loader
menu
© 2024 Eddyburg

La Lega e non solo. Chi vince e chi perde, e qualche perché
31 Marzo 2010
Articoli del 2010
Un’analisi di Ilvo Diamanti e una dell’Istituto Cattaneo sui flussi elettorali, da la Repubblica, 31 marzo 2010, spiegano qualcosa in più

Sicurezza e identità, la Lega si afferma come partito normale

Oggi il Carroccio è forte al Nord perché governa a Roma

Ormai ha superato i confini padani

di Ilvo Diamanti

Fra i dati emersi dalle elezioni regionali, il risultato della Lega è certamente il più clamoroso, soprattutto se confrontato con quello del 2005 (rispetto a cui ha raddoppiato i voti). Ma è anche il meno sorprendente, rispetto alle attese. La vittoria di Zaia, in Veneto: annunciata da tempo. Quella di Cota, in Piemonte, era meno scontata. Ma veniva, comunque, considerata possibile. La stessa "misura" del voto, per quanto di proporzioni straordinarie, non costituisce una novità rispetto al passato più recente (e più lontano). Il risultato ottenuto nel Veneto (35%) è degno della vecchia Dc. Ma già alle ultime elezioni, in questa regione, la Lega si era avvicinata al 30%. E le province dove ha fatto il pieno – Treviso, Vicenza, Sondrio, Bergamo, Como – sono roccaforti tradizionali. Fin dagli anni Ottanta. Quando la Lega ha prima assediato e poi rimpiazzato la Dc. Quanto all´espansione nelle regioni rosse, appare davvero impetuosa. Soprattutto in Emilia Romagna, dove ha superato il 13%, ma anche in Toscana e nelle Marche (dove ha scavalcato il 6%). Tuttavia, si tratta di una tendenza già emersa alle elezioni politiche del 2008, divenuta appariscente alle europee dello scorso anno. Proprio perché largamente annunciato, però, il successo della Lega è rivelatore. Come la sorpresa degli osservatori e degli attori politici – non solo avversari, anche alleati. Segno che la Lega continua ad essere guardata – dagli "altri" – come un soggetto anomalo. E per questo instabile. Sempre in bilico. Fra discese ardite e risalite. O viceversa.

Non è più così. Il successo della Lega è "normale", perché la Lega è, da tempo, un partito "normale". L´unico rimasto, in Italia, fra tanti partiti leggeri e mediatici. Proprio questo, forse, contribuisce a farla apparire diversa. Anche oggi che agisce come "Lega di governo". A livello nazionale e territoriale. Basta guardare le cifre. Esprime il sindaco di 355 comuni e il presidente di 14 province. Da oggi: anche di due regioni. Alle elezioni europee del 2009 si è imposta come primo partito in oltre 1000 comuni (su quattromila) del Nord. Ha una leadership forte, personalizzata e centralizzata. Impiantata nelle "capitali" storiche: Varese e Bergamo, in Lombardia e Treviso, nel Veneto (dove, negli ultimi anni, è cresciuto il peso di Verona). Nel governo, i suoi uomini presidiano dicasteri importanti e strategici. Maroni all´Interno: i temi della sicurezza e dell´immigrazione. Calderoli alle riforme istituzionali, cioè al federalismo. Accanto a Bossi, sovrano e bandiera del partito. Infine Zaia all´agricoltura. Ha trionfato in Veneto, dopo aver trasformato un ministero considerato "minore" in un dicastero ad alta visibilità. E in un riferimento chiave per la Lega. Dal punto di vista dell´identità, in quanto evoca la terra, la tradizione. Ma anche del rapporto con le categorie amiche: contadini, allevatori, cacciatori (un tempo collaterali alla Dc e al Pci).

La Lega di lotta, che tutti evocano, oggi è soprattutto Lega di governo. Le pagelle degli amministratori, compilate ogni anno dal Sole 24 Ore, vedono i suoi sindaci e i suoi presidenti di provincia ai primi posti. I sondaggi sul gradimento dei ministri attribuiscono a Maroni e Zaia voti lusinghieri. E la fiducia nella Lega e nel suo leader assoluto è cresciuta costantemente negli ultimi 15 anni, fra gli elettori. Del Nord, del Centro e anche del Sud. Perché, nel frattempo, la Lega ha nazionalizzato il suo programma. I suoi obiettivi. Ha puntato sulla sicurezza, o meglio: sull´insicurezza. Ha drammatizzato le paure. I timori suscitati dalla globalizzazione. Dall´immigrazione, ma anche dalle minacce economiche e finanziarie. E dalle malattie – vere o presunte. Dai cibi che viaggiano senza controlli. Ha dissociato il linguaggio dalle pratiche. Ha promosso le ronde senza poi organizzarle. Ha agitato la xenofobia, permettendo l´integrazione nelle zone dove governa. (D´altronde, è difficile per una realtà di piccole imprese far marciare l´economia senza immigrati; per una società vecchia fare a meno delle badanti). Ha usato il doppio pedale dell´identità e del pragmatismo. Così si è rafforzata a spese del Pdl nel Nord e soprattutto nel Nordest.

Basta vedere quel che è successo in Veneto, dove la Lega ha raggiunto il 35%: il 10% più del Pdl. Mentre il ministro Brunetta, fra gli uomini più popolari del Pdl, in Italia, a Venezia ha perso al primo turno, nella competizione per il sindaco. Perché la Lega è un partito mentre il Pdl è un aggregato di notabili e di interessi. Un pulviscolo di gruppi e comitati senza identità. Allo stesso modo, la Lega è penetrata anche nel cuore rosso del Paese. Soprattutto in Emilia (in particolare dove un tempo era più forte la Dc, come ha osservato Fausto Anderlini). Zone investite dai cambiamenti sociali e demografici. Cui la Lega ha offerto risposte e identità. Populiste? Certo. Ma in grado, per questo, di toccare le corde di una società spaesata, dove la politica e la vita un tempo erano sovrapposte. Dove la scomparsa dei vecchi partiti ha lasciato senso di vuoto.

La Lega. Partito di governo e di rivendicazione - se non più di lotta. Chi pensa a una secessione (magari invisibile) della Padania non ha capito. Oggi la Lega è forte nel Nord perché governa a Roma. E viceversa. Inoltre, ormai ha superato i confini padani. Semmai, è probabile che la forza della Lega - nel Nord, nel Centro e al governo - generi disagio nel PdL. Oggi, dopo le regionali, ancor più meridionalizzato. Spostato lungo l´asse che da Roma corre fino alla Calabria, attraverso la Campania.

Il successo della Lega può aiutare anche il Pd e il centrosinistra a leggere correttamente l´affermazione di Vendola. Capace, in Puglia, di mobilitare la società. Di dare identità. Di marcare la differenza dagli altri. Mentre nel Pd ci si è preoccupati, all´opposto, di mimetizzarsi. Di accostare il centro come un "non luogo". Di andare in tivù senza avere parole da dire. Come se la costruzione dell´identità – e della classe dirigente – fosse un problema di marketing. Ma in politica nulla avviene per caso. E anche le sconfitte servono, quando si è in grado di interpretarle. A condizione di riconoscerle. Senza fingere. Anzitutto di fronte a se stessi.

Due milioni in fuga dal Pd, un milione dal Pdl

L´Istituto Cattaneo fotografa i flussi 2005-2010.

Raddoppiati i voti di Bossi

di Alberto D´Argenio

ROMA - La Lega che raddoppia i consensi, il Pdl che ne perde un milione. E il Pd lascia per strada 2 milioni di voti, mentre l´Italia dei valori moltiplica i suoi per quattro. Con un forte mutamento nei rapporti di forza all´interno delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra. Sono questi i dati shock usciti dalle urne delle regionali di domenica e lunedì rielaborati dall´Istituto Cattaneo di Bologna.

Partendo dalla maggioranza di governo, rispetto alle regionali del 2005 la Lega è passata da 1 milione 380 mila voti a 2 milioni e 750 mila. Dati da brivido: in Veneto i consensi leghisti sono schizzati del 134%, in Piemonte dell´83% e in Lombardia del 61%. E se si considera che il Pdl di voti ne ha persi un milione e 69 mila, si capisce la portata delle regionali all´interno del centrodestra: nel 2005 i consensi di Forza Italia e An erano 5,1 volte superiori rispetto a quelli dei leghisti. Oggi il rapporto con il Pdl è sceso a 2,2, con il partito di Umberto Bossi che porta il 31% dei voti della maggioranza di governo. L´unica attenuante per il partito del predellino arriva dal Lazio, dove ha perso 600 mila preferenze. Nel 2005 An e Fi solo a Roma e provincia ne avevano incassate 610 mila, risultato in questa tornata impossibile vista l´esclusione della lista pidiellina.

Un simile cambiamento di pesi si è verificato nel centrosinistra, dove il Pd ha perso 2 milioni di voti rispetto a quanto raccolto nel 2005 da Ds e Margherita, mentre l´Idv ha quadruplicato i consensi (+1 milione e 227 mila voti). E così il rapporto Pd-Idv muta radicalmente. Se cinque anni fa i voti di Di Pietro erano 23 volte inferiori a quelli del Pd, oggi lo sono solo 3,7 volte.

Sale, anzi decolla, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo: ha raccolto 390 mila consensi nelle 5 regioni in cui si è presentato e se in Emilia Romagna è arrivato al 6%, in Piemonte il suo 3,7% è stato determinante per la sconfitta di Mercedes Bresso, battuta dal leghista Cota di 0,42 punti. Altro grande vincitore è l´astensionismo: con un italiano su tre assente dalle urne, ha fatto segnare il record nella storia della Repubblica. Tuttavia l´effetto punizione per il governo dato dall´astensionismo di massa, in questi giorni ribattezzato "effetto Sarkozy", non ha colpito. Tre i fattori dello scampato pericolo individuati nello studio dell´Istituto Cattaneo: l´assenza talk show ha evitato il dibattito sulla crisi; le amministrative sono arrivate nella prima metà della legislatura; la Lega è riuscita a mobilitare il suo popolo.

ARTICOLI CORRELATI
31 Dicembre 2010

© 2024 Eddyburg