Basta il titolo (Le montagne della patria. Natura e nazione nella storia d'Italia) per comprendere quant'è interessante e utile. «L'originalità del saggio di Armiero consiste essenzialmente nel progetto di fare la storia di un vasto ambito di natura “selvaggia”, la montagna, di un paese come l'Italia nel quale, da millenni, la natura è inseparabile dalla cultura»
Il racconto che ne risulta, a partire dall'Unità sino ai giorni nostri, non ha un andamento unico, né un omogeneo segno culturale e ideologico. La montagna entra ed esce nell'immaginario della nazione disegnando di volta in volta miti contraddittori. Perciò tanto le Alpi che gli Appennini, all'indomani dell'unificazione nazionale, costituiscono il luogo di una alterità da soggiogare, sia perché sono «montagne ribelli », come nel caso dell'Appenino meridionale, percorso dal brigantaggio, sia perché sono le aree del paese dominate dai commons: vale a dire l'ampio territorio di boschi e foreste demaniali o soggette a usi civici. Nella seconda metà dell'Ottocento la progressiva privatizzazione di questi beni collettivi verrà fatta valere come un processo di modernizzazione, di fuoriuscita da un mondo arcaico e primitivo. Senza grande considerazione per gli effetti ambientali che, soprattutto al Sud, ebbe in seguito lo sfruttamento agricolo di tante terre destinate dalla saggezza antica a esclusivo presidio idrogeologico.
Nel XX secolo sono le Alpi, che entrano in maniera decisa in una narrazione destinata ad alimentare il nuovo immaginario nazionalista, e che ha al centro la prima guerra mondiale. «La politicizzazione del paesaggio alpino – scrive Armiero – all'indomani della Grande Guerra ha interessato sia la natura sia gli esseri umani. Le Alpi sono state esaltate come bastione naturale del paese e confine invalicabile della comunità italiana, mentre i suoi abitanti diventavano l'archetipo del vero patriota, il prototipo dell'italiano che veglia sull'integrità della nazione. E' allora che nasce il mito degli Alpini, destinato a durare a lungo nella memoria collettiva». Ma, certo, quei monti hanno poi avuto scarso rilievo nella coscienza nazionale quale realtà ambientale, sede di fragili equilibri e di mondi viventi minacciati e sconvolti.
Sul finire della seconda guerra mondiale « una rivoluzione copernicana» viene a rovesciare «la geografia politica e morale della nazione, il cui cuore pulsante erano ora le montagne». Per la prima volta, con la lotta dei partigiani, si creano evidenti « legami tra democrazia e montagne nella storia d'Italia. L'esperienza della Resistenza è profondamente radicata nelle montagne, simbolo tangibile di libertà ». Il mito fondativo viene ora a sostenere la storia dell'Italia repubblicana, a dare base morale alla democrazia e alla nuova Costituzione, quali espressioni del riscatto del popolo italiano dopo venti anni di dittatura fascista.