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Joaquìn Navarro-Valls
La marea nera e i falsi ambientalisti
6 Giugno 2010
La questione energetica
“La marea nera che si espande, insomma, è il simbolo epocale dell´impotenza della politica”. La Repubblica, 6 giugno 2010

Mentre il colosso dell´energia Bp si avvia a gestire nell´Atlantico un'altra settimana del più enorme disastro ecologico della storia, il pozzo petrolifero continua ad espellere greggio e ad immetterlo nell´ambiente. L´operazione Top kill, che avrebbe dovuto soffocare la falla, per ora non ha risolto la situazione. 
La Casa Bianca, com´è noto, è intervenuta direttamente nella persona del presidente Barack Obama. Egli, in pesante crisi di consensi, ha assunto un atteggiamento laconico, con cui si è sobbarcato con piglio deciso la responsabilità politica dell´accaduto, prendendo perfino un´aria pensosa, quando si è chinato a raccogliere sulla spiaggia un brandello oleoso, simbolo inquietante di un disastro ambientale che ha ormai sovrastato tutte le cognizioni e le capacità di controllo tollerabili.


Non è difficile immaginare come andrà a finire la cosa. Nonostante le preoccupazioni forse eccessivamente apocalittiche di Carol Browner, responsabile dell´ambiente dell´amministrazione americana, sicuramente il rimedio alla fine in qualche modo arriverà. E anche qualora dovesse essere auspicabilmente prima anziché dopo, il danno all´ecosistema si è già consumato irreparabilmente. 
Lasciando un momento sullo sfondo però le soluzioni concrete, è quanto mai utile indugiare a riflettere un momento sulle ragioni che hanno reso possibile non tanto il verificarsi del fenomeno, quanto l´esistenza generale di un sistema economico di tal fatta, il quale inevitabilmente potrebbe portare in futuro qualsiasi Paese a trovarsi in situazioni simili se non peggiori dell´odierna.


Tanto per cominciare, l´accaduto ha qualcosa in sé d´istruttivo e di paradossale. E non si tratta dello scontato valore della retorica ambientalista, ma esattamente del suo contrario. I rischi, in effetti, che possono derivare alla natura dalle imprese industriali rivelano direttamente che l´ecologismo non è che un escamotage per sollevare un problema reale dal lato sbagliato, senza indicare e affrettare alcun tipo di soluzione vera e duratura che non sia il successo politico di qualche romantico venditore di sogni. 


Mi spiego. Fermo restando il rispetto che si deve per qualunque idealismo, non mi sembra che le tante campagne fatte da eminenti personagi "verdi" in tutto il mondo siano servite a qualcosa fin ora, quando solo nel Golfo del Messico vi sono più di tremila pozzi attivi, affini, per non dire uguali, a quello danneggiato, che continuano ad estrarre petrolio nelle stesse condizioni di sicurezza assicurate da Bp. La marea nera che si espande, insomma, è il simbolo epocale dell´impotenza della politica, nonché l´emblema di quanto diverso sia il problema ecologico nelle sue cause e nei suoi effetti dalla politica ambientale che si continua ad ostentare.


L´interrogativo da porsi, in altre parole, è se abbia senso collocare solo a livello di consenso pubblico emozionale la questione dell´ambiente, quando la più grande e consolidata democrazia del mondo si trova inerte davanti all´onnipotenza delle multinazionali che lavorano l´olio nero. Il punto in questione, in questo caso, è evidente. La democrazia mostra il suo volto oscuro, incancellabile e disumano che, alle volte almeno, si chiama plutocrazia. Dove, cioè, gli interessi economici hanno un´influenza tanto grande, la democrazia finisce per divenire il ricettacolo degli utili micidiali e spregiudicati di colossali industrie petrolifere. Tanto che l´assunzione di responsabilità di Obama è parsa, in fin dei conti, di una debolezza estrema. Se non esiste a monte la forza di imporre e garantire dei criteri ambientali validi per tutti, certamente è impossibile farlo a valle, quando ormai il disastro si è consumato e la Bp si mostra pronta a pagare, senza batter ciglio, una somma pari al debito pubblico italiano pur di risolvere l´intoppo.


Il problema ecologico, in definitiva, insieme alle molte altre questioni cruciali per la sopravvivenza complessiva del genere umano, non può essere il vessillo di movimenti minoritari che speculano sulla cattiva coscienza di tutti noi, ma deve diventare la parte preminente di una nuova agenda etica dell´umanità.
L´alternativa è quanto mai chiara. O gli organismi internazionali, preposti all´elaborazione di regole valide per tutti, saranno in grado in futuro di stilare una tavola dei principi etici che devono indirizzare ovunque i comportamenti di tutti gli operatori economici, oppure ci troveremo sempre davanti a democrazie fragili che non riescono a vincere la tendenza sovrana degli interessi globalizzati delle grandi corporation. 


E non si dica che quanto diciamo sia un´utopia impossibile da realizzare. Gli Stati Uniti per decenni hanno fatto prevalere sul mondo intero i loro obiettivi - quasi sempre giusti, per fortuna - governando le Nazioni Unite con il proprio prestigio e la propria influenza politica e militare. Oggi, purtroppo, è giunto il momento in cui i pericoli ecologici e umanitari impongono la condivisione di criteri antropologici ed etici in grado di garantire la sopravvivenza umana degli ecosistemi del pianeta, ben al di sopra cioè delle rendite economiche di qualche oligarchia.
Ed è proprio questo il nodo che Obama deve sciogliere: cambiare la politica, oppure rassegnarsi ad essere un gracile strumento, trascinato dalle onde del potere. Non è possibile, d´altronde, che il mercato vada avanti ad incrementare interessi e profitti dappertutto, mentre l´etica conti solo durante le campagne elettorali, per poi rimanere relegata nelle soffitte delle cancellerie tra le inutili scartoffie burocratiche. 


In ultima istanza, l´ecologia è un valore solo se diviene parte fondamentale di un discorso etico universale, il cui compito è proteggere la qualità intrinseca della vita umana dai falsi ambientalisti di facciata e dagli opulenti egoismi di una planetaria casta di speculatori.

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