Anche la Sardegna vive i fenomeni che portano alla distruzione dei patrimoni storici su cui poggiano le identità dei popoli. In Sardegna con una velocità maggiore che altrove, per le caratteristiche delle aree interne e le politiche dissennate sulle coste, prima e dopo la parentesi del governo Soru. La Nuova Sardegna, 30 agosto 2016
Mi capita d' estate di andare dalla costa occidentale dell'isola a quella orientale attraversando paesi, uno in particolare. Malinconico tour spinto dalla curiosità pure quest'anno, sotto Ferragosto. Speranzoso di ritrovarla, a metà mattina, quella riunione di anziani all'ombra di un un fico in uno slargo nel percorso. Da un paio d'anni non si vede (quasi) più nessuno lì nei pressi. Facile immaginare che quel gruppo in bianco e nero si sia sciolto. D'altra parte quel paese è quasi vuoto, chiuso e non per ferie, abbandonati i palazzetti più rifiniti, vessilli di un impegno civico orgoglioso. Lo so che un terremoto è un terremoto. Ma fa impressione pure la fine lenta di un paese, vedere la svalutazione progressiva di ogni sua parte, l' inutilità di tutto ciò che lo ha reso vivo, come quel riparo dal sole, minimalista, ma che ha ospitato più dibattiti del centro congressi di Alghero. Impressionante, più della diagnosi dei demografi sulla crisi di oltre 200 paesi sardi. Una settantina stanno peggio, la metà destinata a svuotarsi nel giro di 15-30anni. 0ltre un terzo del territorio coinvolto.
E si sa, la percezione del declino accelera lo spopolamento, specialmente di chi non ce la fa a sopportare disoccupazione + isolamento, “poca vita, sempre quella” è la sintesi di Lucio Dalla. E a poco servono gli appelli a “fare sistema”, tottumpare tutti insieme per risparmiare sui servizi.
L'allarme è stato lanciato da anni. Nell'indifferenza verso un troppo piccolo bacino elettorale. E per quanto sia un comune su cinque ad esaurirsi in tempi brevi, nessun tentativo di soccorso: la fine data per scontata come nella profezia del romanzo di Garcia Marquez, “il futuro non esiste, né mai è esistito sotto il cielo di Macondo”.
Succede anche altrove; ma è peggio in un'isola povera che si spopola anche nelle città, e dove le crescite sono spesso controsensi. Altro che due velocità! In realtà c'è una Sardegna che arretra per sparire. E un'altra dove lo sviluppo edilizio produce insediamenti invivibili, e non solo perché la terra si scioglie sotto i piedi quando piove più forte.
In fondo la sorte della Sardegna ha a che fare con questa schizofrenia, spiegata dal mercato immobiliare, un terrazzo di pochi mq sul mare che può costare quanto qualche ettaro di campagna a una trentina di chilometri verso l'interno.
Per questo vorremmo saperne di più su contenuti e progressi della strategia delineata nella delibera del governo regionale (marzo 2015), obbiettivo “un'inversione del trend demografico”. Vedremo com'è il programma per creare occupazione – lì e ora –, perché senza lavoro non ci sono ragioni che possano trattenere gli abitanti di quei paesi o attirarne di nuovi.
E poi i tempi, perché il tic tac del conto alla rovescia comincia a sentirsi. E se non si agisce finché c'è ancora qualche forza residua in quelle aree, credo che sarà complicato dare senso a vuoti incustoditi, a disposizione di incendiari e per scorrerie postmoderne, nel solco di quelle degli speculatori dell'energia.
Inimmaginabile la Sardegna senza i suoi paesi (il cui valore lo capisci dalla volontà dei terremotati marchigiani a ricostruirli dov'erano). Ed è ragionevole attendersi un impegno straordinario dello Stato (magari annunciato da un tweet di Renzi #lasardegna.nelcuore). E un impetuoso andirivieni tra Roma e Bruxelles delle autorità dell'isola, decise a farsi sentire, il piglio di chi raccoglie la sfida, tipo Al Pacino nel film, “dico quello che penso e faccio quello che dico”. Perché nessuno creda che ci basti un ripiego, che so, l'itinerario attrezzato delle ghost town per i turisti nei giorni no-mare.
Insomma servirebbe un capitolo dedicato allo spopolamento in ogni dossier riguardante l'isola. Pure in quello presentato a Sassari a luglio. E quindi un progetto, dove sia scritto chiaro quali risultati ci possiamo aspettare ed entro quanto tempo. Se non possiamo contare sulla passione, in €, che si mette per salvare una banca, dobbiamo pretendere che almeno si ristabilisca una dignitosa proporzione. In fondo si tratta di paesi, una storia che non può finire.
Nell'icona una foto di Gianni Berengo Gardin ripresa, a Carloforte