«Ci hanno mandato la variante, perché era un atto dovuto, ma non era vincolante il nostro parere. In ogni caso lo avevamo espresso e in Comune c’è una lettera nostra che riassume quello che pensiamo». Non vorrebbe dire altro l’ingegner Carlo Terragni, uno dei tre progettisti delle paratie e del nuovo lungolago, assieme al collega Ugo Majone (che si è occupato delle parte idraulica) e all’architetto Renato Conti. Anzi, non vorrebbe nemmeno uscire sul giornale, rimandando la conversazione ai prossimi giorni, dopo che si sarà incontrato con i due coprogettisti e avranno deciso che linea tenere. Per ora, ribadisce, «non parliamo con nessuno».
È comprensibile che dei professionisti ci pensino due volte, o anche tre, prima di esprimersi su un problema che rischia di mandare a soqquadro gli equilibri politici, oltre che paesaggistici, della città. Ma sarebbe decisamente poco serio da parte de «La Provincia» non chiedere un chiarimento a chi - l’ingegner Terragni, appunto - all’inizio degli scavi sul lungolago, quando in un sondaggio otto lettori su dieci si schierano contro le paratie, rassicurò tutti. «Risolveranno tanti problemi e non deturperanno certo il paesaggio - affermò -: non mi sarei mai permesso di progettare qualcosa che andasse a rovinare la città che tanto amo». «Molti tra coloro che sollevano obiezioni non sono esperti in materia - aggiunse -, quindi non si tratta di valutazioni attendibili».
Dopo che, ironia della sorte, un pensionato a spasso con il cane ha notato per primo il muro che nasconde il lago e, segnalandolo a «La Provincia», ha sollevato un problema paesaggistico riconosciuto "a denti stretti" anche dal sindaco, non è possibile non sollecitare una risposta da parte da chi a suo tempo aveva garantito che il nuovo «lungolago avrà una veste splendida». Perciò riportiamo subito le poche, ma significative frasi, con cui l’ingegner Terragni ha risposto alla sollecitazione, pur chiedendo che rimanessero riservate. Converrà, il medesimo, che è uno dei classici casi in cui prevale l’interesse pubblico. È giusto che i cittadini comaschi sappiano che «abbiamo presentato un progetto e questo progetto è stato disatteso completamente», come dice Terragni. Che gli stessi progettisti non sono stati «mai interpellati» in corso d’opera, se non per un problema secondario relativo alle fondazioni («Ma non solleviamolo adesso - si raccomanda l’ingegnere - sennò aumentiamo ancora i pasticci»). Che quello parzialmente realizzato «è un altro progetto», rispetto all’originale, e quindi «è difficile giudicarlo» per chi, evidentemente, non vi si riconosce più. «La finalità è garantita - osserva sconsolato Terragni - ma sono cambiate tante altre cose». Intende dire che il muro al centro delle polemiche non è l’unico "dettaglio" modificato? «L’aspetto più significativo - replica Terragni - è l’arretramento delle paratie su piazza Cavour». Com’è possibile che siano intervenuti tutti questi cambiamenti senza che nessuno abbia posto delle obiezioni? «Il grosso problema è a Palazzo Cernezzi», dice l’ingegnere. Certo, a questo punto, sotto il muro che oscura il lago, rischia di rimanere schiacciata la Giunta... «Non mi riferisco tanto alla Giunta - precisa - bensì a questi tecnici che credono di potersi sostituire agli architetti».
In attesa che i tre progettisti si consultino e forniscano più approfondite argomentazioni, vale la pena riportare lo stralcio di una lettera scritta da Majone prima dell’avvio del cantiere: «Le opere mobili sono meno impattanti rispetto alle arginature fisse, consentendo di non sottrarre alla vista di chi si trova in città o a navigare sul lago, scorci paesaggistici di straordinaria bellezza». Invece è stata stravolta la filosofia dell’intervento e oggi, anche uscendo in barca sul primo bacino, si vedono «pannelli inguardabili», che fanno dire all’ingegner Terragni: «Mi hanno fregato».