci o più. Personalmente penso che contro Al Qaeda non sia utile e tantomeno necessario mantenere di stanza 150 mila uomini di truppa con relativi carri armati e bombardieri pesanti. Per tenere a bada Al Qaeda ci vogliono intelligence, corpi speciali, abilità politica. Non si combatte il terrorismo con i marines né suscitando nel paese guerriglia, insorgenza e guerre sante.

Dunque resta assodato: per il dipartimento di Stato americano e anche per gli alleati "volenterosi" le questioni guerra civile e terrorismo non sono di ostacolo al ritiro delle truppe, solo che lo vogliano i notabili dell´Iraq liberato. Prendiamone atto ed escludiamo dunque questi «pretesti» dalla discussione sul "che fare" che durerà ancora un bel pezzo.

* * *

Ieri a Nassiriya è avvenuto un fatto nuovo. Prevedibile, preannunciato, ma comunque nuovo: le milizie sciite di Sadr hanno preso possesso della città e hanno attaccato la sede dell´Autorità provvisoria presidiata dagli italiani.

Mentre scriviamo l´assedio è stato tolto ma la città resta di fatto sotto il controllo della guerriglia. Per ristabilire l´ordine il nostro contingente militare dovrà negoziare con i guerriglieri o rintuzzarli con le armi o chiedere soccorso ai marines.

Quale che sia lo sbocco di questa tristissima storia resta che la nostra missione ha da tempo cambiato natura; come ha detto tre giorni fa Romano Prodi, ha perso le caratteristiche di missione di pace acquistando quelle di missione d´occupazione. In realtà questa mutazione era già avvenuta da tempo ma ormai è palese agli occhi di tutti. Soprattutto è palese agli occhi degli iracheni, guerriglia o non guerriglia. Loro la vedono e la vivono così: truppe d´occupazione, punto e basta. Hai un bel dire che non è vero perché i primi a doverti giudicare sono quelli in mezzo ai quali sei andato a portare la tua offerta umanitaria. Se proprio i beneficiari di quell´offerta ti giudicano un intruso e per di più un sopraffattore, questa diventa la tua essenza e non c´è niente da fare.

Quando Berlusconi decise l´invio dei nostri militari al fronte iracheno (a guerra che sembrava già conclusa) il presidente Ciampi, prima di dare il suo indispensabile assenso a quella sciagurata iniziativa, convocò il Consiglio supremo di Difesa, da lui presieduto.

Era molto tempo che quell´organo, di cui fanno parte molti ministri, tutti i capi delle Forze armate e naturalmente il presidente del Consiglio dei ministri, non si riuniva. E non si era mai riunito per decidere l´invio all´estero di nostri reparti militari per la semplice ragione che le nostre missioni erano sempre avvenute nel quadro di decisioni prese da organismi internazionali dei quali l´Italia fa parte. Il caso iracheno era invece profondamente diverso perché privo di ogni legalità. Quindi si scontrava contro la norma costituzionale che vieta di partecipare ad azioni di guerra che non siano difensive o debitamente autorizzate.

Per queste ragioni Ciampi riunì il Consiglio supremo di Difesa. E chiese che la missione fosse strettamente umanitaria. Che cosa significava questa espressione? È del tutto chiaro: significava l´invio di tecnici capaci di riattivare le reti di comunicazione e di trasporto, riattivare gli impianti petroliferi, aprire e gestire ospedali, ricostruire installazioni distrutte e strade, portare cibo e medicinali. Poiché il paese era ancora in stato di turbolenza, era pure necessario che la missione fosse affiancata da un contingente militare nei limiti e con lo scopo di difendere gli operatori di pace nei loro specifici siti.

Per meglio sottolineare la natura della nostra missione, Ciampi chiese anche che fosse dichiarato a chiare lettere che essa era «non belligerante». E per evidenziare ancora di più la posizione complessiva dell´Italia chiese anche che gli aerei militari Usa in missione di guerra in Iraq non potessero volare nello spazio aereo italiano.

Per quanto si sa, il Consiglio supremo di Difesa, Berlusconi incluso, approvò tutte le richieste di Ciampi. Non è dato sapere quale sarebbe stato il comportamento del presidente se l´approvazione non ci fosse stata. Che cosa poteva fare? Inviare un messaggio alle Camere? Rifiutare la firma della legge di finanziamento della missione? E´ probabile che avrebbe marcato in tutti i modi costituzionalmente previsti il suo dissenso, ma non fu necessario: Berlusconi accettò tutte le cautele raccomandate, la maggioranza parlamentare idem. In teoria. Nella pratica no, tant´è che l´ospedale italiano fu aperto a Bagdad con un piccolo reparto di carabinieri a sua salvaguardia, mentre 2.700 militari delle quattro forze armate furono destinati nel distretto di Nassiriya sotto comando inglese. Vai a capire perché e a fare che cosa.

Questa è la deplorevole storia della nostra missione. Onore a quei soldati che compiono un loro faticoso e assai pericoloso dovere. Opposizione contro chi ce li ha mandati in condizioni tali da non poter neppure impedire maltrattamenti contro i prigionieri soggetti al dominio non contrastabile di una polizia irachena brutale e autonoma da chi dovrebbe curarne la formazione professionale ma non può sanzionarne le azioni anche se delittuose.

Adesso i nostri soldati stanno lì a prendersi la fucileria dell´insorgenza sciita o a trincerarsi nei loro malcerti casermaggi senza mettere il naso fuor dalla porta.

* * *

All´ultim´ora giunge notizia di un discorso di Bush che contraddice Colin Powell continuando a confermare che non se ne andrà dall´Iraq se non «a lavoro compiuto». Nel frattempo un giornale americano pubblica un lungo articolo per dimostrare come dietro le torture ci fossero precise indicazioni date da Rumsfeld nell´estate del 2003. Puniranno i colpevoli? Ma certo, quattro soldati e un paio di sergenti.

Bush ha ringraziato Rumsfeld perché ha svolto un «lavoro superbo». Rumsfeld ha volato per undici ore fino a Bagdad, ha ringraziato i soldati perché anche loro hanno svolto un «lavoro superbo», ha consumato il rancio insieme a tutti loro e si è fatto altre undici ore di volo per tornare nel suo Pentagono. Il 64 per cento degli americani vuole che le truppe lascino l´Iraq. Le commissioni del Senato e del Congresso indagano. Il petrolio ha superato i 41 dollari al barile. L´Europa non concorda, ma Blair e Berlusconi sì, fino alla fine.

Come e quando ci sarà questa fine non lo sanno, ma va bene lo stesso.

Perciò avanti così. Perinde ac cadaver. No, non è Loyola che aveva un altro spessore, ma sono Schifani, Bondi e Bonaiuti.

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