Questi primi giorni di riflessioni politiche seguiti al drammatico accordo sulla Grecia indicano, a mio avviso, tre cose: la grandezza di Tsipras, l’inconsistenza di visione economica e istituzionale di una certa sinistra alternativa (oltre a quella, scontata della destra, di simile vaniloquenza) e infine la possibilità di un percorso di uscita dalla crisi, non solo greca, che passi per una ridefinizione degli obiettivi e delle istituzioni europee.
Tsipras si è trovato in un contesto di estrema difficoltà negoziale: un paese indebitato, con una economia debole e indebolita per anni da cure sbagliate, con gran parte della popolazione sotto la soglia di povertà o in miseria; un paese ancora segnato da istituzioni pre-moderne, corporativismi lobbistici e comportamenti sociali di ampiezza inaccettabile (corruzione, evasione fiscale). Ed è stato posto di fronte a un chiaro ricatto orchestrato dall’oltranzismo tedesco: accettare condizioni non solo pesanti ed economicamente irrazionali, ma soprattutto politicamente insultanti, proposte con l’intento esplicito di spingerlo ad abbandonare l’euro, e cioè al suicidio politico ed economico.
La sua risposta è stata politica: mostrare all’Europa un risultato di democrazia politica prendendosi il rischio del referendum (uno strumento non certo tecnico, che non lo avrebbe aiutato nella negoziazione quale che fosse il risultato); accettare condizioni che non avevano alternative ma aprire una frattura all’interno dei paesi e delle istituzioni europee sulle strategie di salvataggio e sul giudizio sui comportamenti politici dei maggiori governi nella vicenda.
In Germania, molte critiche – invero tardive ma comunque efficaci – si stanno levando nei media contro l’abbandono della linea dell’”umiltà” tedesca in Europa, in favore di una arroganza che evoca pesanti eredità; Jürgen Habermas sostiene che il “governo tedesco si sia giocato in una notte tutto il capitale politico che una Germania migliore aveva accumulato in mezzo secolo”.
Sul fronte economico, la insostenibilità delle condizioni imposte sul debito viene esplicitata dal Fondo Monetario in modo drastico, con la minaccia della sua non partecipazione al rifinanziamento, e viene sottolineata da Draghi che anticipa aperture di credito alle banche greche; la impossibilità di attuare alcune misure fantasiose previste dall’accordo verrà facilmente a galla nell’immediato futuro; la posizione assunta nel negoziato da Hollande, Junker e in parte da Renzi, ma rimasta ampiamente minoritaria al momento, non potrà che crescere in termini di appoggio mediatico e politico; le risorse messe a disposizione, al di là di quelle per il rinnovo dei prestiti internazionali, sono per la prima volta consistenti e tanto la Commissione quanto l’IMF potranno aiutare il paese a spenderle in modo più rapido e più razionale che in passato per investimenti infrastrutturali, produttivi e di formazione.
Sul fronte interno, Tsipras potrà concentrarsi sul tema di una più equa distribuzione dei sacrifici fra le classi e i ceti sociali, che è il vero tema per ogni governo di sinistra, sul contrasto alle posizioni di monopolio e alle rendite, grandi e piccole, e sulla lotta all’evasione, ben più efficace di un innalzamento dell’IVA su un settore, quello turistico, dove l’evasione è facile e assai praticata.
Ma veniamo alla nostra sinistra. Fuorviata da idoli che si pensava superati, come quello della sovranità monetaria nazionale; fuorviata anche dalla posizione aspramente critica assunta da Varoufakis sull’accordo, incomprensibile umanamente e inconsistente economicamente; sempre pronta ad imputare all’euro problemi veri ma che discendono da rapporti di forza economica e da leadership politiche; mai veramente impegnata su una linea europeista di riforma federale dell’Unione, la nostra sinistra sta mostrando una preoccupante confusione di idee e di visione.
Per Fassina “le necessarie correzioni di rotta per rendere sostenibile l’euro appaiono impraticabili” e “continuare a invocare gli Stati Uniti d’Europa … è un esercizio astratto”. In conseguenza, “nella gabbia liberista dell’euro … la sinistra … è morta”! Quale sinistra? Certamente quella che oggi si balocca di sedicenti “piani B”: non l’Europa e l’euro di oggi; non l’uscita dall’euro di singoli paesi, che Viale giustamente indica come “insensata e grottesca”; ma, nelle parole di Fassina, “il superamento concordato, senza atti unilateriali, della moneta unica e del connesso assetto istituzionale, innanzitutto per il recupero dell’accountability democratica della politica monetaria”. A parte la bella convergenza con le ricette degli irresponsabili demagoghi nostrani, Salvini e Grillo, un insieme di insensatezze.
Quale dovrebbe essere lo strumento della liberazione monetaria (e democratica)? L’emissione di una moneta parallela, i pagherò di Varoufakis o i certificati di credito fiscale proposti da Grazzini e Gallino, con valore mantenuto alla pari con l’euro da non si capisce quale elemento di fiducia collettiva. Nel caso greco, una moneta emessa per pagare dipendenti pubblici e imprese da un paese in dissesto, a corto di riserve pubbliche e di risparmio privato, sarebbe certamente e immediatamente rifiutata dal mercato, perderebbe subito valore e si risolverebbe in una brutale tassa sui salari interni. Per non parlare del limitato effetto di questa svalutazione sulle esportazioni di un paese che non produce beni ma soprattutto servizi, che esporta pochissimo (meno della provincia di Reggio Emilia, come ha ricordato recentemente Romano Prodi) e che dovrebbe al contrario aumentare qualità e prezzo dei suoi servizi turistici e non diminuirli.
Nel caso italiano, credo che i certificati di credito fiscale avrebbero simile destino: perché le imprese dovrebbero scambiarli 1-a-1 con euro attuali in cambio di uno sconto fiscale futuro, promesso da uno stato come il nostro, che per far fronte al suo nuovo debito magari alzerà le tasse? Meglio lasciare la gestione della moneta e della liquidità a un principe forte e ben più credibile – come una Banca Europea, che peraltro già lo fa - in una Europa magari migliore.
Quali dunque le strategie da qui al medio termine, per Tsipras e per le sinistre europee? Innanzitutto un esplicito hair cut sul debito greco, già implicito nelle moratorie concesse su rimborsi e interessi, ma assai più chiaro sia per i debitori che per i paesi creditori. Un taglio che possiede una sua logica politico economica a fronte della maggiorazione degli interessi sin qui pagati ai creditori come premio al rischio-paese: essendosi il rischio di insolvenza manifestato nei fatti, anche se congelato consensualmente, si riconoscerebbero ai creditori i soli interessi “normali”, tagliando la parte speculativa maturata in passato e aggiungendo ulteriori riduzioni concordate sugli interessi. Quanto alla costituzione di un fondo in cui far convergere asset reali a garanzia del debito, non trovo così insultante e irrazionale la sua richiesta, se essa può servire ad alleggerire le condizioni di austerità imposte al paese. Ma ciò solo a due precise condizioni: che la sua dimensione non sia assurda come quella dei 50 miliardi attuali e soprattutto che non si pongano vincoli temporali a dismissioni e privatizzazioni, pena il rischio se non la certezza di svendite di patrimonio pubblico.
Per gli altri paesi altamente indebitati – molti! – il taglio del debito non dovrebbe essere applicato, almeno nel breve termine, e il suo alleggerimento dovrebbe provenire dalla riduzione degli spread conseguenti alla ritrovata coesione europea e alla auspicabile socializzazione del costo dei debiti sovrani (che non aumenta il costo del servizio del debito per i paesi forti ma riduce le aspettative di profitti su attacchi speculativi contro i paesi più deboli o più indebitati).
La sinistra, anziché defungere o defezionare, potrebbe avere un ruolo traente in questo lungo e difficile percorso politico. Merito di Tsipras quello di averci indicato, dal fronte incandescente del negoziato greco, oltre ai limiti e all’inganno dell’attuale metodo europeo di compromesso inter-governativo, anche questo cruciale obiettivo per le sinistre.