la Repubblica, 4 settembre 2017
Il mare non ammette frontiere. Come non le ammettono i motivi che spingono i migranti a partire. Queste due massime, che nessun Paese soggetto ai flussi migratori dovrebbe dimenticare, tornano in primo piano in Spagna. Per anni il governo di Mariano Rajoy si è gloriato della propria attività diplomatica in Africa, che avrebbe vaccinato il Paese contro l’epidemia migratoria di cui soffre la vicina Italia. Intanto però le cose cominciano a cambiare. Le cifre dell’esodo verso le coste italiane calano, mentre gli arrivi in Spagna sono quadruplicati. È quindi urgente riformare il discorso politico. E convincersi una volta per tutte che continuando a gestire il problema migratorio per compartimenti stagni non si fa altro che aggravare il problema.
La Spagna avrebbe avuto un’occasione d’oro per dar prova di lungimiranza a luglio, quando Roma chiese la collaborazione di Parigi e Madrid per gli sbarchi che mettevano a dura prova le autorità italiane. Ma l’esecutivo spagnolo e quello francese risposero con un no. I motivi erano due: le supposte carenze diplomatiche di Roma, che avrebbe trascurato il dialogo coi Paesi di provenienza dei migranti, e il rischio del cosiddetto “effetto chiamata”: gli spagnoli sostenevano che una ripartizione dei migranti tra i Paesi europei sarebbe stata interpretata dalle mafie come un messaggio, facendo crescere la pressione.
Questi argomenti risultano poco convincenti. Più di dieci anni fa la Spagna affrontò da sola una crisi delle carrette del mare. E la risolse negoziando coi Paesi d’origine dei migranti che sbarcavano sulle sue coste. Ciò che allora venne fatto in maniera poco onorevole (il governo socialista di Zapatero ricorse ad accordi basati sul pagamento di denaro per far cessare il transito verso la Spagna) viene presentato oggi a Bruxelles come un successo. Ma c’è una lezione da trarre da quell’esperienza: mai più un Paese deve essere lasciato solo a gestire una sfida comune. I migranti che a rischio della vita attraversano il Mediterraneo (ma anche l’Atlantico, nel caso della Spagna) non lo fanno per stabilirsi a Tarifa, a Lesbo o a Lampedusa. Il loro obiettivo, la loro terra promessa è l’Europa che, seppure con gradazioni diverse, può offrire lavoro, scuole, servizi sanitari in condizioni infinitamente migliori. È questo il vero “effetto chiamata”, che nessun individuo di buon senso può credere di poter cancellare.
Secondo le cifre fornite da Frontex, quest’estate il numero degli arrivi sulle coste spagnole ha toccato livelli record dal 2009: tra gennaio e luglio sono stati registrati più di 11mila immigrati - un dato che ha già superato quello di tutto il 2016. Quest’impennata coincide con una flessione degli arrivi in Italia attraverso la Libia, il cui governo ha incominciato a cedere alle pressioni europee per un maggior controllo delle sue coste. Solo il tempo dirà se questi dati costituiscono un picco o se, al contrario, inaugurano una tendenza che infliggerebbe più d’un mal di testa alle autorità spagnole.
In ogni caso, la versione di un supposto attivismo di Madrid a fronte dell’abulia di Roma fa acqua da tutte le parti. L’Italia, inventrice della diplomazia moderna, ha creduto per anni di tenere la situazione sotto controllo grazie a una serie di accordi con la Libia. Mentre la Spagna, al di là degli aiuti ad alcuni Paesi d’origine dei migranti, si è affidata quasi interamente alla cooperazione col Marocco. Le rivolte del Rif e le tensioni alla barriera di Ceuta sono allarmanti, e mostrano un orizzonte tutt’altro che sereno. Oltre tutto, il patto col Marocco sfiora i limiti della legalità europea. Secondo le notizie diramate in agosto dall’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, ci sono continue denunce di respingimenti al confine tra il Marocco e le città autonome di Ceuta e Melilla. E per ogni migrante che raggiunge le coste spagnole, altri due vengono bloccati dalle autorità di Rabat. Senza il discutibile sostegno del Marocco, la Spagna sarebbe travolta, come lo è stata l’Italia.
Nessuno - né a Madrid né a Bruxelles - può aspettarsi troppo da una strategia focalizzata sul contenimento del fenomeno migratorio. Soprattutto se non si costituisce un’alternativa legale credibile per l’arrivo dei migranti nell’Unione Europea. È giunto il momento di cambiare prospettiva.
L’autrice è corrispondente del País a Bruxelles © LENA, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Elisabetta Horvat