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Paolo Berdini
La nuova cultura dei beni comuni contro i predatori di Roma
15 Gennaio 2017
Beni comuni
«Le città non sono luoghi esclusivi per speculazioni dei fondi immobiliari. Le città sono invece i luoghi della socialità e per garantirla si tratta di difendere e ripristinare – ovviamente senza sprechi o favoritismi – la rete delle associazioni che ci difendono da una deriva sociale che può travolgere le stesse radici del vivere urbano».
«Le città non sono luoghi esclusivi per speculazioni dei fondi immobiliari. Le città sono invece i luoghi della socialità e per garantirla si tratta di difendere e ripristinare – ovviamente senza sprechi o favoritismi – la rete delle associazioni che ci difendono da una deriva sociale che può travolgere le stesse radici del vivere urbano». il manifesto, 15 gennaio 2017 (c.m.c.)
Nel 1903 un grande ministro, Luigi Luzzatti, portò in apporvazione del Parlamento la legge che apriva la nobile stagione delle case popolari. Luzzatti era un esponente della destra storica, era un economista ed aveva fondato banche. Sapeva dunque di economia.

Eppure nelle relazioni al Parlamento parla con durezza contro la speculazione fondiaria che impedisce alle persone senza ricchezza di vivere dignitosamente. In quel periodo, anche grazie alla spinta sociale dei municipi guidati dai primi sindaci socialisti, esisteva la convinzione che le città vanno guidate sostenendo la parte debole della società.

Sarà necessario un imponente lavoro di riflessione sulle cause della tragica involuzione culturale che negli ultimi trenta anni ha fatto diventare le città esclusivi fattori economici rinunciando a qualsiasi ruolo di guida pubblica. La vicenda che trova spazio nelle pagine del manifesto trae origine da atti approvati da amministrazioni di centrosinistra.

L’azione devastante condotta dalla Corte dei Conti parte infatti da una deliberazione approvata dalla giunta Marino e confermata dal prefetto Tronca e rischia di cancellare una serie di istituzioni culturali come l’Accademia filarmonica romana o come tante associazioni che costituiscono il tessuto connettivo che tiene in vita le relazioni sociali nella città. Comitati di cittadini, associazioni che non svolgono attività lucrative vengono chiamate a pagare affitti calcolati sui valori di mercato.

Torniamo dunque al nodo culturale. Negli anni Ottanta si afferma il pensiero unico urbano secondo il quale non possa esistere nessuna attività che sfugge dall’azione predatoria di un’economia senza regole. Questo pensiero unico si è affermato con una rapidità sorprendente e ha prodotto il disastro che abbiamo sotto gli occhi. Per questo, germi nuovi nati al fuori delle vecchie culture politiche, hanno iniziato ad affermarsi in questi anni difficili.

È infatti grazie a questa cultura di difesa dei beni comuni che abbiamo vinto il referendum sull’acqua pubblica. È per questa nuova cultura che a Napoli grazie all’azione di Lucarelli e Maddalena si è affermata una importante concezione dei beni comuni. È per questa nuova cultura che tante città stanno ragionando sugli antidoti per rimediare al disastro. Dentro questa prospettiva culturalmente differente va anche richiamata l’importante azione condotta dall’allora prefetto Gabrielli che riuscì a mettere a disposizione del comune di Roma una importante somma da destinare ai gravi disagi abitativi.

Questa nuova cultura ha consentito l’affermazione di Virginia Raggi a sindaco di Roma e proprio dalla capitale arriverà il segnale culturale che l’intero Paese aspetta. Le città non sono luoghi esclusivi per speculazioni dei fondi immobiliari. Le città sono invece i luoghi della socialità e per garantirla si tratta di difendere e ripristinare – ovviamente senza sprechi o favoritismi – la rete delle associazioni che ci difendono da una deriva sociale che può travolgere le stesse radici del vivere urbano.

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